Il
pomeriggio si ammanta ormai di nera e morbida seta, unaltra lunga notte insonne mi
attende.
Il mio studio è immerso nella penombra, resa ambrata dalla luce tremolante di esili
candele disposte a casaccio e incollate su vecchi piattini da caffè grazie a poche e
frettolose gocce di cera.
Il fumo azzurrognolo, che si sprigiona dalla brace della sigaretta che tengo immobile tra
lindice e il medio della mia mano sinistra appoggiata sulla scrivania, sale in linea
retta per un breve tratto, poi, come turbato dal flusso daria viziata prodotto dal
mio respiro, inizia a tremolare e a disperdersi in lente volute. Gocce di condensa si
formano sulla superficie del largo bicchiere pieno di bourbon e ghiaccio posato su di una
pila di fogli appena scritti. Il loro destino sarà quello di scendere lentamente lungo il
cristallo lavorato, allo scopo di andare a inzuppare i miei pensieri vergati su carta. A
contatto con lacqua saranno sfumati e confusi, lo stesso effetto che il contenuto
del bicchiere avrà su quelli ancora presenti nella mia testa. Intanto, il pennino
doro della mia Mont Blanc continua a tracciare parole color blu-violaceo, quasi
fosse dotato di una sua propria, perversa volontà.
Non vi dirò il mio vero nome, nè la mia città natale, sarebbero solo parole vuote,
definizioni di un cruciverba senza senso. Non vi fornirebbero alcuna reale indicazione su
di me e non stimolerebbero alcun recesso oscuro della vostra memoria, come quando la
percezione improvvisa di un odore o di un sapore particolare vi guida con la mente fuori
dal corpo, indietro nel tempo, lontano nello spazio. Sarei per voi solo quello che in
realtà sono, un signor Nessuno, un viso tra tanti, grigio nel grigio.
L importante è che sappiate non chi, ma che cosa sono. Sono un ladro,
uno schifoso ladro.
Ho cominciato ad acquisire la consapevolezza dei miei poteri in giovanissima età, in
quella fase della crescita caratterizzata dai primi tentativi di socializzazione, dal
disprezzo più assoluto dellaltro sesso, dal lento transito tra la fase della
dipendenza assoluta dai genitori e quella dellautodeterminazione. In quegli anni
felici appunto, quando si crede a Babbo Natale, al topolino che sostituisce con una moneta
il dentino che ci è appena caduto e che abbiamo amorevolmente lavato ed asciugato prima
di riporlo sotto un bicchiere sul comodino, capii di essere in grado di entrare
nella testa delle persone. Non fu un trauma, non mi provocò alcuna turba
dellinfanzia, semplicemente mi resi conto che potevo farlo. Potevo entrare ed uscire
a mio piacimento dalle menti dei miei compagni di classe o degli insegnanti e farmi
cullare dai loro pensieri come un ragno sulla sua tela mossa dalla brezza. Potevo leggere
le loro emozioni, sentire fremere i loro desideri. Ero in grado di osservare il percorso
di ogni piccolo barlume di energia cerebrale, seguire il suo spostamento nelle
circonvoluzioni della materia grigia, dalla sua creazione fino al riposo nella zona della
memoria. Ma non potevo toccare. Ogni intervento mi era precluso, semplicemente non ero in
grado di influenzare in alcun modo lo spostarsi delle cariche elettriche che formano i
pensieri. Ne venivo come attraversato, se mi passate il paragone, senza
minimamente deviarle dal loro cammino.
Appena capii che soltanto io ero in possesso di questa capacità, decisi che doveva
rimanere un segreto; solo così avrei potuto far giocare a mio favore il potere. Ad
esempio, smisi immediatamente di studiare; scoprivo direttamente le risposte alle domande
che mi venivano poste leggendole dalla mente dellinsegnante di turno, oppure mi
facevo aiutare dai cervelli dei miei compagni più bravi. La mia vita assunse
una piega fantastica, brillavo negli studi, ero benvoluto da tutti perché sapevo sempre
che cosa gli altri si aspettavano da me.
Gli anni passarono in fretta ed io divenni un adolescente di successo, le ragazze
letteralmente impazzivano per me, ascoltavo i commenti provenienti dallinterno delle
loro teste e sapevo che mi consideravano il compagno perfetto. Riuscii addirittura a
sentire che cosa provava, a capire a che cosa pensava, la mia ragazza mentre faceva
lamore con me, una sensazione esaltante. Imparai a prevedere le mosse dei miei
nemici anticipandoli con regolarità, mi laureai giovanissimo e diventai in breve tempo
benestante, il mio fiuto per gli affari divenne famoso, anno dopo anno anche
gli imprenditori più in vista iniziarono a richiedere le mie consulenze con continuità.
Lepisodio che cambiò radicalmente la mia vita si verificò esattamente sei anni fa.
Stavo trattando con un anziano e facoltoso cliente, seduto comodamente in poltrona e
altrettanto comodamente adagiato nella sua mente, quando morì. Fu colpito da emorragia
cerebrale, fu devastante. Percepii distintamente lo sforzo inutile quanto disperato del
suo corpo nel tentativo di difendersi, di arroccarsi in fortezze sempre più profonde.
