La casa maledetta

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2006 - edizione 5

Non ho mai creduto ai fantasmi.
E non mi è sembrato vero di poter comprare una casa tanto bella ad un prezzo così basso, solo perché aveva la ridicola reputazione di essere “una casa maledetta”.

 

Un urlo mi sveglia nella notte, la nostra prima notte nella nuova casa.
La voce è quella di mio figlio.
Corro nella sua cameretta e nel buio, a stento, distinguo la piccola figura in un angolo.
L’aria è ghiacciata e respiro a fatica, sento qualcosa di malefico attorno a me, una presenza che mi gela il sangue nelle vene.
Senza pensarci, mi precipito verso la piccola figura rimasta nell’ombra, immobile e silenziosa.
Afferro mio figlio stringendolo forte al petto, e in quell’istante sento dei singhiozzi, dei lamenti provenire dalla sua culla.
Mentre mi avvicino ad essa, le sue piccole mani frugano nella mia schiena e stranamente quelle dita sembrano dei serpenti pronti ad affondare nella mia pelle.

Ho paura, con uno sforzo disperato mi accosto alla culla e finalmente riesco a scorgere chi c’è dentro: mio figlio.
Un cieco ed incontrollabile terrore mi pietrifica al pensiero di chi o “cosa” stringo tra le mie braccia.
Quell’abominio lentamente si gira verso di me e la sua risata affonda come una lama nel mio cervello.
Sulla sua faccia c’è il male assoluto, i suoi occhi sono due buchi neri dove la vita viene risucchiata per sempre, la sua bocca non è che uno squarcio orrendo nella carne e da esso fuoriesce un urlo terrificante, una nota così acuta e stridula da farmi impazzire all’istante.
La stanza non esiste più, io non esisto più, sono perso, perso per sempre, risucchiato da un incubo dove non c’è pace e dove la morte sarebbe l’alternativa più dolce.

 

Non ho mai creduto ai fantasmi.
Ho fatto molto male.

Gennaro Cavaliere