Bu

3° classificato al concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2006 - edizione 5

Buio.
Quando si è al buio si ha paura.
Quando si ha paura si è al buio.
È sempre buio quando si ha paura.
Buio.
Silenzio.
Nico stava raggomitolato nel vano sotto all’acquaio, con le braccia intorno alle ginocchia e i flaconi di sapone sparsi tutto intorno. Una vecchia spugna, da qualche parte, emanava un odore molliccio di alghe putrefatte. Le ante era chiuse. Nico controllava ogni respiro, e sentiva sfrigolare la pioggerellina fitta e instancabile sui vetri della finestra di cucina.
Era lì da tanto; c’era puzzo, e gli facevano male le gambe. Per la prima volta da quando li avevano visti correre giù in strada - persino da quando il vetro si era rotto e la mamma aveva gridato - le lacrime premevano per uscire.
Scendere.
Glielo impedì.
Ecco di nuovo quel suono, quel brutto verso, come di un vecchio col catarro che si raschia la gola, ma più acuto e vibrante. Nico udì lo scalpiccio dei suo artigli sulle mattonelle lucide del cucinotto.
Nascose la faccia fra le mani.
Lo sentì avvicinarsi spostando i barattoli di latta e i bicchieri infranti disseminati sul pavimento.

Lo sentì fermarsi.
Fuori batteva la pioggia.
Un tuono. Un bubbolio.
L’altro, emise un sibilo. Nico lo vide con l’occhio dell’immaginazione alzare la testa, socchiudere quegli occhiacci cattivi e aspirare aria nelle narici sporche di muco e sangue rappreso.
Oh, sì; se voglion scendere a tutti i costi... scenderanno.
E infatti, adesso piangeva.
Bu! Gli aveva fatto la mamma prima che arrivassero.
Gli artigli graffiarono il legno dello sportello. Nico lo sentì ridere. Non aveva modo di saperlo, ma ne era sicuro: erano risa.
Le ante si aprirono.
L’Altro sorrise, gli occhi gialli che brillavano nella penombra, la bocca socchiusa con i denti storti e appuntiti.
- Bu - gli fece.
Nico gridò.

Filippo Bernardeschi