Era
confuso, la testa gli scoppiava, aveva bevuto troppo quella sera.
Sentiva le gocce dacqua che gli scivolavano addosso dolcemente come un torrente in
piena. Probabilmente non era stata una buona idea quella di fare la doccia prima di andare
a dormire, o meglio, cercare di andare a dormine. Era un periodo in cui non riusciva ad
addormentarsi e malgrado tutte le mattine dovesse andare a lavorare, aveva cominciato ad
approfittare della sua insonnia per dare sfogo alla sua passione prediletta: le donne.
Daltronde, per una causa a lui sconosciuta, le attraeva come il miele le api molto
affamate. Non era di brutto aspetto, anzi, inoltre era una persona piena di interessi,
cosa che piaceva allaltro sesso. Ma in fondo in fondo si era sempre stupito del
fatto che potesse essere così ricercato.
Ogni sera una festa, un incontro, un appuntamento; riusciva a dimenticarsi della sua
insonnia, tornava a casa distrutto, ubriaco fradicio, per poi svenire nel letto.
Ma quella sera cera qualcosa di diverso. Si sentiva strano. Ubriaco sì, come tante,
troppe volte, ma la sua testa ora scoppiava come mai era successo prima; diversamente
dalla solita confusione che lo faceva sentire vivo, in testa non gli frullava
assolutamente nulla.
Non riusciva a ricordare...
Non riusciva a ricordare nulla, dove era stato, con chi, perché...
Tutto questo lo aveva mandato in una paranoia che lo teneva più sveglio del solito. Erano
passate le tre di notte quando decise di farsi una bella doccia. Gli avrebbe schiarito i
ricordi; chissà avrebbe potuto ricordare addirittura di aver ucciso qualcuno quella
notte. Valeva la pena di rischiare linsonnia facendo evaporare i fumi
dellalcool nella cabina della doccia.
Regolava il getto dellacqua che sgorgava troppo forte e rumorosa.
Un pensiero fisso. Per un istante riuscì a cogliere limmagine, materializzata
davanti agli occhi, di una donna bellissima che gli sorrideva. Aveva la sensazione di
riuscire a ripercorrere il filo della serata, ma durò solo quel frattempo che la
saponetta gli cadde in mezzo ai piedi e per raccoglierla scivolò.
Mentre si rialzava il vapore che si era creato nella cabina incomincio a fargli girare la
testa. Il plexiglass che racchiudeva uno dei suoi luoghi preferiti di perversioni
erotiche, era completamente appannato. Gli mancava laria. Girò il rubinetto
bloccando il flusso dellacqua e afferrò la maniglia cercando di far scivolare
lentamente la porta scorrevole della cabina lungo il carrello. Ma lo sportello aveva
tuttaltro che voglia di fare il suo mestiere. Ci mise più impegno, incontrando solo
maggiore resistenza. Era bloccata. Più forzava quella maledetta porta scorrevole e più
la testa gli girava; laria non arrivava ai polmoni.
Decise di calmarsi. Sarebbe stato peggio agitarsi, no?
Prendendola con filosofia pensò che in fondo quel vapore non era HCN ( il gas usato dai
nazisti nei campi di concentramento) e non sarebbe certo potuto morire lì dentro. Al
limite avrebbe sfondato la cabina.
Prese, distinto, a strofinare con le mani il pannello. Dietro la superfice opaca non
si rendeva nemmeno conto di trovarsi nel bagno di casa sua. Venne assalito dal dubbio.
Mano a mano che andava creando un piccolo oblò sul mondo esterno, si accorgeva che quello
che cera fuori non somigliava affatto al bagno di casa sua.
Doveva essere unallucinazione. Una delle tante della sua vita. Ma lansia che
questa allucinazione finisse presto lo induceva a strofinare sempre più velocemente il
plexiglass. Ora riusciva a vedere bene fuori, tanto bene da accorgersi che
lallucinazione era tuttaltro che conclusa.
Fuori dalla cabina non cera affatto la sua accogliente stanza da bagno.
