Quando
squillò il campanello di casa, dissi:
Vado io, vogliono me.
Sapevo che dallaltra parte delluscio avrei trovato Massimo, che nonostante il
nome e il fisico era un ragazzino fifone.
Ciao Paolo, vieni in cantina con me? Devo prendere il vino per mio papà.
Ma hai ancora paura a scendere da solo?
Sai... da quella volta ho paura anche della mia ombra.
In effetti, quella volta io, lui e altri due ragazzi del condominio, mentre
stavamo giocando a ping pong nella stanza vicina alle cantine rimanemmo terrorizzati da
unombra proiettata sul muro. La fisionomia non era chiara ma si vedeva distintamente
una mano alzata tendere qualcosa di simile ad unaccetta.
Col tempo io rimossi lepisodio, dando la colpa alla scarsa illuminazione delle
cantine o al movimento della lampada che volteggiava in seguito alle nostre racchettate.
Va bene, scendo risposi.
In un certo senso mi piaceva accompagnarlo perchè arrivati in cantina mi faceva sempre
assaggiare un goccio di vino, cosa proibitissima per dei ragazzini! E poi soddisfacevo la
mia curiosità vedendo le cose vecchie che teneva la sua famiglia.
Scendemmo le scale e Massimo aprì la porta che conduceva alle cantine.
Io... lo sento disse rabbrividendo.
Ma se dobbiamo ancora entrare! Suvvia, quel giorno abbiamo visto solamente un gioco
dombre.
No... è qui, so anche chi è.
Meravigliato lo guardai.
E chi sarebbe?
Ricordi le imprecazioni che dicevamo mentre giocavamo a ping pong?
Imprecazioni? Dicevamo al massimo Porca Paletta.
In quel momento, quasi lavessimo evocato, dal fondo del corridoio si materializzò
una figura indescrivibile ma del tutto simile a quello che si può immaginare dicendo
Porca Paletta.
Veniva verso di noi tenendo alzata una racchetta da ping pong e il suo sguardo era la cosa
più orribile che avessi mai visto.
Quel giorno, il papà di Massimo non avrebbe bevuto vino.