Spiriti invisibili

“Ci sono spiriti invisibili, mon ami,” mi disse Marc Houlen, mio amico di lunga data, non appena entrai nella sua camera all’ospedale militare di Bonne-sur-Lais.
Marc era uno scienziato ed un esperto chirurgo e, allo scoppio della Grande Guerra, aveva messo la sua abilità al servizio della Patria, divenendo medico nell’esercito francese, attualmente stanziato in Belgio per contrastare l’avanzata dell’Impero Germanico. Io, che per i miei studi già da anni ero emigrato negli Stati Uniti, lo avevo raggiunto non appena ebbi ricevuto il telegramma che mi informava del suo insano gesto.
Sul momento ne ero rimasto sconvolto, chiedendomi che cosa avesse mai spinto una persona di scienza come Marc ad agire in maniera così drastica e lesiva. Quando poi fui al suo cospetto, mi resi conto che non solo il suo fisico era danneggiato irreparabilmente, ma anche che qualcosa nella sua testa si era guastato. Rideva di soddisfazione spesso e senza alcun motivo apparente, nonostante il suo grave trauma. E, soprattutto, continuava a parlare di spiriti invisibili.
Un giorno gli domandai una volta per tutte se queste entità, il cui nome ripeteva molto spesso e con timore, quando non con terrore vero e proprio, avessero qualcosa a che spartire con la sua condizione fisica. Con mia grande sorpresa - perché consideravo questi spiriti invisibili nient’altro che un delirio della follia - in tutta risposta mi rise in faccia. “Ma è ovvio!” aggiunse poi, come a schernirmi.
Attribuendo la sua arroganza alle precarie condizioni di salute in cui versava, e quindi passandoci sopra con noncuranza, gli chiesi di raccontarmi in che modo si fosse ritrovato in quella terribile situazione.
Dopo che ebbi udito la sua storia, non tornai mai più a fargli visita, né volli avere altra notizia riguardo a Marc Houlen.
“Come sai, amico mio,” cominciò, “sono sempre stato affascinato dall’esperienza scientifica, in particolare trovando meravigliosa la possibilità di poter conoscere grandissime cose del mondo attraverso principalmente uno solo dei cinque sensi, la vista.
Prova però a pensare all’odorato di un cane: riesce a ricevere un numero enormemente elevato di stimoli che a noi uomini non è dato conoscere. Lo stesso vale per il nostro senso della vista, che è limitato alla percezione di un numero molto ristretto di colori, forme e dimensioni. Ma ci sono onde di luce che vanno al di là della frequenza che l’occhio è in grado di riconoscere ed elaborare, come ad esempio gli infrarossi. Su di essi si è concentrata la mia ricerca.

Il tutto è stato molto semplice. Dopo aver studiato a lungo le ipotesi dei grandi che mi precedettero, arrivai a formulare un’ipotesi che ritenevo corretta. Come ben sai, essendo anche tu un uomo di scienza, ogni teoria richiede di essere verificata, per cui ho allestito un piccolo laboratorio quasi segreto proprio qui, nell’ospedale, facendomi consegnare attrezzature che, dicevo, dovevano servire per aiutarmi a sperimentare nuove tecniche chirurgiche, cosicché nessuno mi fece mai domande particolarmente invadenti.
Ora non voglio descriverti la fase tecnica del mio esperimento.” Fece una pausa. “Anche perché ho paura che tu possa ripeterlo e finire come me.”
A quel punto, pensando a quell’eventualità, rabbrividii.
“Perciò,” proseguì, “ti basti sapere che collegai una serie di sei lampade che avevo modificato - non ti dirò in che modo - per emanare raggi infrarossi, ad un trasformatore in grado di aumentare di molto la loro intensità. Infine avevo unito ad essi una coppia di elettrodi che, al momento della verifica sperimentale delle mie ipotesi, mi sarei attaccato alle tempie.
Così, quando fui sicuro che tutto fosse a posto, diedi inizio all’esperimento.
Mi ero interrogato molte volte sulla sicurezza e l’opportunità di ciò che andavo a fare, ma, alla fine, amico mio, era scienza! La voglia di conoscere aveva vinto ogni timore e ogni prudenza.
Azionai il trasformatore, il quale emise dapprima un ronzio spettrale, poi un tremulo borbottio, quindi collegai gli elettrodi ed accesi le lampade. A quel punto accadde l’impensabile, che mi riempì, da un lato, della gioia e dell’estasi che solo una scoperta rivoluzionaria e rivelatrice sa donare, e di ignoto terrore dall’altro. Perché, vedi, io ero il primo uomo a mettere piede in quel mondo pauroso e misterioso, che pure era il nostro mondo, solo visto sotto una luce differente.
La stanza si era tinta di rosso, come le camere oscure dei fotografi. I muri ed i mobili non erano propriamente spariti, erano diventati parte di un panorama che andava oltre la fisicità degli oggetti e sconfinava in qualcosa che non potrei descrivere. La cosa che mi colpì maggiormente, comunque, fu il silenzio, rotto soltanto dal rumore del generatore.
Ero estasiato da quanto mi circondava, perché si trattava senza dubbio di una scoperta rivoluzionaria.
Poi la felicità si tramutò in incubo, quando vidi gli spiriti. All’inizio solo macchie purpuree che mi si facevano intorno, poi cominciarono a prendere una loro forma propria.
E che forma rivoltante, amico mio! Avevano facce e non le avevano. Avevano corpi umani e mostruosi, corpi di topo, di uccello, di giganti e nani deformi... Alcuni di loro erano cosparsi di sangue, ad altri penzolavano grosse escrescenze di carne morta e putrefatta dal corpo. Tutti quanti venivano verso di me, perché sapevano che stavo violando il loro spazio, come io so che è giorno. Sapevano che li potevo vedere!
Ascoltando le deliranti rivelazioni del mio amico mi sorpresi in preda ad un terrore oscuro, sebbene non fossi una femminuccia che si spaventa per i racconti di un malato, il pensiero di creature mostruose ed invisibili che coabitano con l’uomo, e che quindi potevano anche essere con noi in quel momento, in quella fatiscente stanzetta spartana, mi faceva provare il desiderio fortissimo di fuggire via a gambe levate dal capezzale di quel povero storpio. Marc, del canto suo, provava dieci volte il mio orrore. Era sudato e stringeva il lenzuolo con entrambe le mani, tremando vistosamente.
“Li ho visti, amico mio,” disse alla fine in un sussurro. E fu l’ultima frase che gli volli sentir pronunciare. “Li ho visti con i miei occhi. E mi sono entrati dentro, perché è questa la loro arma, entrarti dentro, restare impressi per sempre nella mia memoria per colpa dei miei occhi maledetti! E adesso sai perché l’ho fatto. Adesso sai perché ho deciso di cavarmi entrambi gli occhi.

Andrea Santucci