Il dono

Mi fermai all’incrocio tra il vialone centrale e l’ultima traversa, oltre quella c’era un argine e, poi, solo campagna. Controllai a sinistra e a destra i numeri agli angoli dei palazzi, trovai la direzione e mi incamminai.
Per strada non c’era nessuno: era ora di cena e la temperatura doveva essere scesa sotto lo zero. L’asfalto era un po’ ghiacciato e illuminato da lampioni di tipo stradale, a luce gialla, tipici di quelle zone periferiche. Lungo il marciapiede era pieno di macchine posteggiate. Ne contai sei tra il primo lampione e il secondo. Stranamente, quel giorno era la prima volta che mi mettevo a contare. Avevo dovuto pensare ad altro.
I condomini a lato della strada erano molto lunghi, calcolai che ci fosse ancora un po’ di strada da fare. Guardai il fiato che si trasformava in condensa. Contai tre sbuffi di condensa tra il secondo lampione e il terzo; faceva uno sbuffo ogni due macchine. Bene. Continuai a camminare, pensando agli avvenimenti della settimana.

 

Avevano pubblicato il mio racconto sul sito, quello di horror. Avevo sempre voluto scrivere libri e il genere horror era il mio preferito, ma non mi ci ero mai messo, la mamma non voleva. Avevo deciso di farlo, di nascosto da lei, dopo aver letto alcuni dei racconti pubblicati sul sito, rendendomi conto che la maggior parte erano delle stronzate. Mi ero fatto il culo come una casa per un mese, affidando al sito la storia migliore che avesse mai pubblicato, anche se questo lo potevo capire solo io, che sono lo scrittore migliore del mondo.

 

Mi fermai. Tra il terzo e il quarto lampione c’erano solo cinque macchine. Male. Qualche testa di cazzo aveva posteggiato largo, interrompendo la sequenza. Trattenni il fiato, perché avevo già contato tre nuvolette di condensa e il lampione era ormai raggiunto. Mi accorsi in quel momento di non aver contato i passi tra i lampioni. Merda! Dovevo tornare all’inizio della strada.
Persi cinque minuti buoni pensando al da farsi; dal momento che la macchina mancante aveva in ogni caso interrotto la sequenza, decisi di fare un’eccezione - cosa che, in condizioni normali, non avrei mai permesso - e di ricominciare da lì. Ripartii, facendo attenzione a contare per bene i passi, le macchine e i respiri. La sequenza fu: sei macchine e tre respiri tra un lampione e l’altro, e cinque passi per ogni macchina, che facevano trenta tra lampione e lampione.

Essendo il mio racconto il migliore mai pubblicato sul sito, e forse su internet, ma probabilmente nel mondo, mi ero aspettato un po’ di invidia: i commenti dei forumisti non erano stati positivi. Potevo capirlo. L’invidia è una brutta bestia. In ogni caso, non mi aveva dato fastidio, perlomeno all’inizio. Il fatto stesso che al primo tentativo, a quaranta anni, senza avere fatto studi specifici né scritto niente in tutta la vita, ero stato pubblicato, la dice lunga sulle mie capacità di scrittore. Ho il dono.
Cominciarono a girarmi i coglioni il secondo giorno dalla pubblicazione, quando arrivò il commento del rottinculo ciucciacazzi. Sul suo profilo avevo letto che era un laureato, per cui, quasi sicuramente, un finocchio. Avevo capito che di horror non capiva un cazzo fin dalle sue prime righe, quando aveva avuto il coraggio di scrivere che l’idea del demone che esce dal buco del cesso, infilandosi su per la fica della protagonista, era banale e copiata. Il resto erano frasi di invidia in mezzo a parole senza senso, che adesso mi sono dimenticato. Con l’aiuto di un vocabolario, avevo però capito che erano figure retoriche, cioè paroloni che i froci laureati usano per farti capire che loro hanno studiato e che tu sei una merda. Poco male, crepava di invidia e lo compativo. Avevo sorriso, pensandomelo che se lo prendeva tra le chiappe urlando quei suoi bei paroloni.
Poi, però, era arrivata la stroncatura della troiaputtana. Sul profilo c’era scritto che era laureata anche lei. C’era anche la foto: faccia da bagascia e bocca da pompini. Bastava quella foto per capire che era una che dava via la passera come bere acqua. Di sicuro era anche lesbica. Che cosa cazzo c’entrava poi una femmina con i racconti dell’orrore, a parte prendersi su per la fica il demone che esce dal buco del cesso?

