La svolta

Li incontrammo per la prima volta esattamente il 27 giugno del 2031, poco oltre l’orbita di Plutone e fu un vero disastro. Facemmo veramente una colossale brutta figura.
L’umanità aveva lavorato per quasi vent’ anni a quel progetto, il primo in assoluto della storia, una nave interstellare capace di trasportare centinaia di persone a distanze impensabili, siderali. Avevamo visto troppi film.
Da quando, nel 2011, il grande fisico italiano Carlo Rubbia aveva scoperto il modo per “raddrizzare la curva del tempo sfruttando l’energia intrinseca dei tachioni come dissipazione periferica” (secondo quanto lui sosteneva), ci si era resi conto che sfruttando adeguatamente questo principio avremmo potuto costruire la prima grande nave FTL (Faster Than Light, n.d.a.), e viaggiare nello spazio a velocità superiori a quella della luce. Avremmo viaggiato alla ricerca della vita, a spasso per la galassia. Gli anni passavano lentamente, in orbita i lavori procedevano e noi ci addestravamo. Io facevo parte dell’equipaggio, sono il tenente Malcom McNist, addetto alle comunicazioni della “Star Friendship” (questo il nome della nave), e fui io a ricevere il primo messaggio dei Queerh.
Fummo addestrati ad ogni evenienza, eravamo un equipaggio di prim’ordine, tutti noi eccellevamo nel nostro rispettivo campo di studi. Avevamo passato decine di selezioni e battuto migliaia di aspiranti allo scopo di far parte all’avanguardia di quella che immaginavamo sarebbe stata la generazione degli “esploratori del cosmo”. Non andò esattamente così.
Arrivò il grande giorno, la partenza. In plancia ad osservare la Luna ruotare lentamente ed allontanarsi c’era il comandante Anselmo J. Mendoza, in odore di diventare ammiraglio della nascitura flotta spaziale. Era un uomo dalla carnagione scura e i sottili baffetti, che non faceva mancare mai un sorriso al suo equipaggio. Un vero leader, che aveva iniziato la sua carriera sulle portaerei tanti anni prima. Poi c’era il primo ufficiale, il maggiore Samantha Ivanova Jackson, di madre russa e padre afroamericano, una mulatta dalla bellezza statuaria, il primo giorno che la vedevi te ne innamoravi perdutamente, il secondo giorno la odiavi con ogni singolo filamento di DNA del tuo corpo perché era una stramaledetta rompicoglioni. E si diceva che le piacessero le donne.
Il navigatore astrale, assiso sul suo scranno di acciaio al cromo era il colonnello Helmut Reder, tedesco di Germania, un simpatico crucco con una bella pancetta da bevitore di birra e i capelli che tendevano a spostarsi in avanti a coprire un incipiente calvizie.
Immerso nelle mie apparecchiature c’ero io, ed accanto a me il capo della squadra di sicurezza, un italoamericano, Luke Evangelisti, che sembrava un soldato ed il contrario di un soldato, anzi dava quasi l’impressione di un mercenario con i suoi capelli lunghi raccolti in una coda ben tirata e lo sguardo assente tipico del sognatore. Si diceva in giro che, quando anni prima aveva fatto parte dello staff della sicurezza del Presidente, avesse ucciso due terroristi armati a mani nude. Questo non me lo rendeva certo più simpatico, sapere di avere accanto una persona che con un colpo ben assestato ti può spezzare l’osso del collo mi mette sempre addosso una carta inquietudine.
Comunque partimmo, la nave scivolò maestosa ruotando su se stessa tra il tripudio delle folle sulla terra e il saluto delle autorità planetarie che avevano raggiunto la stazione spaziale per vederci partire e fare i soliti discorsi retorici sul progresso dell’uomo e stronzate simili.

