Era lì,
immobile, allangolo della strada. Ogni muscolo del suo sgraziato corpo
preadolescenziale era teso fino allo spasimo, paralizzato; solo gli occhi guizzavano
instancabilmente da una parte allaltra. Una brutta ferita si slargava sulla sua
fronte e lacrime di vergogna colavano via sullasfalto. I suoi genitori si erano
disfatti di lui e quegli uomini ne avevano approfittato per cercare di fargli del male.
Erano armati ed uno aveva pure una videocamera. Forse si trattava di quei maniaci che poi
vendevano le immagini dei ragazzini su internet (era stato messo in guardia da sua madre
una volta, quando sua madre gli voleva ancora bene).
Era riuscito a scappare, però aveva tanta confusione in testa e tantissima paura.
Il cielo livido prometteva pioggia. Il freddo autunnale dava sollievo alle ferite
sbocciate in ordine sparso sul suo corpo.
Avrebbe voluto chiedere aiuto ma non cera nessuno in giro. Senza contare che
lavrebbero sicuramente rinchiuso in un orfanotrofio e lidea lo terrorizzava.
Ancora lacrime ed un mugolio sommesso.
Poi riconobbe uno di quegli uomini, quello con la telecamera. Era
spuntato dal retro di un palazzo abbandonato. Gli si stava avvicinando di corsa, con il
fiato grosso e gli occhi sbarrati, riprendendo tutto con la sua macchina a spalla.
Indossava un giubbotto bianco con su scritto STAMPA. Puntò la cinepresa
contro il bambino e cominciò a farfugliare:
Qui ce nè un altro! Sono dappertutto...! Mio Dio, riuscite a sentirmi ancora
dallo studio? Mi sentite? Siamo ancora in diretta?
Il giornalista scivolò malamente sul marciapiede, a pochi passi da lui.
Stavolta non cerano poliziotti a proteggerlo e fu facile per il ragazzino mangiargli
la faccia.
Era lì, immobile, allangolo della strada. Stavolta sorrideva
perché vedeva avvicinarsi allorizzonte la moltitudine barcollante dei morti.
La sua nuova, grandissima famiglia.