 

Soffocai a stento una madonna quando mi accorsi di aver sbuffato una nuvola di condensa in più rispetto alla sequenza. In circostanze normali sarei dovuto tornare indietro, ricominciando da capo, anche perché avevo mancato di contare quanti tombini c’erano sul marciapiede tra un lampione e l’altro. Tra l’altro, non avevo memorizzato il numero delle macchine di un dato colore e se c’erano più targhe pari o dispari. Non mi ero sbagliato io, però, a respirare, era la respirazione che stava aumentando il ritmo.
Per fortuna mi accorsi di essere arrivato all’altezza del numero che stavo cercando: corrispondeva a un grande condominio grigio di almeno 15 piani. Mi guardai intorno. Non c’era anima viva. Le finestre degli appartamenti erano invece quasi tutte illuminate. Percorsi il vialetto d’accesso fino al portone, che era aperto.
Nell’atrio lessi i nomi sulle buche della posta. Salii per le scale, in modo da poter contare gli scalini e il numero di stanghe sulle ringhiere dei corrimani, come facevo sempre a casa. Non mi dimenticai dei respiri, e contai che il loro numero aumentava di piano in piano, ma non dipendeva dalla fatica: non avevo mai fumato ed ero allenato con le scale. Giunto davanti all’appartamento, suonai.

 

Sul forum non me ne ero stato in silenzio. Avevo spiegato al rottinculo ciucciacazzi, con tutta il rispetto del mondo, dove stava l’originalità nella mia storia. Lui aveva risposto che il racconto era sgrammaticato, che il registro non andava bene, che non c’era ritmo, che i verbi erano coniugati male e che la trama era illogica e faceva acqua da tutte le parti. Naturalmente aveva usato i suoi paroloni da rottinculo ciucciacazzi. La troiaputtana, che gli dava spago, aveva aggiunto che, oltre a tutto, anche i miei interventi sul forum erano pieni di errori. Mi avevano consigliato di lasciar perdere, scambiandosi battute che non sempre avevo capito.
Quando avevo cominciato a chiamarli con i loro veri nomi, rottinculo ciucciacazzi e troiaputtana, appunto, era saltato fuori il mio alleato: Hund. Sul sito si firmava così. Il suo racconto era una troiata ed era stato giustamente stroncato. A parte questo, lo avevo considerato un mio pari, e lui mi aveva dato man forte, aiutandomi a coprire i due stronzetti della merda che si meritavano. Era d’accordo con me che alla base di tutto c’era l’invidia. Hund li aveva minacciati di morte.
Alla fine i nostri account erano stati disabilitati; prima quello di Hund, anche se non me ne era fregato niente perché non mi aveva mai fatto i complimenti per il mio racconto, dopo due giorni il mio. Il rottinculo ciucciacazzi mi aveva scritto un ultimo commento però, dove, con le sue belle parole, senza metterci nessuna vera offesa, mi aveva in pratica detto che ero un fallito, che non avrei saputo compilare una lista della spesa, che probabilmente me lo menavo coi siti porno, che non scopavo, che non avevo amici né capacità di alcun tipo, che di sicuro abitavo ancora con la mamma, per la quale ero il suo bambino da accudire.
Erano state quelle parole a farmi male. Non perché erano false, perché erano vere. Era come se, con quell’ultimo messaggio, mi avesse scavato dentro, guardandomi l’anima. Leggendo quelle parole mi ero sentito nudo e, per un momento, avevo quasi avuto paura di lui. Al contempo le avevo però considerate un invito.

 

