Amalia

Nell’osservare con attenzione il citofono di via Borgomasino 36, Amalia si diede un’ultima aggiustata. Si toccò lievemente i capelli, si mise gli occhiali e suonò Pautasso.
Salì al terzo piano e fu accolta da un signora anziana che, in modo severo e formale, la fece accomodare in salotto. La signorina Pautasso, per l’esattezza, “tota” per chi la conosceva, era una donna che aveva ormai superato gli 80 anni. Donna tutta d’un pezzo alla vecchia maniera, non s’era mai sposata. Aveva optato, alla morte del padre, per la gestione dell’azienda di famiglia, una fabbrica di serramenti con alcuni dipendenti da cui si era dovuta, anche se a malincuore, allontanare da alcuni anni. Viveva sola e non aveva che lontani quanto antipatici parenti. Era sempre stata autosufficiente, ma ora, gli acciacchi dell’età ed un problema alle gambe l’avevano indotta ad assumere una donna che l’aiutasse nelle faccende domestiche e nelle commissioni.
Viveva con disagio questo passaggio della vita. Era la triste conferma che prima o poi si ha bisogno di qualcuno. E questo per lei, chiamata spesso “marescialla” per il ferreo modo di condurre la vita e le sue interazioni, era come un pugno nello stomaco.
Guardò Amalia, che nel frattempo si era accomodata in una poltroncina con estrema attenzione. La scrutò come si osserva un insetto inerme poi, dopo un breve sospiro proferì: “Signora Amalia, l’età mi costringe a miti consigli. Avrò bisogno di lei. Le sue referenze sono ineccepibili ma mi corre l’obbligo di avvisarla che non sarà una passeggiata. Con me esigo rispetto puntualità e disciplina.”
Il sermone continuò in modo esasperante mentre Amalia ascoltava attenta. Le vennero illustrati i compiti, gli orari, le commissioni esterne e tante altre cose. Al termine Amalia rispose: “Sì, signora”.
Avrebbe iniziato il giorno successivo alle ore otto in punto.
I giorni si susseguivano a ritmi scadenzati. Il clima era quello di una caserma. La signora Pautasso continuava a dare ordini mentre Amalia rispondeva: “Sì, signora.”
Una sera, in preda ad una crisi di malinconia, la signora Pautasso mostrò ad Amalia, fotografie, lettere e vecchi ricordi. Parlò per ore ed ore della sua solitudine e della sua discreta ricchezza. Amalia fu affascinata dalla scrittura di alcune lettere, in stile, zeppe di arzigogoli e chiese alla signora di poter imparare a scrivere così bene.
Nei week-end successivi, Amalia iniziò a portare la signora a Bordighera, sulla riviera ligure, dove le attendeva un bellissimo alloggio in riva al mare. La primavera arrivava e la signora avrebbe passato lì un po’ del suo tempo nel tentativo di alleviare i suoi reumatismi.
Una sera, Amalia tornò sulla scrittura: “... Signora, mi insegni almeno a firmare bene come fa lei...”
Fu così che le due cominciarono a ripetere le proprie firme in dolce stile. Dopo aver bevuto la consueta tisana, la signora Pautasso andò a dormire.
Fu in quel momento che Amalia diede un ordine logico a tutti i fogli del tavolo. Isolò quelli in bianco con la firma della signora Pautasso. Erano almeno una decina.
Nei mesi successivi, la salute della signora andò peggiorando per via di un aggravarsi alla circolazione delle gambe e non poté quindi più uscire di casa se non in carrozzella.
Amalia era ormai pratica di tutto, compresi i problemi legati alla banca, alla posta ed ad alcune incombenze fiscali.
Non le fu difficile ottenere la delega per la riscossione della pensione e nemmeno quella per accedere al conto corrente bancario. Con fedele e precisa attenzione, Amalia soddisfò tutte le esigenze della signora, che ormai non usciva nemmeno più di casa. Si fece conoscere ovunque, prima con la signora e poi sola. E quando chiedevano della “tota” Pautasso, lei rispondeva, che le gambe l’avevano abbandonata e presto si sarebbe trasferita a Bordighera, al mare, dove, anche se con la carrozzella, avrebbe avuto una migliore agibilità ed una migliore vita.
Nel frattempo, per via della vendita di alcuni immobili, conobbe anche il notaio Andolfi, un vecchio amico di famiglia. Infatti, la signora Pautasso, non volendo lasciare eredità a nipotastri sconosciuti, era fermamente convinta a lasciare tutto alla “casa del cane” di Imperia.
Un giorno, per un banale equivoco, la signora sgridò Amalia in modo duro. La minacciò di licenziarla e di assumere al posto suo una filippina.
Fu in quel preciso istante che Amalia decise che il momento era arrivato.
Tornò affannata dalle compere e si mise subito il grembiule. La signora Pautasso stava già imprecando quando, con un sorriso, Amalia, le si mise di fronte. “Signora, oggi ho trovato del polipo delizioso. Lo preparo a pranzo con le patate, come piace a lei...”. In parte questo avviso di succulenza la calmò. Bevve la medicina che Amalia le aveva portato e poi si addormentò.
Amalia fece presto. Si addobbò con un camice di plastica, dei guanti e preparò in bagno la vasca con acqua calda. Prese il corpo della signora che aveva narcotizzato e lo trasportò in bagno. Lo adagiò nella vasca. Qui, con sapienti tagli di cutter recise polsi e caviglie. Non contenta, recise le arterie del collo e dell’inguine.
Il sangue uscì lentamente colorando di morte quella triste storia.
Quando il cadavere fu completamene dissanguato, Amalia lo tagliò a pezzi con la sega elettrica della cucina. Mise ogni pezzo accuratamente nei sacchetti di plastica e assorbì l’aria con una macchinetta. Sottovuoto. Dopodichè iniziò a riempire il freezer.
Il mattino seguente, con i fogli in bianco firmati dalla signora Pautasso si mise al computer.
Trasferì tutti i conti correnti e tutte le rendite in un suo conto in Svizzera poi mise in vendita gli alloggi di Torino e Bordighera.
Ogni mattino, uscendo di casa, portava via un pezzetto del corpo della signora Pautasso e lo gettava in diversi cassonetti della città, avvolto in stracci, dentro scatole, in mezzo ai rifiuti organici...
Ci mise poco più di una settimana per finire il lavoro. Ai negozianti della zona diceva che la signora era al mare e che le gambe ormai l’avevano definitivamente abbandonata. Ma che era una donna fortunata perché aveva trovato lei, il suo angelo custode...
L’ultimo pezzo da eliminare fu la testa. La mise dentro un vaso di terracotta e la sigillò con del silicone. Decise di buttarla nel fiume Po, tanto per cambiare.
Dopo qualche giorno, nuovi proprietari si presentavano nell’alloggio di via Borgomasino 36.

