Se solo
Dome la guardava capiva comera; lui stava storto sulla sedia a giocherellare
pericolosamente con un posacenere, fino a quando Lisa gli si avvicinò.
-Smettila.
Il caschetto nero e gli occhi da gatto siamese annacquati e torbidi.
- Coshai che non va, Dome?
Gli chiese, in preda ad una sorta di crisi isterica. Dome ridacchiò, laconico, fino a
quando Lisa lo prese per mano e lo trascinò via. Via, in una cantina che puzzava di
marcio dalle fondamenta.
Si abbracciarono e si baciarono, stipati contro un armadio a muro.
E adesso lo sapeva Dome, sapeva cosa le ragazze, tutte le ragazze, volevano da lui.
Sentì delle unghie sul collo, stava per protestare debolmente ma, alla fine, non aprì
bocca.
Lasciò fare.
- Ero sbronzo.
Pensò, ritrovandosi accasciato a terra, a sbattere la testa contro lo stipite di una
porta.
Ma era una porta?
Prese lo zippo e tentò di cercare un interruttore. Larmadio era lì,
lanta spalancata, con il cadavere nuovo e fresco da obitorio di Lisa, che gli faceva
ciao ciao, con la mano inchiodata.
Lo sguardo fisso, dalle orbite sbarrate. Laria fresca, dalla gola tagliata.