I quattro
accesero il fuoco prima del buio. Fu facile. Nella radura, un cerchio di pietre segnava la
traccia di un vecchio bivacco, accanto alle ossa.
Esse raccontavano una storia chiara. Lo scheletro stringeva nella mano un legno marcito.
Il resto della lancia era tra le bianche costole della bestia che tempo prima aveva
attaccato il cacciatore, forse uno dei loro padri, mai tornato alle capanne.
Nelle loro menti semplici tale consapevolezza fece calare una muta mestizia, che durò
finché non arrostirono la selvaggina.
Il sorgere della luna sorprese quei selvaggi seminudi mentre schiamazzavano accovacciati
attorno al fuoco. Masticando, si scambiavano mugolii articolati, che un giorno sarebbero
divenute parole.
Dimprovviso, un ringhio basso tra i vicini cespugli li zittì nuovamente. Una belva
nellombra! Tremanti attesero, sperando che il fuoco, come talvolta accadeva,
intimorisse il predatore.
Non si erano accorti di una quinta ombra, accovacciata silenziosa accanto alle loro. Solo
allora la videro alzarsi, lentamente ma senza esitazione. Sul terreno si proiettò una
sagoma possente e autoritaria, larghe spalle, la testa che si muoveva vigile. La lancia
con cui si era aiutato ad alzarsi fu protesa in avanti, sfidando il pericolo.
Per un interminabile istante i quattro si sentirono imprigionati in quel dramma irreale:
il minaccioso ringhio di crescente intensità tra i cespugli, lombra prodotta dal
nulla che attendeva silente.
Poi tutto cambiò. Mentre un ruggito felino lacerava le loro orecchie, sullombra ne
balzò unaltra, enorme. Avvinghiate, entrambe caddero oltre la luce del fuoco.
I cacciatori fuggirono sugli alberi. Aggrappati pericolosamente ai rami più alti e
sottili, distinsero le grida delluomo invisibile ai loro occhi, i rabbiosi miagolii
della belva agonizzante. Poi tornò silenzio.
Appollaiati sugli alberi, attesero il giorno. Poi fuggirono dalla radura, che, temuta e
maledetta dalla loro progenie, generò una oscura leggenda, e popolò di incubi
lalba dellUomo.