Erano di
poco passate le due della notte, quando Alan estrasse il cadavere di Margaret dal loculo
numero sedici dellobitorio. Laria gelida e condensata fuoriuscita dal
cassettone metallico scese in silenzio verso il pavimento. Alan perse qualche istante a
guardarla. Era ancora bellissima, anche nel suo pallore cadaverico. Le labbra erano rosse,
quasi fossero tuttora capaci di amare.
«Tra poco saremo di nuovo insieme» le sussurrò Alan.
Sollevò il suo corpo dolcemente, nonostante fosse appesantito dalla rigidezza propria dei
defunti. Era freddo. La adagiò cautamente sul lettino dellobitorio, poi prese la
piccola scatola metallica che aveva rubato allospedale. Prelevò un piccolo bisturi,
e ne poggiò con attenzione la punta nel mezzo del petto della ragazza. La sua mano
tremava. Si concesse qualche attimo per concentrarsi.
Respirò. Doveva fare in fretta.
Recise allora una linea verticale lungo il petto della giovane. Aprì lo squarcio, tanto
quanto bastava per scorgere il cuore. Afferrò allora i due cavi che aveva collegato alla
presa di corrente, e li avvicinò verso lorgano ormai inerte. Una fortissima scarica
delettricità bluastra illuminò il suo volto e il seno di Margaret per qualche
secondo, poi Alan gettò a terra i cavi e prese a massaggiarle il cuore.
Una, due, dieci volte.
Niente. Lei giaceva lì, immobile.
Allora è vero, pensò. Dopo la morte non esiste nulla. Forse perché la
morte stessa è il nulla.
Alan rimase a fissarla negli occhi.
«Aprili» la supplicò. «Apri i tuoi bellissimi occhi. Voglio vederli ancora una volta»
E lei li aprì. Il cuore di Margaret aveva ripreso a battere. Non se nera accorto!
Batteva! Batteva di nuovo! Ci era riuscito, Margaret era VIVA!
«Amore! Amore mio!» le disse, commosso ma al contempo felice. La strinse forte a sé.
«Come ti senti? Riesci a parlare?»
«Ho fame» disse, prima di mordergli il collo.