Quella strana ombra giù in cantina

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2006 - edizione 5

Quando squillò il campanello di casa, dissi:
“Vado io, vogliono me”.
Sapevo che dall’altra parte dell’uscio avrei trovato Massimo, che nonostante il nome e il fisico era un ragazzino fifone.
“Ciao Paolo, vieni in cantina con me? Devo prendere il vino per mio papà”.
“Ma hai ancora paura a scendere da solo?”
“Sai... da quella volta ho paura anche della mia ombra”.
In effetti, “quella volta” io, lui e altri due ragazzi del condominio, mentre stavamo giocando a ping pong nella stanza vicina alle cantine rimanemmo terrorizzati da un’ombra proiettata sul muro. La fisionomia non era chiara ma si vedeva distintamente una mano alzata tendere qualcosa di simile ad un’accetta.
Col tempo io rimossi l’episodio, dando la colpa alla scarsa illuminazione delle cantine o al movimento della lampada che volteggiava in seguito alle nostre racchettate.
“Va bene, scendo” risposi.
In un certo senso mi piaceva accompagnarlo perchè arrivati in cantina mi faceva sempre assaggiare un goccio di vino, cosa proibitissima per dei ragazzini! E poi soddisfacevo la mia curiosità vedendo le cose vecchie che teneva la sua famiglia.
Scendemmo le scale e Massimo aprì la porta che conduceva alle cantine.

“Io... lo sento” disse rabbrividendo.
“Ma se dobbiamo ancora entrare! Suvvia, quel giorno abbiamo visto solamente un gioco d’ombre”.
“No... è qui, so anche chi è”.
Meravigliato lo guardai.
“E chi sarebbe?”
“Ricordi le imprecazioni che dicevamo mentre giocavamo a ping pong?”
“Imprecazioni? Dicevamo al massimo Porca Paletta”.
In quel momento, quasi l’avessimo evocato, dal fondo del corridoio si materializzò una figura indescrivibile ma del tutto simile a quello che si può immaginare dicendo Porca Paletta.
Veniva verso di noi tenendo alzata una racchetta da ping pong e il suo sguardo era la cosa più orribile che avessi mai visto.
Quel giorno, il papà di Massimo non avrebbe bevuto vino.

Paolo Perlini