 

Il freddo era intenso a Milano quella mattina ed Amalia si diede un’ultima controllata prima di suonare il campanello in piazzale Cordusio.
La accolse un generale dell’esercito in pensione. Un uomo tutto d’un pezzo. Le spiegò tutto e pattuì l’inizio della collaborazione dal giorno successivo.
Amalia, nel dare un’occhiata all’abitazione, notò un freezer capiente.
Sorrise mestamente e, con molta educazione si accomiatò.
“A domattina signor generale, domattina alle otto..."

Maurizio Blini

Maurizio Blini è nato a Torino il 17 maggio 1959. Sostituto Commissario della Polizia di Stato in aspettativa sindacale in quanto Segretario Nazionale del Silp - Cgil , è laureato in Scienze Psicologiche dell’Investigazione. Autore, compositore, musicista e scrittore, alterna l’impegno tra le varie discipline artistiche e le attività professionali legate prevalentemente all’impegno politico.
Dopo aver vinto alcuni premi letterari anche internazionali, riceve quest’anno un ulteriore riconoscimento classificandosi secondo al premio letterario “narratori in divisa” a tema racconti al buio con “Giulia”, un racconto suggestivo ambientato in una Torino notturna dalle atmosfere noir. Riceve il premio dal presidente della giuria Carlo Lucarelli alla Fiera internazionale del libro di Torino con la seguente motivazione: “Tre amici, un biglietto trovato per caso e una scommessa. Un giallo che affonda le sue radici nel passato e sancisce con malinconia e amarezza una tardiva perdita di innocenza.” E’ in fase di proposta editoriale il suo primo libro, "Giulia ed altre storie". Sito personale: www.maurizioblini.it