Acquistammo lentamente velocità senza una scossa, nel più completo silenzio, tutti i quasi quattrocento uomini e donne dell’equipaggio svolgendo con diligenza il proprio lavoro.
Dopo poche ore eravamo abbastanza distanti dalla Terra per poter attivare i motori ad effetto Rubbia ed effettuare il primo balzo di prova che ci avrebbe portato fuori del sistema solare. Il comandante ci annunciò l’inizio della procedura e tutti attendemmo con le dita incrociate (io anche con le chiappe strette) di essere trasformati per pochi istanti in atomi urlanti in giro per lo spazio. Avvertii un leggero capogiro, poi il comandante disse - Fatto, Dio sia ringraziato, siamo tutti vivi. Mi rilassai sulla poltrona, appoggiando la testa all’indietro, e respirai profondamente, non sono un cuor di leone, sono perfettamente consapevole della fragilità delle mie ossa.
Stavamo ancora festeggiando con i colleghi della plancia quando la Voce mi esplose nell’intercom: - FERMATEVI IMMEDIATAMENTE!!
Restammo tutti annichiliti dal tono con il quale era stata pronunciata la frase, e ci incazzammo pure un po’, pensavamo - chi si permette? Poi vedemmo la nave.
Apparve improvvisamente nei nostri monitor, semplicemente immensa. Un pianeta artificiale. Di nero metallo.
La voce riprese: - NOI SIAMO I QUEERH. SIAMO I GUARDIANI DELLA GALASSIA. AVETE COMMESSO UNA GRAVISSIMA INFRAZIONE.
Il comandante mi ordinò di aprire una comunicazione sulla stessa frequenza e, con voce calma ma autoritaria rispose: - Sono il comandante Mendoza della nave stellare “Star Friendship” di provenienza terrestre, in missione di esplorazione. Chi vi dà l’autorità per agire in questo modo?
La risposta non si fece attendere: - NOI SIAMO I QUEERH, SIAMO I GUARDIANI DELLA GALASSIA, LA VOSTRA NAVE E’ SOTTO IL NOSTRO CONTROLLO. NON REAGITE O SAREMO COSTRETTI A DISTRUGGERVI. AVETE COMMESSO UNA GRAVISSIMA INFRAZIONE. PAGHERETE. MANDATE UNA DELEGAZIONE.
Avrei giurato che non scherzavano. Mi feci piccolo nel mio sedile e attesi gli eventi.
Il comandante convocò immediatamente una riunione dei capifunzione della nave per prendere una decisione. Quando si ripresentò in plancia capii dal suo sguardo che qualcosa girava per il verso sbagliato. Disse: - Signori dell’equipaggio, abbiamo deciso di mandare due persone per incontrare i Queerh. Sarà senz’altro un grande passo per l’umanità incontrare per la prima volta una civiltà aliena.
I due prescelti dovranno essere onorati di partecipare alla missione e di rappresentare l’umanità. Andranno il capitano Evangelisti ed il tenente McNist. In bocca al lupo Ragazzi.
Mi sentii svenire. Dovevo andare davvero in bocca al lupo ed in compagnia di quell’energumeno. Pensai in una frazione di secondo a tutte le scuse che avrei potuto inventare per giustificare la mia rinuncia, ma mi resi conto infine che sarei diventato lo zimbello dell’intero pianeta. Gli altri ufficiali si stavano ancora congratulando con me e io pensavo già a cosa far scrivere sulla mia lapide.
I preparativi furono rapidi, ci mettemmo l’alta uniforme, saltammo su di una navetta e partimmo. In pochi minuti arrivammo in prossimità della nave aliena, un raggio traente ci agganciò e ci portò all’interno di essa, fino ad una banchina di attracco. Attendemmo che la pressione interna si adeguasse a quella esterna e poi, prudentemente, sbarcammo. Trovammo ad aspettarci sul molo un buffo essere, vestito con una uniforme nera bordata di bianco, sembrava un incrocio tra uno yeti ed un serpente. Pensai che fosse un Queerh. Seppi più tardi quanto ottimistica fosse stata la mia ipotesi.
Evangelisti si piantò davanti all’essere e gli chiese: - Sei un Queerh?
Questi, dopo essersi profuso in un profondo quanto goffo inchino ci rispose con una voce gradevole come il rumore di una sega elettrica: - no, signori, io sono un Grub, un servo dei signori Queerh, sono incaricato di recarvi da loro. Seguitemi.
Ci incamminammo dietro all’alieno, Evangelisti con passo baldanzoso, io quasi strascicando i piedi, finchè giungemmo vicino ad un bizzarro veicolo che pareva non toccare terra. Il rettile (lo chiamerò così per comodità) ci invitò a salire dicendo che c’era molta strada da percorrere e noi lo assecondammo. Salimmo sul veicolo che schizzò a velocità folle tra corridoi illuminati e trafficatissimi. Evangelisti sembrava divertirsi un sacco, quasi fosse al luna park, io stavo per vomitare.
Ci fermammo (finalmente) in una grande sala dalla quale passammo in una stanza anonima con le pareti verniciate di bianco. Stentavo a credere di trovarmi all’interno di un’astronave, sembrava un qualche ufficio, o la sala di aspetto del medico di famiglia. L’unico arredamento era composto da alcune strutture curve e sostenute da quattro robuste zampe. Mi chiesi se fossero sgabelli e che tipo di fondoschiena ospitassero normalmente. Davanti a noi una porta a vetri opachi, attraverso i quali si intuiva del movimento. Mi voltai per chiedere indicazioni al nostro cicerone (al nostro Virgilio, mi venne in mente), ma era già sparito. Eravamo soli. La porta iniziò lentamente ad aprirsi, ruotando su cardini invisibili, silenziosamente. Entrammo nella sala adiacente, io naturalmente con lo sguardo rivolto al pavimento. Riconobbi la Voce, c’erano Loro. Stramazzai in ginocchio. Dissero: - AVETE COMMESSO UNA GRAVISSIMA INFRAZIONE, AVETE VIAGGIATO NELL’IPERSPAZIO ALL’INTERNO DI UN SISTEMA PLANETARIO...
Percepii un dolore lancinante all’orecchio sinistro e pensai per un attimo che fosse l’effetto di chissà quale raggio neurodistruttore, in realtà era Evangelisti che mi aveva preso l’orecchio tra il pollice e l’indice e me lo stava ruotando con forza in senso antiorario sibilandomi tra i denti: - Alzati verme... ci stanno multando per eccesso di velocità...

Gianluca Magozzi