Scendo a
trovarla ogni giorno, la mia creatura. Resto a contemplarla per ore, non mi stancherei mai
di guardarla, così comè, addormentata e bellissima. Attorno il silenzio parla di
cose che non si possono o non si vogliono pensare. A volte parla nei bisbigli delle
comitive in gita, nel cigolio delle loro scarpe sportive ripetuto dal vuoto dei
sotterranei. E una lingua che conosco bene, eterna come la paura dellignoto.
La percepisco, viva, quando si fermano alle mie spalle ad ammirare lei.
E passano oltre. Passano tutti, comè normale che sia. Hanno altri corridoi da
percorrere, sono venuti quaggiù per questo. Hanno ancora file e file di morti agghindati
a festa da fingere di non voler guardare, oppure da osservare dietro furtive macchine
fotografiche, con la curiosità che prende il sopravvento sullorrore di essere
quello che si è, liquame secco e vecchie ossa e lembi di pelle ammuffita.
Lei però è diversa, ha ancora il suo bel viso di bambina, capelli doro ad
accarezzarle la tenera cute. Lei è il mio capolavoro, il vero trionfo della vita.
Io no. Io sono vecchio, le mie carni marcite, e senza neanche la consolazione o la
speranza che possa aver fine questa mia inutile mostruosa condanna a vivere in eterno. Ma
a lei ho fatto il dono più grande, le ho dato leterna bellezza, limmortalità
vera.
Sono sempre lultimo ad andare via. Mi fa male lasciarla sola quaggiù, in fondo al
silenzio delle Catacombe. Ma tornerò domani piccola. Ho leternità intera per
questo.
Sì, fa male. Lei apre gli occhi, me li inchioda addosso con ferocia. Avverto il suo odio
nelle lunghe ferite che ogni volta minfligge con le unghie affilate, nei suoi morsi
furiosi.
Non importa. Capirà prima o poi, lo so. Capirà e mi perdonerà tutto.