La cavalcata delle Valchirie

Mancavano poche miglia ormai.
Il sole, ormai prossimo all’orizzonte, tingeva di carminio le rade nuvole grigiastre sospese come un triste gregge sulla tundra siberiana. Proiettava lunghe ombre, che le Valchirie vedevano danzare sfuocate sotto di loro, a causa della velocità, nel loro incessante seguire le depressioni del terreno paludoso.
Come mortali predatori gregari le guerriere avanzavano in formazione compatta, pronte ad allargarsi a ventaglio in prossimità dell’obiettivo.
Il tetro panorama sembrava non mutare mai. Era fatto di distese acquitrinose, costellato di basse colline spoglie ricoperte di licheni monocromatici e intervallate da valli poco profonde, disseminate di pozze dall’aspetto malsano. Nugoli di piccoli insetti si sollevavano agitati al passaggio del branco come sottili veli di seta nerastra, acquietandosi poco dopo per tornare ad ignote attività.
Stavano sfruttando quasi al massimo le potenzialità dei loro veicoli d’attacco, piccoli e velocissimi “hoverscooter”, forme allungate ricoperte di placche di metallo brunito, simili a bizzarri ed aggressivi coccodrilli. Protese in avanti in posizione semisdraiata, avvolte dalle tute intessute in fibra aramidica, volavano a pochi centimetri da terra al riparo dei piccoli schermi in plexiglass rinforzato di cui le loro bizzarre cavalcature erano dotate. Le mani guantate stavano strette sui comandi, i pollici a pochi millimetri dai pulsanti di sparo delle armi ad energia.
Le Valchirie erano l’ultima speranza della terra. I pochi umani rimasti appartenenti alla razza dominante, vivevano in enclavi isolate, nei luoghi meno ospitali ed accessibili del pianeta, dalla metà del quarto millennio. Costretti a ritirarvisi in seguito alla sconfitta subita ad opera degli alieni invasori provenienti da un vicino sistema stellare, si erano nascosti a leccarsi le ferite in attesa di riorganizzarsi per una controffensiva. Dopo duecento anni di dominazione aliena, durante i quali la differenziazione tra la razza dominante e quella dei “muli”, come venivano comunemente chiamati i “non trattati”, si era fatta ancora più marcata, gli umani erano riusciti a ricostruire una forza di attacco, allo scopo di riprendersi il pianeta. L’alternativa era l’estinzione, gli alieni stavano impadronendosi di tutte le risorse rimaste.
Giunsero in vista di una bassa linea di colline. Brunilde, la caposquadra, ordinò l’alt, tutte le oltre duecento guerriere rallentarono progressivamente i loro veicoli convergendo verso la loro comandante in attesa.

- Oltre quelle colline troveremo una vallata sgombra. Non un albero od una roccia, niente. La fattoria dista circa quattro miglia, ed è difesa da una linea di fortini. Fate attenzione, sono dotati di laser ed armi termiche. Sono letali. Distruggetene più che potete ma non perdete tempo. Ripeto, non perdete tempo. L’obiettivo è conquistare la fattoria. Non si fanno prigionieri, sterminate tutti gli alieni che incontrate sul vostro cammino. Usate i maser, li fanno esplodere come palloncini. Evitate i corpo a corpo, i loro esoscheletri sono micidiali. -
Abbracciò con lo sguardo le sue compagne, terribili combattenti, impressionanti nelle loro tenute da combattimento dotate di protezioni nei punti vitali, e disse: - Ci apriremo in formazione d’attacco appena passata la collina, in modo da non offrire un bersaglio facile, poi inizieranno le danze. O si vince o si muore. Buona fortuna. E’ tutto. - Si riposizionò il casco grigio ferro, dalla grottesca forma triangolare che la faceva somigliare ad una mantide religiosa, e salì di nuovo a cavalcioni del suo veicolo. Si infilò i guanti sulle mani dalle unghie simili ad artigli e dalla pelle resa verdastra dal “trattamento”. Poi, improvvisamente, alzò il braccio destro al cielo con l’indice puntato verso l’alto ed emise un grido simile ad un ruggito. Le compagne la imitarono, era il segnale. Si avviarono prima lentamente, poi accelerando a velocità folle in direzione delle colline. Appena varcata la cresta Brunilde urlò nel trasmettitore: - Hildr! Sigrun! Allargate le ali della formazione! Attacchiamo! - Si gettarono come falchi in picchiata lungo la valle in direzione della prima linea di difesa.

