Di notte,
la montagna è come una farfalla con la coda: ci cammini sopra, ma non incontri mai le
ali. Questo pensava Corrado quando partiva per unescursione e percorreva lentamente
i sentieri vicini al laghetto alpino, dove abitava sin da piccolo.
Corrado, da buon etologo, era un uomo paziente e testardo. Da bambino sognava mostruose
creature degli abissi; da adolescente simmaginava abile interprete delle voci dei
gorilla; da uomo fatto, fortunatamente, si era dedicato alle montagne dovera nato,
scrutando la terra e il muschio. La ricompensa, che spesso fa visita allumiltà, fu
la scoperta di una nuova specie di formiche che, vivendo nel sottosuolo e nutrendosi
esclusivamente durante la notte, era sfuggita, fino ad allora, allocchio degli
uomini di scienza.
Così trascorreva le nottate presso le rive del lago, con un pila tascabile, una paletta e
un secchiello, come un bambino troppo cresciuto. Nella sua baita aveva adibito
unintera stanza a laboratorio, sistemando le teche di vetro che imprigionavano i
formicai attorno a un personal computer, dove annotava i suoi rilievi e ascoltava musica
classica.
Da quando aveva individuato quelle bestiole, assegnate dallecosistema al turno di
notte, lavorava alacremente per giungere, prima possibile, alla stesura di un articolo
completo, da lanciare nella giungla delle riviste specializzate. Non era una scoperta da
premio Nobel, ne era conscio, ma gli avrebbe dato notorietà e, soprattutto, discreti
finanziamenti per proseguire gli studi.
Anche la moglie comprese, e decise di trascorrere il Natale dalla suocera, assieme ai
figli, per dare a Corrado totale libertà. Lui, fingendo di accettare a malincuore, era
partito per le rive del lago la notte stessa, nonostante il freddo intenso. Poco gli
importava che fosse la vigilia di Natale: aveva individuato tre nuovi formicai e voleva
studiarli.
Imbottigliato fino al collo nel suo giubbotto scorreva il terreno con la luce della pila,
camminando chino e in silenzio. Allaltezza del primo segno non scorse nessuna
formica. Forse le aveva spaventate. Si diresse verso il secondo formicaio, a ridosso del
lago, dove il sentiero era fatto di ghiaia e sabbia, per agevolare le escursioni dei
turisti. Mentre, con la luce, allontanava il buio dai piedi, una falce di luna gettò il
suo riflesso sullacqua. Quel leggero chiarore gli impedì dinciampare in un
grosso tronco messo di traverso, che riuscì a vedere appena in tempo, nella penombra.
Scavalcò lalbero poggiandoci sopra il piede, ma era così viscido che, quando vi
portò il peso del corpo, scivolò bruscamente, facendosi sfuggire la pila e sbattendo il
petto sopra la corteccia liscia e gelata. Non ebbe il tempo di riprendersi. Il tronco
scattò in avanti, emettendo un sibilo fortissimo e lasciandolo prono e dolorante sulla
ghiaia. Si rese conto che quelloggetto era vivo proprio mentre gli saliva addosso,
strisciando e schiacciandogli la schiena con tutto il suo peso. Non riusciva quasi a
respirare. Solo quando sentì, vicino alla faccia, che quel peso ansimava e soffiava,
realizzò che ciò che gli schiacciava la schiena era un enorme animale. Sentiva il suo
fiato sulla nuca e un liquido freddo cominciò a scorrergli lungo il collo. Sovrastato
più dalla paura, che dal peso della bestia, Corrado riusciva a malapena a muoversi.
Passò solo pochi secondi in quella posizione, cercando di tirare su il collo e guardarsi
dietro, perché ben presto tutta ladrenalina che aveva in corpo si sprigionò.
Qualcosa di freddo, viscido e molle gli strisciò sulla faccia: quella specie di rettile
lo stava leccando! Si spinse di lato con uno scatto, fuori da quel corpo e finalmente
respirò. La bestia cominciò a lanciare una serie di sibili sommessi, uno dietro
laltro, come fossero dei piccoli gridi: uiiihh... uiiihhh... uuiiih... Erano versi
sgradevolissimi, ma Corrado non ebbe il tempo di irritarsi, perché i suoi meccanismi di
autodifesa erano ormai in piena estasi. Da disteso sferrò un calcio, più forte che
poteva, a quella massa viscida, e sentì la punta del piede colpire un corpo molle, come
un sacco di gomma. La bestia lanciò un uuhihiihh più forte degli altri e
scattò, serrando le fauci attorno alla sua spalla. Corrado non sentì nessun dolore, ma
lo scatto e la sensazione di essere morso bastarono a trasformare, definitivamente, la
paura in violenza. Girato su un fianco, cominciò a colpire con il pugno chiuso quella che
doveva essere la testa, ripetutamente, con tutta la forza che poteva imprimere ai colpi.
