Mwoogh

Mwoogh si svegliò lentamente, facendo una fatica terrificante a mettere a fuoco le idee. Più precisamente “emerse” dalla condizione di semistordimento nella quale versava fino a pochi attimi prima, come venire a galla dalle profondità di un lago di acqua nera. Con calma face ruotare il suo corpo possente in una posizione più comoda e lasciò deflettere la corrente dei suoi pensieri verso la lucidità più completa. Si accorse subito che qualcosa non andava; nella semioscurità non riconobbe il luogo dove si trovava. Il pavimento era ricoperto di paglia come a casa sua, ma questo era profumato, di paglia fresca, non ammuffita come quella che calpestava alla fattoria. Inalò profondamente per qualche minuto godendo di quel profumo di pulito con tutto il suo essere, lasciando vagare la sua mente nella spirale ambrata dei suoi ricordi.
Come gli piaceva vivere alla fattoria, era un mondo da favola, dove i giorni si succedevano sereni segnando il passo delle stagioni e lui si sentiva forte e importante, i padroni lo trattavano bene, cibo abbondante, corse nei prati e carezze sulla schiena muscolosa che lo facevano impazzire di felicità.
I padroni... che animali strani, quasi completamente glabri, con quel poco pelo concentrato su quella che Mwoogh era sicuro fosse la testa, stavano sempre ritti sulle zampe posteriori, e quelle anteriori avevano una forma strana che gli consentiva di reggere gli oggetti o di fare operazioni anche complicate come annodare corde o aprire e chiudere il cancello della fattoria. Ma la cosa più meravigliosa che avevano era la voce. Potevano emettere una gamma quasi infinita di suoni, alcuni forti e cupi altri chiari e leggiadri che ti incantavano. C’era una femmina, Mwoogh l’aveva intuito dall’odore che emanava, che aveva il pelo della testa lunghissimo, lei lo stringeva in una coda simile alla sua, che era capace di emettere delle melodie che lo incantavano. Avrebbe potuto stare delle ore ad ascoltarla, maledicendo se stesso per la sua incapacità di emettere suoni che non fossero monotoni ed inarticolati.... Lei lo accarezzava e gli parlava, e lui le consentiva anche di toccargli la testa, quando si avvicinava alla staccionata di tronchi che limitava lo spazio entro il quale lui poteva muoversi.
Lasciò vagare lo sguardo intorno e cercò di ricordare come era finito lì. Ricordava soltanto che mentre Lei gli parlava accarezzandolo, aveva sentito una puntura nel collo, come quelle che spesso gli insetti gli infliggevano, ed aveva subito iniziato a percepire un vago senso di debolezza...

