Ciò che non fa fare lodio è reso possibile dallo spirito di sopravvivenza. Non odiavo luomo davanti a me, ma volevo vivere e questo avrebbe continuato a farlo solo uno di noi due. Erano le regole del gioco, lo sapevamo entrambi, erano le regole degli spettatori che affollavano quel ring improvvisato, avidi del nostro sangue. Lui era davanti a me, maestoso, il suo corpo sembrava forgiato nel metallo. Mi fissava con occhi sicuri, lo sguardo di chi sa dessere il campione. Il lezzo acre della morte saturava laria. Un rullio ipnotico di tamburi si unì al battito impazzito del mio cuore. Guardai le mie mani, fasciate con bende intrise di pece e vetri. Non vidi neanche partire il suo colpo, sentii solo un dolore lancinante alla bocca mentre cadevo a terra. Sputai un dente e assaporai il gusto dolciastro del mio sangue. Mi rialzai e caricai verso di lui, accecato dallira.
Gli sferrai due tre montanti al busto poi lui, con una testata, mi
spaccò il naso e fui nuovamente a terra, in una pozza rossa. Si stava abbassando per
finirmi, ma la forza della disperazione mi fece raccogliere le ultime esigue energie. Gli
tirai un pugno rabbioso al basso ventre e lui crollò sulle ginocchia. Lo incalzai e presi
a colpirlo finché non safflosciò al suolo. Respirava affannosamente, ma riuscì a
sussurrare Pietà, ti prego.
Ebbi pietà. Lo uccisi. Gli spettatori, in visibilio, scesero urlanti dagli spalti e
raggiunsero il corpo dello sconfitto. Lo squartarono come un vitello poi, con bocche
fameliche, ne dilaniarono le carni. Ogni maledetto zombie cercava di mangiare il boccone
migliore. Siamo sempre meno, noi vivi, prigionieri di questi cadaveri deambulanti. Siamo
il loro cibo, il divertimento preferito, ma a me non torceranno un capello. Almeno finché
sarò il campione di questo loro gioco sadico.