Gli zombi mi hanno sempre fatto ridere, ridere di rabbia; sì, perché sono la personificazione della vita che rimane avvinghiata a se stessa, che non si arrende nemmeno di fronte alla morte. Io, invece, la mia vita non la sopporto e tante volte ho desiderato disfarmene, perché non riesco a trovarci un senso, una ragione per la quale valga la pena amarla e rispettarla. Come mai, allora, continuo a comportarmi così? Dovrei uscire da questa cantina e darmi in pasto a loro, dovrei gridargli: Coraggio, mangiatemi, tanto della mia vita non so che farmene, acciuffatemi e dividetevi pure i brandelli del mio corpo, per me non sarà che una liberazione!. Invece, da quando questa apocalisse è cominciata, da quando ho capito di essere rimasto solo a difendermi da loro, è sbucato fuori, non so da dove, un impulso che mi spinge a sfuggirgli, a resistere un altro giorno e un altro ancora.
Li ho osservati a lungo dalla mia cantina, un tempo luogo di rifugio nei momenti più difficili; ho appreso il loro modo di camminare penzolanti, lespressione monolitica dei volti, lo sguardo perso nel vuoto, i lamenti gutturali, la rigidità dei loro corpi, la posizione delle braccia, famelicamente tese in avanti. Quando ho reputato di emularli abbastanza bene, mi sono mischiato a loro; erano così tanti, in tutte le strade, dentro ogni casa. Anchio, come loro, avevo bisogno di cibo; raccattai qualcosa in un supermercato ormai vuoto e desolato, come il resto della terra. Non si accorsero che ero diverso, così riuscii a tornare alla mia cantina. Sono due anni ormai che mi aggiro in mezzo a loro, per procurarmi il necessario alla mia sopravvivenza; forse un giorno morirò di fame, o magari sbranato, oggi però so solo che voglio preservare la mia vita, ancora unora, ancora un minuto...