Stavolta so
i loro nomi.
Li ho sussurrati durante l'amplesso, nei momenti d'esaltazione. "Lucia e Francesca,
ogni mio respiro è per voi".
Mi piace oltrepassare il limite, è roba da bambini il sesso che faccio con la mia
fidanzata.
Appoggiato allo stipite della finestra, osservo quei corpi nudi e devo frenare l'impulso
di salirci sopra di nuovo. Ho poco fiato, sono quasi svuotato.
Mi affaccio sul cielo, attirato dai cirri, e li osservo rincorrersi, come astratti e
placidi ovini, in quella distesa monocromatica.
***
Le sto sognando?
No, sono sveglio, ne odo il ringhio ancora prima di scorgerle.
Ci sono tutte. Non solo Lucia e Francesca.
Sono lì che mi fissano e le annuso: una sniffata fetida di carne morta, che non mi nega
un piacere osceno.
Le membra sono sporche di fango e i tessuti, frollati dai vermi, sembrano scudi, bruni
come i depositi di una colata lavica.
Una risata stupida mi raschia la gola.
- Via, uscite da questa stanza - urlo, con una strizza folle.
Adesso hanno uno sguardo terribile e i loro occhi acquosi sembrano alghe radicate in due
pozze melmose. Le bocche sono livide - un buco nero gorgogliante di schiuma - e pendono in
fuori, vomitando vermi.
Qualunque cosa sia, quella che sento intorno, - pare più un fuoco fatuo, o delle
presenze, terribili spettri che alitano la morte - mi fa rivoltare lo stomaco. In un
istante mi si è come svuotato, e un artiglio lo stringe.
- Non può essere, - grido - siete state sepolte parecchio tempo fa.
Quando afferro i vestiti, la camicia si impiglia.
Mi sono sopra, io scalcio e impreco, non mi do pace. Poi mi entrano in bocca, e nel mio
petto la morte risuona come un colpo di frusta.