Di boschi ombrosi e antichi cacciatori

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2006 - edizione 5

I quattro accesero il fuoco prima del buio. Fu facile. Nella radura, un cerchio di pietre segnava la traccia di un vecchio bivacco, accanto alle ossa.
Esse raccontavano una storia chiara. Lo scheletro stringeva nella mano un legno marcito. Il resto della lancia era tra le bianche costole della bestia che tempo prima aveva attaccato il cacciatore, forse uno dei loro padri, mai tornato alle capanne.
Nelle loro menti semplici tale consapevolezza fece calare una muta mestizia, che durò finché non arrostirono la selvaggina.
Il sorgere della luna sorprese quei selvaggi seminudi mentre schiamazzavano accovacciati attorno al fuoco. Masticando, si scambiavano mugolii articolati, che un giorno sarebbero divenute parole.
D’improvviso, un ringhio basso tra i vicini cespugli li zittì nuovamente. Una belva nell’ombra! Tremanti attesero, sperando che il fuoco, come talvolta accadeva, intimorisse il predatore.
Non si erano accorti di una quinta ombra, accovacciata silenziosa accanto alle loro. Solo allora la videro alzarsi, lentamente ma senza esitazione. Sul terreno si proiettò una sagoma possente e autoritaria, larghe spalle, la testa che si muoveva vigile. La lancia con cui si era aiutato ad alzarsi fu protesa in avanti, sfidando il pericolo.

Per un interminabile istante i quattro si sentirono imprigionati in quel dramma irreale: il minaccioso ringhio di crescente intensità tra i cespugli, l’ombra prodotta dal nulla che attendeva silente.
Poi tutto cambiò. Mentre un ruggito felino lacerava le loro orecchie, sull’ombra ne balzò un’altra, enorme. Avvinghiate, entrambe caddero oltre la luce del fuoco.
I cacciatori fuggirono sugli alberi. Aggrappati pericolosamente ai rami più alti e sottili, distinsero le grida dell’uomo invisibile ai loro occhi, i rabbiosi miagolii della belva agonizzante. Poi tornò silenzio.
Appollaiati sugli alberi, attesero il giorno. Poi fuggirono dalla radura, che, temuta e maledetta dalla loro progenie, generò una oscura leggenda, e popolò di incubi l’alba dell’Uomo.

Vincenzo Barone Lumaga