Le colpe dei padri

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2006 - edizione 5

Quella notte, il vecchio custode del cimitero s'era addormentato sulla poltrona rattoppata, con un libro aperto in grembo.
Sognava ed era un incubo: camminava nel buio affannosamente, qualcuno lo inseguiva pronunciando il suo nome in modo sinistro, minaccioso, facendolo agitare nel sonno.
All'improvviso, il tonfo del libro scivolato sul pavimento lo ridestò di soprassalto. Si guardò intorno spaesato prima di rendersi conto ch'era sveglio... ma qualcuno lo stava ancora chiamando da dietro la porta.
“Aaaleeec! Aaaleeec!”, la voce sembrava un'eco lontana e ipnotica: l'uomo non seppe resisterle e, come in trance, andò ad aprire. Una figura spettrale, dall'innaturale pallore, gli si parò davanti.
Lunghe ciocche di capelli bianchi le turbinavano intorno, come mosse da un vento inesistente e la sua veste candida scendeva fluttuante fino a terra, lasciando scoperte braccia magrissime.
Il vecchio Alec indietreggiò terrorizzato continuando a fissare le orbite vuote del viso scavato che aveva di fronte, mentre la creatura iniziò ad avanzare nella stanza, protendendo le dita ossute verso il pover'uomo.

“Sei stato cattivo, Alec... Molto cattivo.” Aveva parlato scoprendo denti marci e appuntiti, con timbro vagamente femminile, ma talmente cavernoso da raggelare il sangue nelle vene.
“Vattene! Io... io non ti conosco!”, balbettò disperato il vecchio ricadendo sulla poltrona e portandosi una mano al petto.
“Tu, piccolo Alec, avevi scoperto la colpa segreta! Eppure... hai guardato calare la bara! Hai ascoltato raschiare sul legno! Non hai fermato la mano di tuo padre... lasciando che mi seppellisse viva!
L'essere infernale aveva lanciato l'accusa sovrastando il vecchio.
Appariva terrificante nella sua ira, il bianco di vesti e capelli sembrava accecante, le sue dimensioni parevano duplicate... e la forza risultò sovrumana quando le sue mani scheletriche si strinsero intorno al collo dell'uomo.
Le ultime parole del vecchio Alec morirono nella gola, strozzate insieme a lui: “Ero soltanto... un bambino...”.

Catia Pieragostini

Nata il 16/12/'69 a Fermo, nelle Marche,vivo a Bologna dal 1988 dove ho conseguito il diploma in Scenografia all'Accademia di Belle Arti. Sono sposata e mamma di due bambine. Attualmente lavoro part-time in una società che si occupa di Internet e software. Scrivo racconti brevi dall'età di 16 anni, buona parte dei quali ammuffisce in un cassetto.