Il rottinculo ciucciacazzi aprì la porta. Lo squadrai dalla testa ai piedi. Eccolo qua, il professore. Il grande stronzetto. L’invidioso. Si vedeva subito che era un frocio del cazzo. Era basso e portava occhiali tondi e capelli ricci e folti, come quelli di una femmina. Un omino del tutto insignificante. Una merda. Avrà avuto circa trentacinque anni. Certo che registrarsi sul sito col nome vero, indicando la professione e la città di residenza, era proprio da stronzi. Sceso dal treno, era bastato sfogliare l’elenco del telefono alla stazione e fare un paio di chiamate.
Quando parlò, ebbi la conferma del suo stato di ciucciacazzi.
- Prego? - disse con voce da checca che se lo prende nel culo.
Sorrisi. La respirazione era ulteriormente aumentata. Avevo il cazzo duro.
Pronunciai il suo nome.
- Sono io - confermò.
Rumore di stoviglie e di una televisione a volume basso giunsero dall’interno dell’appartamento, insieme a voci di bambini che, probabilmente, cenavano davanti ai cartoni animati.
Fu probabilmente a causa di quelle voci se, per un attimo, un solo attimo, mi passò per la testa l’idea di risparmiare la vita al rottinculo ciucciacazzi. Purtroppo, però, gli avevo ormai infilato tra le costole la lama del coltello che mi ero portato dietro, spaccandogli il cuore in due parti.
Urlai dentro di me, mentre venivo nei pantaloni. Fu una gioia indescrivibile. Una scarica di adrenalina. Non mi ero mai sentito così. Mi ero chiesto più volte che cosa avrei provato. Adesso avevo la risposta: mi era piaciuto!
Il rottinculo restò dritto in piedi, con un'espressione da ebete stampata su quella faccia da culo e la bocca mezza aperta. Poi strabuzzò gli occhi, interrogandomi con lo sguardo.
- Indovina - sussurrai allargando il sorriso.
Il rottinculo si cagò addosso, sputando un fiotto di sangue che gli inzaccherò la camicia da impiegato che indossava. Affondai la lama fino al manico e lo spinsi dentro la casa, chiudendomi la porta alle spalle.
Uno spruzzo di sangue mi investì in pieno quando estrassi il coltello dal petto, lasciando andare il corpo. Il rottinculo precipitò a terra, schiantandosi sul culo e sulla propria merda, sputando ancora sangue per il violento contraccolpo. Scalciò come un animale. Poi rimase immobile.
Sorrisi, eccitato al pensiero che lui era solo il primo. Domani sarebbe toccato alla troiaputtana. E poi, chissà...
Stavo ammirando il corpo inerme e coperto di sangue, quando fui attratto dalle voci all’interno della casa. Restai per un po’ in ascolto. Poi le seguii, fermandomi dopo sette passi davanti alla porta di una sala da pranzo.
Due bambine, sedute a un tavolo, mi davano le spalle. Mangiavano e ridacchiavano, guardando i cartoni alla televisione. Si rubavano la cena dal piatto.
In fondo alla stanza c’era la cucina. Una donna, anche lei di spalle, con indosso un grembiule, armeggiava ai fornelli. Sorrisi, il cazzo mi si indurì per l’inaspettato fuoriprogramma. Mi incamminai...
Qualcosa mi toccò la spalla. Mi girai di scatto.
Il rottinculo ciucciacazzi mi stava davanti, con uno strano sorriso sulle labbra. La camicia inzuppata di sangue, quasi nera. Dal buco all’altezza del cuore continuava a uscire un rivolo di sangue.
- Era ora - disse sputando bava rossa.
Scossi piano la testa. Il coltello mi sfuggì di mano, piantandosi nel pavimento. Pensai che, probabilmente, l’appellativo di rottinculo ciucciacazzi non si addicesse più all’uomo che avevo davanti.
- Cosa...? - balbettai.
L’uomo indicò alle mie spalle.
Mi voltai. Le bambine mi guardavano, emettendo dei risolini e distogliendo a tratti lo sguardo, intimidite dalla mia presenza. Erano bionde, con le trecce ai lati della testa e indossavano entrambe un vestito bianco macchiato sul davanti.
Un luccicore attirò il mio sguardo. Sulla porta della cucina stava la donna in grembiule. La riconobbi subito dalla foto sul sito: la troiaputtana. Sorrideva in modo strano. Solo con le labbra, come il rottinculo. Il luccicore veniva dalla lama di una mannaia da macelleria che teneva in mano.
- Stavamo giusto... finendo Hund - disse avvicinandosi alle bambine.
Mi concentrai su queste ultime. Dalle loro bocche, sporche e umide, spuntavano dei dentini gialli appuntiti. Una delle due prese dal piatto l’ultimo pezzettino di carne rimasto, un dito umano, e se lo portò alla bocca.

Pericle Denari

Mi chiamo Pericle Denari, vivo a Torino, ho 27 anni e sono ingegnere. Lavoro nell’ambito della qualità e sicurezza aziendale. Il mio scrittore preferito è Stephen King.