Un paio di volte sentì affondare il pugno nel viscido e una volta, ferendosi le nocche,
immaginò di aver frantumato dei denti. Continuò a colpire, a occhi chiusi, anche se la
bestia, dopo il primo pugno non si muoveva più. Sentiva un brusio assordante riempirgli
la testa, anche se lunico suono reale era quello del suo pugno, mischiato al fruscio
del giubbotto. Si fermò quando il braccio lo fece gridare di dolore, in preda a un
crampo.
Fu un bene, perché solo in quellistante realizzò che poteva aprire gli occhi,
alzarsi e scappare il più lontano possibile. E lo fece, ma solo per alcuni metri, perché
laria fredda che gli frustava la faccia bagnata di sudore, sangue e bava, lo spinse
a fermarsi e ragionare.
Silenzio.
Solo il rumore del lago e della sua debole risacca.
La bestia, o quello che ne era rimasto, giaceva immobile. Corrado, di nuovo in sé,
ricominciò a pensare con lucidità. Si guardò la mano, sforzando gli occhi per capire se
tutto quel liquido era sangue suo o della bestia. Considerato che non sentiva alcun
dolore, se non il formicolio ai muscoli delle braccia e delle gambe, si sentì sollevato.
Si avvicinò circospetto a quella specie di tronco. Aveva chiara la percezione di un
rettile, o qualcosa di simile, ma non riusciva a figurarsi mentalmente un animale che
assomigliasse a ciò che aveva appena ucciso.
Ucciso?
La penombra non aiutava di certo a capire. Tornò sui suoi passi e con la punta del piede
colpì la massa scura. Niente. Era indubbiamente un cadavere, di qualunque cosa si
trattasse.
Al sollievo si sostituì rapidamente lorgoglio, per essersi difeso così bene, e la
curiosità, di sapere che razza di bestia aveva accoppato. Cosera? Pensò. Un
animale, certo, ma quale? Sarà stato lungo un paio di metri o anche tre, grosso e tozzo
come un lombrico gigante. Anzi, come un bruco, però liscio e viscido come un serpente.
Vide la pila, ancora accesa, scaraventata vicino alla riva, aggirò la bestia e si
abbassò a raccoglierla. Il tremore che gli attraversava le membra lasciò il posto alla
professionalità e cominciò a osservare quel corpo.
La pelle era senza dubbio quella di un serpente, e anche la forma della coda e della
testa, o meglio, di quello che restava della testa dopo tutti i suoi pugni: una poltiglia
dossa e carne insanguinata. Pensò a una biscia comune, non fosse stato per la
grandezza. Era così tozza e larga che avrebbe fatto fatica ad abbracciarla e poi... aveva
le zampe! Non le aveva notate subito, perché erano piccole e della stessa sfumatura del
ventre, più chiaro rispetto al dorso, ma erano indubbiamente zampe. No, decisamente
quella grossa bestia non era nulla che lui potesse identificare, così su due piedi. Il
buio era troppo fitto per dire se fosse una versione degenere di una specie conosciuta.
Doveva assolutamente studiare quellanimale e scoprire cosera. Si trattava di
un compito ben più interessante delle piccole amiche che brulicavano nelle sue teche.
Lentusiasmo spazzò via ogni stanchezza. Percorse come un invasato il chilometro che
lo separava da casa, procedendo a balzi, emozionato come un bambino. Saccheggiò il box
degli attrezzi riempiendo la carriola: guanti, sacchi di nylon, funi e un coltello da
cucina, che non sia mai che ve ne fosse un altro, di quei grossi vermoni mollicci. Tornò
di corsa verso il sentiero con il terrore di aver compiuto un errore fondamentale,
lasciando la carcassa incustodita. Grondante di sudore, continuava a pregare che quella
cosa non fosse sparita, che fosse morta davvero, che non fosse riuscita a trascinarsi fino
allacqua, che nessun animale avesse preso a mangiarla. Era in preda ad una frenesia
paragonabile a quella che lo aveva animato poco prima, mentre lottava con pugni e calci.