 

Il “trattamento” era stato perfezionato verso la fine del terzo millennio. In quegli anni, i laboratori di ricerca genetica erano impegnati nel tentativo di modificare alcune sequenze del DNA umano. Lo scopo era quello di creare delle “sottorazze”, dotate di particolari caratteristiche che consentissero, ad esempio, il lavoro in condizioni estreme o la respirazione sott’acqua. I risultati furono scarsi, i cloni morivano come mosche, povere creature dall’aspetto mostruoso che venivano immediatamente soppresse, o ibridi uomo-animale con poche settimane di aspettativa di vita. Lentamente si arrivò a scoprire che il corpo umano, se sottoposto a radiazioni di particolare lunghezza d’onda ed intensità, in abbinamento con l’assunzione di prodotti chimici somministrati mediante “NDS” (acronimo di Nano Delivery System, un sistema di nanocapsule in grado di raggiungere inalterate gli organi bersaglio), reagiva sviluppando un irrobustimento generale, un’estrema forza muscolare ed una crescita cellulare superiore. L’altezza dei “trattati” superava abbondantemente i due metri, e la vita media si allungava fino a sfiorare i duecento anni. Gli unici effetti collaterali sgradevoli erano il colorito verdastro della pelle e la necessità di un’alimentazione ad hoc, ma furono considerati un’inezia al confronto delle enormi potenzialità che il “trattamento” donava.
Durante i primi anni successivi alla scoperta, i “trattati” vennero considerati alla stregua di animali, ma lentamente, anno dopo anno, molti rappresentanti delle classi più agiate iniziarono a farsi sottoporre alla procedura, con il miraggio di una vita lunga e la quasi assenza di malattie (il “trattamento” impediva lo sviluppo di qualsiasi degenerazione cellulare). Nell’arco di due secoli i “trattati” divennero la classe dominante del pianeta, gestirono la parte restante del genere umano alla stregua di bestie da soma, assumendo il controllo totale dell’economia e delle risorse energetiche mondiali.
Finchè non arrivarono gli alieni. Attaccarono la Terra con immense astronavi interstellari dotate di armi magnetiche capaci di influenzarne la rotazione, provocarono immensi cataclismi e misero in ginocchio la popolazione. Poi invasero il pianeta e dopo una guerra lunga e sanguinosa, che durò oltre venti anni, instaurarono un regime schiavistico.
Orribili a vedersi, forme sferoidali leggermente oblunghe, simili a grosse sacche tenaci ed elastiche semitrasparenti piene di un siero opaco, deambulavano grazie ad una serie di peduncoli ambulacrali posti nella parte inferiore, e si nutrivano di fluidi organici, che aspiravano tramite tubuli che erano in grado di estroflettere. Alti circa un metro e mezzo, proteggevano i loro fragili corpi mediante esoscheletri metallici che li facevano assomigliare ad orribili ricci marini. Il combattimento corpo a corpo diventava così mortale per l’uomo, in palese svantaggio. Spesso trovava una fine orribile trafitto dai micidiali aculei.
Una volta preso possesso del pianeta, gli alieni si organizzarono in piccole cittadelle dette “fattorie”. Vi tenevano prigionieri i poveri umani non “trattati”, utilizzandoli come bestie da macello destinate ad una fine angosciante: avevano infatti scoperto che il sangue umano era compatibile con la loro biologia aliena ed erano diventati dei “vampiri” a tutti gli effetti.

 

