Mi stavo godendo il bagno beatamente immersa nelle acque smeraldine di Zarzis, ma mentre mi avvio camminando verso riva, mi sento afferrare la caviglia da dietro da una mano gelida. Il solito scherzo idiota, penso. Faccio per voltarmi, ma in un attimo mi sento tirare e vado giù. Vedo le bolle daria uscire dalla mia bocca e sento il sale bruciarmi gli occhi. Sbatto la pancia sul fondo ma reagisco. Mi divincolo come se avessi dei ragni lungo la schiena. Libero la gamba ma la morsa persiste. Ma che diamine? Mi rialzo, mi giro, intravedo un tizio con una faccia orrenda da morto affogato che mi si avventa contro agitando una mano e un moncherino. Gli assesto un calcio nello stomaco ed il mio piede affonda in una melma fredda. E come pestare una cacca di cane a piedi nudi, ma più gelatinosa. Lo tiro via di scatto in preda al terrore cieco e me la do a gambe nonostante lacqua alta. Esco dal mare urlando come una forsennata, tra lo stupore dei bagnanti che si trasforma presto in paura.
Mi fermo un istante a guardare e lo spettacolo è incredibile. Saranno un centinaio ma
sembrano un milione. Zombi marini come tanti mostri della palude. Lividi in volto, gonfi e
ricoperti di alghe verdi che luccicano al sole. Marciano verso la spiaggia inesorabili tra
il fuggi fuggi di villeggianti e animatori.
Mi lancio verso il paracadute ascensionale e con limbracatura ancora slacciata urlo
al pilota di partire.
E mentre dallalto guardo gli zombi distruggere tutto, noto che alcuni portano dei
sacchi da viaggio in spalla. Solo allora mi viene in mente.
Un peschereccio di immigrati partito dalla Libia e affondato dopo pochi chilometri al
largo di Zarzis. Settantasei passeggeri, nessun superstite, cadaveri dispersi e poi
dimenticati.
Fino ad oggi.