Giunse vicino al lago e il corpo era ancora dove laveva lasciato, immobile. Tirò un
sospiro di sollievo e pensò alle operazioni da compiere per caricarlo sulla carriola. Non
era unimpresa facile. Non si era reso conto di quanto fosse grossa quella bestia.
La prima volta la carriola si rovesciò, facendo cadere Corrado sopra lammasso molle
e viscido. Riprovò piegando il corpo nel senso della lunghezza, e non di traverso. In
quel modo la testa sporgeva, sgocciolante, sul davanti, mentre la coda si trascinava dove
sarebbero dovuti stare i suoi piedi. Ovviò al problema issandosi la coda sulla spalla e
savviò lentamente verso il laboratorio.
Quando scorse lalbero di Natale del suo giardino era esausto, ma la curiosità gli
infuse nuove energie. Girò la carriola, salendo sul patio in retromarcia, e la portò
nella cucina, rischiarata solo dallintermittenza colorata delle luci natalizie che
guarnivano la finestra.
Finalmente accese la luce.
Non si stupì come si aspettava. Nonostante il buio, aveva largamente percepito le forme
dellanimale. Disteso nella carriola, con la coda adagiata al pavimento, cera
un grosso serpente con due piccole zampe palmate per ogni lato del ventre. Corrado
riconobbe subito, nonostante le dimensioni, che le sembianze coincidevano con quelle della
natrix natrix, la biscia comune, eccetto, ovviamente, per le zampe e il diametro. Il capo,
purtroppo, era poco riconoscibile, poiché il lato che poteva osservare era completamente
spappolato.
Ebbe una stretta al cuore: aveva ucciso qualcosa di rarissimo. A stento trattenne le
lacrime, ma il senso di angoscia durò poco, perché comprese subito lunicità della
scoperta: si era fatto un regalo di Natale meraviglioso! Era senza dubbio una specie
animale sconosciuta, ben più interessante di qualunque formica.
Sparecchiò il tavolo dalle stoviglie e lo ricoprì con carta da forno. Accese il
computer. Con tutta la delicatezza possibile, posò sul tavolo il corpo del rettile. La
sua mente, in quellistante lucidissima, registrò immediatamente una lunghezza
approssimativa di due metri e una trentina di centimetri e un peso che superava il
quintale.
Non si era sbagliato, era proprio un esemplare abnorme di natrix natrix, philum cordati,
famiglia dei colubridi, ordine degli squamati. Cercò di scoprire, nella poltiglia che era
stata la testa, se trovava tracce di denti, ma non ve nerano. Probabilmente le
ferite alla mano se lera procurate frantumando le ossa del cranio. Le zampe
possedevano una membrana tra le dita e facevano pensare a un anfibio, piuttosto che a un
rettile. Il dorso era di una sfumatura lucida tra il verde oliva e il nero; il ventre si
avvicinava al grigio chiaro. Locchio rimasto intatto era un enorme globo nero e
lasciava intuire la cecità dellanimale, intuizione rafforzata dalle narici molto
sviluppate. Ciò che più impressionava, però, erano le dimensioni. Utilizzando il metro
da sarta di sua moglie, Corrado misurò con una certa precisione la circonferenza del
rettile: quasi due metri, contro la decina scarsa di centimetri che poteva raggiungere una
biscia comune.
Dove viveva quellesemplare? Cosa mangiava? Quanti anni aveva? Erano tutte domande a
cui si poteva rispondere sezionandolo e studiandolo con la massima attenzione e Corrado,
inebriato da quei pensieri, smise di farsi domande e cominciò a lavorare.
Dal computer scelse di ascoltare qualcosa che rispecchiava il suo stato danimo: la
primavera di Vivaldi. Alzò il volume e cliccò sulla funzione repeat song
prima di indossare i guanti. Sezionò la pelle della coda per analizzarne una squama. In
una biscia, con la muta della pelle, a ogni primavera si forma uno strato. Contando gli
strati sovrapposti si può determinare, con una certa precisione, letà del rettile.
Corrado aggrottò la fronte: sulla squama non vi era traccia di strati. O la bestia era
solo un cucciolo pieno di voglia di giocare o non apparteneva allordine degli
squamati. Provò a sezionare unaltra squama, stavolta dal ventre. Era talmente
concentrato sul microscopio, che non si accorse dellombra che aveva oscurato
completamente la finestra. Mentre la musica riempiva la stanza le pareti di legno
cominciarono a scricchiolare.