Le valchirie avevano coperto circa metà della distanza che le separava dalla prima linea difensiva, quando il nemico aprì il fuoco. La prima salva di raggi ad energia colpì il terreno a pochi metri dalle avanguardie dalla squadra, scavando crateri fumanti e sollevando una fitta nebbia di vapore causato dal grande calore generato. Poi, gli alieni cominciarono ad aggiustare la mira. La Valchiria al fianco di Brunilde venne letteralmente tagliata in due da una scarica, l’hoverscooter esplose e sul terreno piovve sangue mescolato a brandelli di carne e lapilli di metallo fuso. I primi due fortini, tozze costruzioni a forma di coni tronchi, esplosero centrati dai proiettili esplosivi sparati dalle attaccanti. Brunilde colpì il fortino più vicino con una scarica maser, uccidendo in modo spettacolare gli occupanti. Il maser, ottenuto per amplificazione di un raggio di microonde, alzava la temperatura di qualsiasi fluido di centinaia di gradi in una frazione di secondo. L’effetto sugli alieni era devastante, li faceva letteralmente esplodere causandone l’ebollizione dei fluidi interni.
Sigrun, la vicecaposquadra morì in modo orribile, colpita da un’arma termica; erano “proiettili” di energia pura che a distanza prestabilita si espandevano creando una “bolla” di una decina di metri di diametro in cui la temperatura sfiorava i duemila gradi. Sigrun fu carbonizzata in pochi secondi, Brunilde udì il suo straziante grido di dolore nel comunicatore.
La battaglia proseguiva, i fortini erano stati quasi completamente distrutti e le Valchirie oltrepassarono la linea di difesa; un’attaccante era riuscita a far esplodere uno dei bersagli gettandovisi contro con il suo mezzo, carico di esplosivo, ormai ferita a morte da una scarica che le aveva amputato un braccio e parte di una gamba.
Restava ormai l’ultimo tratto in discesa fino alla “fattoria”. Brunilde, con il sudore acido e giallastro che le colava negli occhi causandole una dolorosa sensazione di bruciore, chiese informazioni alle compagne sull’entità dei danni. Circa venticinque di loro erano morte in modo atroce, ma era un danno calcolato.
Cominciarono a tempestare le mura metalliche della cittadella con i proiettili esplosivi, volteggiando sotto il tiro incrociato delle postazioni difensive, colpendo e venendo colpite in un’orgia di sangue ed esplosioni, tra il balenare delle scariche di energia ed i cupi boati degli impatti delle granate. Finalmente, a prezzo di molte perdite, riuscirono ad aprire una breccia nella fortificazione e Brunilde vi si gettò a capofitto spingendo al massimo il potente motore del suo hover. Fu colpita di striscio al collo ma continuò ad avanzare urlando il grido di battaglia della sua squadra, votata alla morte. Improvvisamente furono dentro, e fu una carneficina. Gli alieni tentarono una disperata difesa ma furono travolti dalla marea montante delle attaccanti che ne uccisero a centinaia. Colpiti dai maser esplodevano con fragore, l’impatto psicologico era terribile, i difensori furono sopraffatti e massacrati.
Le Valchirie restanti, circa centotrenta, pur ferite ed ustionate abbandonarono i loro mezzi nel cortile della cittadella ed iniziarono l’operazione di rastrellamento. Si sparpagliarono in tutte le direzioni scovando ed uccidendo tutti gli alieni che incontravano. Quando non erano protetti dagli esoscheletri erano vulnerabili come bambini, bastava un colpo inferto con le mani inguainate dai terribili guanti uncinati per squarciarne il fragile involucro.
Dopo pochi minuti il massacro era terminato. Brunilde si piantò a gambe divaricate in mezzo al cortile intriso dei fluidi colati dai corpi lacerati degli alieni. Si tolse il casco mostrando i lunghi capelli neri - Valchirie, rapporto! - urlò.
Hildr si avvicinò barcollando, era stata colpita da una scarica ed aveva il lato sinistro del volto annerito. Un rivolo di sangue le colava dall’occhio semichiuso; si inchinò rispettosamente alla caposquadra e disse: - Tutti gli alieni sono stati eliminati, nessuno è fuggito, abbiamo distrutto la sala comunicazioni. Abbiamo preso possesso della fattoria. -
- Avete trovato i muli?- Chiese la sua superiore.
- Sì, mia Signora, sono in un recinto sul retro della costruzione principale. -
Brunilde si avviò in quella direzione con passo fermo, seguita dalle compagne che ridevano e scherzavano tra loro ricordando i momenti topici della battaglia. Aggirò la costruzione a base pentagonale che gli alieni utilizzavano come alloggio e raggiunse il recinto dove una cinquantina di umani, soprattutto donne e bambini, stavano stretti gli uni agli altri. Erano sporchi e tremanti, pallidi ed emaciati, osservavano con occhi liquidi la Valchiria che si avvicinava.
- Guardate che orrore, vengono tenuti come bestie. Almeno noi li diamo un letto ed un tetto sulla testa!
Si approssimò al recinto, con una mano sporca di linfa aliena additò una ragazzina di forse dodici o tredici anni dalla pelle bianchissima, i capelli colore della cenere ed un paio di grandi occhi azzurri pieni di terrore. - Tu, vieni qui! - Ordinò.
La ragazzina si avvicinò con passo malfermo fino a trovarsi a pochi centimetri dal recinto dove Brunilde era in attesa. Teneva lo sguardo fisso per terra e tremava visibilmente, terrorizzata si orinò addosso. Improvvisamente la mano guantata della Valchiria scattò e si chiuse come una morsa attorno alla trachea della bambina. Gli artigli penetrarono nella carne, il sangue prese a sgorgare macchiandole il sudicio vestito. Venne sollevata da terra, rivoli rossi scendevano lungo il braccio della Valchiria che strinse la presa con un ghigno malvagio dipinto sul volto. La bambina fu scossa da violente convulsioni poi si acquietò. Fu lanciata in mezzo alle Valchirie ghignanti, i denti appuntiti snudati come lame. Brunilde gridò: - Preparate il banchetto! Domani sera attaccheremo un’altra fattoria a duecento chilometri da qui, e vi voglio in forze! Insegneremo a questi bastardi alieni a non toccare il nostro cibo...

Gianluca Magozzi