Ultima corsia

Ultima corsia per Roberto Meroli. All’ultim’ora, tra le tre e le quattro, un taxi lo porta dritto in ospedale, vicino a casa.
A quell’ora la hall è deserta, la sala d’aspetto sgombra e quasi nessuno in infermeria, dopotutto siamo in provincia e anche i turni di notte hanno un’andatura blanda.
C’è solo un paziente, seduto in sala su una vecchia poltrona, accucciato e con il bavero alzato.
È sempre la stessa storia, i pensieri di Meroli convergono prepotentemente verso i soliti problemi di sanità pubblica, i pronto soccorso divengono stanze di ricovero per barboni, ubriachi e tossici.
A quell’ora la sentinella di notte ha già chiuso anche la tv sintonizzata su un’emittente locale, un po’ perché vinta dal sonno e un po’ perché vuole celebrare la fine del turno, come fa ogni volta.
Solo di tanto in tanto, tra una pubblicità e l’altra, tra un canale e l’altro, un’infermiera scruta in prossimità della luce gialla in sala e rivolge una parola al povero visitatore.
“Ancora un paio di minuti e il dottore la vedrà”.
Alle quattro e trenta in punto entra nella hall un altro paziente.
Roberto accenna un saluto al nuovo arrivato, un po’ per cortesia e un po’ per timore delle intenzioni dello sconosciuto.
L’infermiera si augura che non si tratti di nulla di serio, da risparmiarsi così altro lavoro extra. Invece l’uomo è già agitato e mostra alla donna dove il dolore lo ha colto nel sonno: alla bocca.
È un tipo basso e ricurvo, porta un cappotto spesso e largo che gli nasconde la corporatura e il viso con una sciarpa ben avvolta intorno al collo.
L’uomo si sfoga sul bancone e poi va a sedersi vicino a Meroli. L’altro, sempre ben stretto nel suo colletto alzato, poggia la testa tra la spalla e il bracciolo del divano.
L’infermiera lo sente gemere debolmente poco prima che l’incappottato si sieda.

Un lieve russare gutturale.
Solo all’apertura della porta in fondo alla corsia l’infermiera finalmente torna a guardare i tre uomini e vede l’ultimo arrivato reclinato sul paziente addormentato. Il volto di entrambi nascosto dal grande cappotto del primo.
Dopo qualche secondo, l’uomo con la testa abbassata comincia a voltare il capo e così il viso si lascia intravedere mentre alle spalle compare l’espressione dell’altro.
La bocca dell’uomo coricato cede verso il basso e una smorfia lo sfigura, una smorfia tale che le labbra sono sparite e deturpate dietro i denti in evidenza.
Le mani sono contratte in una morsa innaturale e il collo è rivolto e teso verso l’infermiera.
Il viso dell’uomo curvo appare emaciato e scavato più di quanto la donna avesse notato, la luce lì è diversa, trasversale sulla scena. Le pupille sembrano dilatate e ravvicinate come se sforzasse lo sguardo, l’udito però è lesto. Non appena la porta si apre, ne attira l’attenzione, è un istante e l’uomo fugge con la bocca insozzata di sangue.
L’infermiera vede un grosso pezzo di carne pendere tra i denti rossi, ma è un attimo, la figura scompare all’esterno.
Subito dopo, al medico che la raggiunge, la donna racconta che non ricorda nulla, ma in realtà non sa come è accaduto. Strilla, facendo scorrere lo sguardo più volte sulle strisce rosse che delimitano la sala dell’ambulatorio. Arriva a soffocare, la gola attanagliata dall’orrore e dal vomito.
All’interno della sala c’è il corpo di un uomo riverso a terra e una chiazza di sangue si allarga dalla testa.

 

Durante il racconto alle forze dell’ordine la donna parla di tre uomini, stando al rapporto, sono stati registrati all’entrata in ospedale quella notte.
Roberto Meroli non risulta iscritto.
Nel frattempo, viene messo agli atti, al momento del fatto l’orologio segna tra le tre e le quattro.

Tamara Rufo

Ho iniziato a scrivere quando ero poco più che una bambina, la vita mi ha regalato avventure che non avrei pensato possibili, ora la penna è l’arma che adopero per lasciarne una traccia.