Vidi il suo cervello letteralmente spegnersi come una lampadina bruciata e diventare
materia morta, sporadiche deboli correnti attraversare la massa grigia. Stavo per
andarmene quando mi accorsi che stava succedendo qualcosa. Una forma di energia che non
avevo mai visto iniziò a manifestarsi sotto laspetto di una luminescenza
azzurrognola, a raccogliersi in un punto determinato fino a diventare una sorta di
bolla. Mi avvicinai con un sottile tentacolo mentale e provai a
sfiorarla, la sensazione fu stupefacente. Percepii una quantità di potere come non ne
avevo mai sentita, fu come una doccia fredda. Istintivamente la abbracciai delicatamente
cercando di possederla, di non farla dissipare, di non perderla. Tale fu lo sforzo che
profusi in quelloperazione, che praticamente la fagocitai. Mi sentii
improvvisamente più forte, ebbi la certezza che i miei poteri mentali si fossero
rafforzati in seguito a quel pasto, che lenergia che avevo assorbito
funzionasse come una sorta di combustibile per le mie capacità. Diventò una
droga.
Cominciai a frequentare ospedali, case di riposo; qualsiasi luogo nel quale poteva
trovarsi qualcuno in fin di vita era per me un terreno di caccia, un supermercato dove
potevo assorbire energia. Mi instauravo nella mente dei più deboli, dei più vicini al
trapasso ed attendevo finché non potevo nutrirmi. Imparai a leggere i sintomi che
indicano limminenza della morte e a sfruttarli per i miei scopi. Innumerevoli volte
seguii ambulanze a sirene spiegate, frequentai sale di rianimazione, mi inginocchiai per
strada accanto ai corpi delle vittime di incidenti stradali, fingendo di dare una parola
di conforto...
Percepivo i sapori.
Non tutte le bolle di energia mi davano le stesse sensazioni, alcune erano, come dire,
dolci al mio palato mentale, altre erano più aspre, alcune più
forti, altre più delicate. Cercai di associare il tipo di persona che rilasciava la bolla
con il sapore della medesima e cominciai ad intuire un nesso. Lesperienza più
incredibile fu lessere nella mente di un kamikaze musulmano nel momento che si
faceva saltare in aria. Sentii la determinazione, il sapore fu deciso, inebriante. Non vi
descriverò, per una questione di rispetto, quello delle vittime.
Volli di più. Mi misi in testa di assaggiare la morte di una grande mente.
Viaggiai in lungo ed in largo per tutto il pianeta alla ricerca dellesperienza
definitiva, del mio traguardo assoluto, del mio punto di arrivo. Percorsi le strade del
Nepal, dellAfrica equatoriale, delle isolette del Pacifico gustando menti morenti,
succhiando via la loro linfa, rubando il loro momento finale. Ma non ero ancora
soddisfatto.
Mi diedi allo studio delle religioni, alla ricerca di collegamenti che mi schiarissero le
idee. Prima i grandi culti monoteisti, poi, a poco a poco, quelli meno conosciuti, meno
praticati, i dimenticati, le religioni animiste. Divenni un cultore delle usanze funerarie
dei popoli più isolati, scoprii i loro segreti, mi cibai della loro ingenuità.
Fu proprio durante un viaggio nel sud del Messico, alla ricerca degli ultimi sciamani
centroamericani, che le cose si complicarono. Avevo sentito che un vecchio sapiente era
prossimo alla morte e mi feci accompagnare dalle mie recalcitranti e superstiziose guide
fino al suo villaggio. Mi apparve deserto ad una prima occhiata, uno spiazzo sudicio
occupato da una grande capanna di fango e canne, circondata da piccole costruzioni
innalzate con gli stessi poveri materiali. Ai margini della radura mucchi di sporcizia,
regno di famelici topi saettanti e di insetti dalle forme e dalle dimensioni più
disparate. Laria era attraversata da una nenia carica di tristezza, sussurrata da
decine di voci allunisono: tutti gli abitanti erano raccolti nella capanna
principale ad assistere il vecchio saggio nelle sue ultime ore. Pregustavo già il mio
pasto, e cominciai a insinuarmi furtivo in un angolino della sua coscienza quando lui mi sentì.
Mi riconobbe come dotato di potere, mi accolse come un vecchio amico ritrovato e con
grande dolcezza mi parlò con la voce leggiadra del suo pensiero. Passarono alcune ore,
stavo seduto nella polvere fuori della capanna di fango, la testa tra le mani, e lui con
immensa pazienza mi spiegava i perché. Mi mostrò immagini, schemi di energia, pensieri
impalpabili come soffi di vento, e capii.
Mi consolò, asciugò le mie lacrime mentali, mi avvolse nel suo amore come in un fresco
vestito sul mio corpo sudato. Quando venne il suo momento se ne andò con fiducia e
dignità, con lentusiasmo di un bambino al suo primo viaggio. La sua sfera di
energia, di un azzurro cristallino si dissipò indisturbata, meravigliosa nella sua
innocenza.
Tornai a casa come un automa, il viaggio di ritorno fu terribile. Fui perseguitato da
pensieri angosciosi, incubi tonanti come la voce di un Dio crudele mi accompagnarono. Mi
rinchiusi in casa, vittima dellalcool e della nicotina per mesi. Poi mi riavvicinai
alla vita, pervaso da un senso di vuoto incolmabile, e decisi di provare a lasciare una
testimonianza che mi aiutasse a espiare le mie colpe impedendomi di dimenticare. In fondo,
lultimo colpo di batteria fa spesso più rumore dellintero concerto che lo ha
preceduto.
Adesso sono nel mio studio, da solo. Il liquore, con le sue onde calde e morbide contrasta
la tempesta che agita le acque della mia coscienza. Scrivo e mi chiedo, perché?
Oh, Dio, perché? Perché mi hai lasciato vivere?
Perché non hai stretto il tuo pugno impietoso sulla mia misera esistenza, ponendovi fine?
Perché hai lasciato che roso dalla curiosità e dalla sete di potere piombassi come un
avvoltoio su quegli innocenti, condannandoli?
Perché hai lasciato che rubassi, che penetrassi nelle menti di tutti quei poveracci con
il solo scopo di cibarmi delle loro Anime?