Vede,
dottore... la posso chiamare dottore, no? Lei mi sembra una persona che ha studiato,
laureata. Io invece ci ho solo la terza media... Beh, dicevo... Tutto è cominciato quando
mi sono messo a guardare le donne... Non mi ricordo bene quando è cominciato. E non so
perché ho cominciato. Forse letà, forse il solito tran tran o il diavolo
che mi porti. Il fatto è che quando una donna entra in bottega, e sono tante: almeno nove
clienti della mia bottega su dieci sono donne, dato quel che vendo... come lei sa. Beh,
dicevo... quando entra una donna i miei occhi non riescono a stare fermi. Scappano subito.
Prima alla bocca e poi giù, alla scollatura, alle tette... mi scusi: ai seni. E
quando si voltano per andare a pagare... i lombi, le natiche, le cosce, le caviglie, i
piedi. I miei occhi, me li sento schizzare dalle orbite, come affamati, come un chiodo di
ferro scatta verso la calamita. E quei seni, quei polpacci, quei culi... cioè: quei sederi,
mi si piantano nel cervello come i chiodi nel legno, e non se ne vanno. Sono il mio chiodo
fisso... hi hi... è proprio il caso di dirlo, e io mi sento il cervello come un
puntaspilli, e gli spilli mi sembrano arroventati. Però vado al lavoro più volentieri al
pensiero che posso guardare: la giornata mi sembra meno lunga. Solo che quando mia moglie
se nè accorta... apriti cielo!
Certe volte, per guardare meglio, esco da dietro il banco con la scusa di portare la roba
alla cassa e fare il galante. E intanto guardo bene, e ogni guardata è come uno spillo
nel cervello. Ma alla cassa cè mia moglie e a lei non sfugge mai nulla. Io lo so,
ma non posso farci niente. Come un chiodo verso la calamita. E questestate... con i
vestiti leggeri, quelle scollature, quei capezzoli, quelle mutande col filo dietro, come
vanno di moda adesso, i sandali e le unghie dipinte di rosso... il mio cervello si è
riempito di spilli roventi e mia moglie se nè accorta.
A lei non è mai andata giù sta faccenda. Mi rimprovera. Dice che le palpo con gli
occhi, che così perdiamo i clienti. Ma io non mi preoccupo. Siamo gli unici in paese e da
me devono venire per forza. Oppure farsi venticinque chilometri per trovare della roba che
rispetto alla mia è peggio delle suole delle scarpe. E io guardo. Maneggio i tocchi di
carne che comprano, li stringo e li tasto immaginando che siano i loro culi! E mia moglie
giù a dire che sono una bestia, un porco schifoso che grufola senza curarsi della
figuraccia che facciamo in paese; che siamo sulla bocca di tutti: che io sono diventato
Nando raggi X, e lei la povera assistente muta. Ma io non ci posso fare
niente: come un chiodo... ma questo lho già detto.
Mia moglie ha cominciato a dire che dopo tanti anni non si è ritrovata per casa un
estraneo, uno che non conosce più, uno che ha voluto solo i suoi soldi e la bottega di
suo padre, e non lei. Però poi ha cambiato canzone. Dalle urla è passata al piagnisteo,
ma è stato peggio. Prima a strillare che sono un vecchio porco maneggione, e poi a
miagolare che da giovane avevo finto di essere un romanticone sensibile, ma solo per la
bottega. Ha cominciato con una tiritera... dottore... peggio del mal di denti la notte. E
avanti a dire che non credeva che ero così superficiale, e che ho mostrato la mia vera
natura: mi appendo con gli occhi, come un babbuino, a una coscia qualunque; e questo vuol
dire quanto sono miserabile, che mi importa più guardare un paio di tette che non
toccherò mai piuttosto che rispettarla, che sono un... come dice?... ah sì: un epidermico
meschino, incapace di vedere cosa cè dentro... ma dentro cosa? Che con il mio modo
di fare lho umiliata e avvilita. E giù lacrime da coccodrillo. Era meglio quando
urlava.
E poi con questa storia che non ho niente dentro, perché uno che guarda le altre, sempre,
a bottega, in chiesa, in piazza, alla tv, sui giornali, è uno che non sa guardare dentro,
e allora dentro non ci deve avere niente. E che lho ferita, imbrogliata, perché lei
invece dentro ci ha qualcosa che io non sono capace di vedere e capire, che lho
calpestato eccetera eccetera. E giù lacrime. Che sono un pezzo di pietra, e non capisco
che la bellezza non è solo quella di fuori, quella che piace a me, ma quella che una come
lei ci ha dentro. E che il mio sguardo non è mai stato capace di vedere quanto lei è
bella dentro. E via lacrime. Che sono diventato come tutti gli altri uomini, che quando
passa un culo non capisco più niente, che quando vedo un paio di tette ballonzolanti non
sto più a sentirla e mi dimentico anche che esiste. Sempre così: a colazione, a pranzo e
cena. Di giorno e di notte. A letto e in bottega. Peggio della goccia dal rubinetto che
perde. E poi a frignare che la bellezza della carne invecchia e sfiorisce, mentre la
bellezza che una come lei ha dentro, quella non invecchia mai. E che io non la merito
perché ci ho sputato sopra disonorandola agli occhi del paese intero. E allora vuole
pareggiare i conti cacciandomi da casa e da bottega, e tenersi tutto perché è tutto suo.
Che lei è bella dentro. E io sono solo un porcaro rifatto.
Beh, dottore. Ecco perché tra me e mia moglie è finita. Con sta storia della
bellezza dentro mi ha frollato le carni. E chi la può vedere sta bellezza, se sta
dentro! E lo sa qual è la novità? Che mi sono incuriosito. Che ho voluto guardare! Che
tutta sta bellezza che doveva averci dentro, dentro non cè! Non cè,
capito? E sì che ho rovistato ben bene. Per tutta la notte ci ho frugato dentro. E se non
lho trovata io, che faccio il macellaio da una vita...