Ero stato
appena mangiato e quelle carni tremule, vacillanti dal mio corpo, si staccarono a forza di
morsi. I canini si contorcevano dentro l'ombelico e costruivano semicerchi di sangue e
budella strappate via, da chi è stato come me.
Non mi resi conto d'essere morto, perché senza frammenti di cranio e le dita della mano
destra, cominciai a camminare con passi tardi e brulicanti di debolezza. Non avevo più
ragione di quale forma esistenziale facevo parte, l'unica cosa che sentivo, era la fame,
pur non avendo uno stomaco mio.
Quello che provavo sulla mia pelle screpolata e pungente al solo tatto, andavo contro ogni
religione ed ogni sentenza divina, era una punizione di Dio o semplicemente l'emblema del
fato che si imprimeva nel presente, su di me e su altri uomini mangiati, diventati
mangiatori?
Vidi una donna mutilata sull'altare di una chiesa, vicino alla croce di Cristo, alzai gli
occhi verso di lui, non stavo chiedendo perdono, ma la clemenza per un istinto
incontrollabile, inconciliabile con la volontà dell'onnipotente, ma soltanto un'effimera
rozzezza, inabile davanti a mani più potenti, che giunte, potevano porre fine ad una
crudeltà della natura. Mangiai lei e il bimbo nel suo grembo sotto le lacrime del
creatore, lui, che sotto forma di luce, divinamente sadico, mi dava sofferenze e perdono.
Ero in putrefazione, ma desideravo dare ad altri la morte per potermi nutrire del loro
vomito, delle loro interiora, della loro anima.