Si costrinse ad alzarsi, si sentiva debole, malfermo sulle zampe, ma decise di esplorare la sua nuova casa. Si trovava in una stanza piccola, appena sufficiente per ruotare su se stesso, per terra paglia fresca, come aveva notato al suo risveglio, e le pareti dipinte di bianco. L’unico chiarore proveniva da una fessura nel muro attraverso la quale filtrava un raggio di sole. Mwoogh stette per qualche attimo a guardare i minuscoli granelli di polvere danzare nella luce come piccole fate, e aveva deciso di stendersi di nuovo aspettando gli eventi quando sentì aprire la porta.
Si voltò lentamente e vide un Padrone che non conosceva, vestito in modo strano, sgargiante che gli diceva “buonoooo” accarezzandolo. Lo lasciò fare e si lasciò condurre per un corridoio parzialmente illuminato fino ad una stanza ampia dove riconobbe una grande vasca di acqua come quella che aveva alla fattoria. Si lasciò condurre nella vasca, dove alcuni padroni lo lavarono e lo strigliarono a dovere. Era una sensazione meravigliosa, gli ricordava quando a casa sua la padrona gli riservava lo stesso trattamento sussurrandogli dolci suoni nelle orecchie, si abbandonò al piacere, ancora parzialmente confuso ed indebolito, quando cominciò a sentire il rumore.
Non riusciva a distinguerlo, un rombo lontano fatto di mille suoni fusi assieme, aveva un che di ritmico, di ipnotico...
Lo fecero uscire dalla vasca e lo asciugarono con panni bianchi e morbidi, coccolato come un bambino, poi lo portarono in un’altra stanza più grande e lo lasciarono solo con i suoi pensieri.
Non si rese conto di quanto tempo fosse passato quando lo vennero a prendere. Si era abituato a quella fresca penombra e si oppose un po’ quando cercarono di trascinarlo fuori, ma poi decise che poteva essere interessante vedere che cosa sarebbe successo e li assecondò. Venne portato lungo un corridoio buio,dove poteva sentire il rumore sempre più forte. Fu lasciato davanti ad una porta di legno.
Improvvisamente si spalancò, e l’ardente luce del sole gli ferì gli occhi ormai abituati all’oscurità. Fece qualche passo incerto fuori e si rese conto che stava camminando sulla sabbia, il calore era insopportabile e grosse gocce di sudore cominciarono a fiorire sulla sua pelle, colando a terra e facendogli bruciare gli occhi. Ebbe paura, una sensazione mai provata nella sua vita, e decise che non gli piaceva per niente. Si guardò intorno e vide una moltitudine di colori che gli fecero girare la testa, mille bandiere al vento, drappi di stoffa colorata ovunque, una moltitudine di padroni seduti a guardarlo. Retrocesse di qualche passo per rientrare in quella penombra amica ma si accorse che la porta era stata chiusa alle sue spalle. Quando i suoi occhi riuscirono a mettersi a fuoco scorse un padrone in mezzo all’arena, era vestito di colori sgargianti e reggeva un drappo rosso. Gli si illuminò lo sguardo, e finalmente capì: ma certo, conosceva quel gioco! L’aveva fatto decine di volte con i padroni sul prato davanti alla fattoria! Lui doveva avventarsi di corsa sul drappo e cercare di infilzarlo con le corna prima che il padrone lo facesse ruotare. Quando ci riusciva, il padrone gli metteva in bocca una cosetta bianca che aveva un sapore dolcissimo e lui ricominciava il gioco, facendo attenzione a non colpire il padrone (se avesse voluto avrebbe potuto infilzarlo in qualsiasi momento) fino a che, stanchissimo, veniva ricondotto alla stalla.
Rincuorato da questa nuova certezza caricò immediatamente, ed il padrone scansò il drappo all’ultimo momento. Mwoogh fu sicuro che si trattava del gioco e continuò a correre, stupito soltanto di non ricevere il premio.
Il tempo si dilatò come un elastico cosparso di gocce di consapevolezza, e Mwoogh continuò a giocare, l’eccitazione gli faceva percepire distintamente il battito del proprio cuore, aveva capito qual era la strategia del padrone, cominciava ad essere in grado di prevedere le sue mosse quando, durante un passaggio percepì distintamente il balenio di qualcosa di metallico e si sentì trafiggere il dorso da qualcosa di multicolore che rimase penzoloni sulla sua schiena. Cercò di scrollarselo di dosso ma non ci riuscì, ogni movimento gli causava una stilettata di dolore. Si disperò, perché il padrone gli aveva fatto questo? Che cosa aveva fatto di male? Era riuscito fino ad allora a non colpirlo, a non fargli del male! Si avvicinò trotterellando al padrone, a testa bassa cercando il perdono, ma fu trafitto di nuovo, stavolta da due picche. Le sue certezze si incrinarono, la sua rabbia cominciò a schiumare, sentiva un liquido caldo e appiccicoso scorrergli lungo la schiena, un dolore sordo e pulsante non gli dava tregua. Muggì tutta la sua disperazione: tu non sei il mio padrone! Tu sei falso e mentitore! Il mio padrone non mi farebbe mai del male! La mia padrona cantava per me! Accecato di rabbia caricò con tutte le sue forze, mirando all’uomo, ormai deciso a farla finita, proiettando una immaginaria linea rossa tra la punta acuminata delle sue corna ed il corpo di quel mostro che lo aveva fatto soffrire. Caricò deciso, ma quando credeva di averlo ormai in pugno una fitta di dolore accecante gli esplose su un lato del collo. Sentiva la gola riempirsi di liquido, un sapore strano in bocca, una sorta di torpore impossessarsi delle sue membra. Cercò di guardarsi intorno, ma la spada inferta profondamente nella sua giugulare glielo impedì, riuscì solo a tormentarsi ulteriormente le carni. Crollò al suolo impietosamente, e sentì la vita lasciarlo. Morì con un’unica domanda stampata a lettere indelebili negli ultimi sprazzi della sua coscienza: Perché?

Gianluca Magozzi