Non cera nemmeno un bagno.
Superato lo sgomento iniziale, incominciò ad osservare con curiosità, tranquillizzato
dallidea che era tutto un sogno ad occhi aperti.
Vedeva una grande sala, arredata con tappeti pregiati, poltrone e divani ricamati, quadri
antichi appesi esclusivamente come spunto per una conversazione interessante. Sul soffitto
un paio di enormi lampadari di cristallo che dovevano valere da soli quanto il suo intero
appartamento. Fra i quadri alcuni ritratti femminili attirarono la sua attenzione. Le
donne rappresentate avevano tutte qualcosa in comune, una certa somiglianza tra loro.
Potevano sembrare semplicemente una sequela di figlie, madri e nonne di una noiosa saga di
generazioni di aristocratiche nullafacenti. Ma su di lui leffetto era
tuttaltro.
Il buon vecchio Freud gli avrebbe suggerito teorie su ricordi infantili, ma era qualcosa
di molto più recente. Molto più recente...
Ecco cosera, gli occhi. Tutte con lo stesso sguardo, perso in una insoddisfazione
profonda ma allo stesso tempo percorso da un lampo di malvagità compiaciuta. Gli
ricordava qualcosa, una parte della sua vita. Sprofondato in un vortice di pensieri e
ricordi confusi, sentì che lunica via duscita era scoprire chi diavolo gli
ricordava quello sguardo, odioso e affascinante al tempo stesso.
Lo destò un rumore di passi. Si accorse di trovarsi con il naso spiaccicato sul pannello,
come per focalizzare meglio limmagine che lo aveva catturato.
Poggiò lorecchio alla porta. I passi si facevano più pesanti, qualcuno era nella
stanza anche se non riusciva a vederlo. Il salone doveva essere molto più grande della
porzione che riusciva a inquadrare nel proprio campo visivo.
Aveva freddo e un brivido lo percorse dalle caviglie fino alla base del collo. Fino a
qualche istante prima stava soffocando per il troppo calore, ora era più cosciente ed il
gelo lo dissuadeva sempre più dalla convinzione di trovarsi in una visione allucinata
della mente.
Cominciò a notare meglio larredamento. Si accorse che lungo la parete, tra un
quadro e laltro, capeggiavano curiose lampade cilindriche in vetro liscio alte circa
un paio di metri. Doveva essere alto il soffitto, non riusciva a vederlo. Poteva scorgere
solo lestremità dei lampadari.
Le lampade che intravedeva erano almeno una decina, ma tutte spente. Avevano unaria
moderna che poco si accordava con lo stile ottocentesco del resto della mobilia.
Sicuramente il parto di unarredatore schizofrenico.
Intanto i passi si facevano sempre più vicini. Gli sembrò di udire delle voci. Voci di
donna. Due belle ragazze sulla trentina camminavano con passo rilassato lungo la parete
che aveva a lungo fissato. Fu istintivo battere i pugni contro la porta della doccia, per
richiamare la loro attenzione e farsi liberare dalla trappola trasparente.
Nulla, il rumore dei suoi pugni sul plexiglass era sordo, impercettibile.
Fu assalito dal panico. Ora che si sentiva così vicino alla libertà... un sogno? Ma
quanto può durare un sogno?
Disperato, continuò a osservare le donne. La più attraente, capelli rosso fuoco,
mostrava la casa allamica come fosse un giro turistico tra la storia e i segreti del
luogo. Laltra con voce da oca giuliva rideva ad ogni pausa.
Gli stavano davanti e lo osservavano. Poteva sentire le loro parole.
Insomma Elena, la tua collezione di pezzi pregiati? E sai che non parlo
dei dipinti...
Calmati, sei sempre la solita lussuriosa. Lho lasciata per ultima perché
sapevo che dopo non ti sarebbe più interessato il resto della casa. Inoltre sai quanto ne
sono gelosa.
