Plenilunio

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2006 - edizione 5

1966. Gelida notte di novembre nella comunità agricola di Negracruz, novantanove anime al confine tra Messico e Stati Uniti. Luna piena, stelle vitree. Tanfo sulfureo nell’aria tagliente. Nell’ombrosa boscaglia intorno all’antico cimitero, l’orfana Christine, quindicenne macilenta, in preda alle doglie e infreddolita, sta scappando dalla lercia baracca dello squilibrato zio Ned. Varcata l’imponente cancellata della necropoli, la ragazza cammina tra centinaia di funerei barlumi, implorando disperatamente aiuto a gran voce. Scalza sulla pungente erbaccia cimiteriale, giunge alla chiesa diroccata: sulla fredda scalinata pietrosa, partorisce, a caldi fiumi sanguigni, una bambina morta.
L’argenteo plenilunio, impietoso, illumina nitidamente l’ossuto cadavere nelle mani tremanti della debole Christine: pelle biancastra insanguinata, palpebre e labbra serrate; inquietante bambola dormiente, perfetta ma inanimata. La ragazza decide di seppellire quella creatura esanime sul prato tra le tombe: a mani nude, scava nell’umida terra una macabra culla per il minuto essere senza vita.

S’inginocchia per ricoprire la fossa: sotto i lucenti raggi lunari, vede sul cereo visino gli occhi nerognoli e la bocca violacea spalancarsi in un muto vagito rabbioso. Atterrita, Christine getta pugni di terriccio. Improvvisamente dalla sepoltura si levano inumani strilli raccapriccianti: ghigni malefici deformano mostruosamente i lineamenti infantili; il corpo è immobile. L’orrore paralizza la ragazza che rimane in ginocchio, dita sulle orecchie, stordita dalle orribili urla. Ad un tratto profondo silenzio angosciante. Christine osserva la salma nella buca: labbra e palpebre nuovamente strette, putrido sangue scuro dalle narici. All’improvviso l’infernale neonata si avventa contro di lei in una feroce morsa strozzatrice.
Da quel maledetto plenilunio, Christine e la sua piccina, orrendi cadaveri viventi, hanno terrorizzato Negracruz, dapprima solitarie... poi con l’orripilante, crescente esercito d’abitanti mutati in non morti.
Oggi quelle catapecchie di legni marci appaiono disabitate... ma i resti degli sventurati, scomparsi nelle tenebre di quel luogo dannato, giacciono funestamente ammucchiati nell’ossario dell’antico cimitero.

Antonietta Terzano