Oltre il vetro i loro sguardi si incontrarono, ma quello di lei sembrò attraversarlo
incurante. Nellattimo in cui gli occhi della rossa lo attraversarono ebbe la
rivelazione che tanto aveva bramato. Quella donna dai capelli come fiamme e gli occhi
color ghiaccio non solo laveva già vista, ma era anche il motivo del suo
stordimento. Piano piano tutto gli riaffiorò alla mente. Era con lei che aveva trascorso
la serata, con lei si era ubriacato, con lei aveva avuto ore di passione indimenticabile.
Eppure mancavano dei tasselli nel mosaico della serata. La doccia in salone,
lamica...
Improvvisamente si accesero le luci delle lampade cilindriche.
Elena disse: Et voilà, la mia collezione!
Lamica emise un gridolino eccitato.
A lui si ghiacciò il sangue delle vene.
Gli strani cilindri che ad un primo sguardo erano sembrati lampade altro non erano se non
cabine doccia. Teche di plexiglass. Come in un museo.
Fu quello che vide allinterno di ciascuna di esse che lo fece vacillare: uomini nudi
dal fisico scultoreo simile al suo. Tutti completamente immobili.
In un ultimo disperato tentativo disse a se stesso: è questa maledetta insonnia che mi
sta distruggendo! Sentì il proprio urlo come se fosse pronunciato da unaltra voce,
lontanissima.
Basta, voglio svegliarmi!
Tanta fu lirruenza e la foga nel colpire con violenza le pareti della doccia,
puntando i piedi sulla base scivolosa, che si ritrovò in terra.
La fronte sanguinava leggermente, poteva sentire sulle labbra il caldo sapore della
propria linfa vitale. Poi solo buio.
Un attimo, unora, uneternità trascorse in un istante.
Lacqua riprese a scorrere sulla sua pelle, il getto anche più forte di prima. Era
caldissima, quasi bollente. Si formò subito una nuvola di vapore che appannò la
superficie della cabina.
Non vedeva più nessuna sala, nessuna donna, un brivido di benessere percorse il suo animo
scosso. Era risucito a svegliarsi da quellincubo ad occhi aperti. Anche la porta
bloccata doveva far parte dellallucinazione.
Lacqua era bollente ma non si alzò per girare la manopola e diminuire la
temperatura, era immobilizzato dalla pioggia di calore in unestasi di pace.
Socchiuse gli occhi. Si sarebbe ritrovato a casa sua.
La temperatura si faceva sempre più alta, la pelle rovente.
Si alzò con una certa difficoltà, non riusciva a muovere le articolazioni, bloccato da
un torpore che lo avvolgeva completamente.
Dallultima porzione della superficie ancora non completamente appannata della cabina
lo sguardo di lui incontrò di nuovo Elena.
Terrore, uno scatto, ma era immobilizzato. Lidrogeno liquido aveva invaso la doccia,
le cui pareti si stavano congelando, così come il suo contenuto.
Lultima sensazione che il suo corpo riuscì a percepire, malgrado la temperatura di
oltre duecento gradi sottozero, fu di immersione in un calore immenso, come fosse in una
placenta materna. Un calore asfissiante.
Ed ecco lultimo pezzo della mia collezione, cara mia. Lho trovato
proprio questa sera. Mi guardava con quegli occhioni da pesce lesso, e poi era così
carino, non potevo lasciarmelo sfuggire.
Elena sei sempre la solita. Non male come ultimo pezzo però.
Ultimo? Mi conosci da così tanto e non hai ancora capito che non sono mai
soddisfatta? E poi ho ancora tanto posto qui a casa mia...
Mi chiamo Andrea Grossi e sono nato a Roma, dove risiedo, nel 1976. Sono laureato in matematica e tra le mie passioni sono decisisamente la musica ( punk rock) che suono e ascolto assiduamente e la lettura (autore preferito Charles Bukowski, buon vecchio Hank). Ho sempre scritto racconti, in forma personale, come necessità piuttosto che velleità artistica, ma alla lunga la curiosità di farli leggere mi comincia ad attrarre.