Vejovis

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2006 - edizione 5

Nel cuore della notte, una di quelle in cui la fragranza degli alberi si mescola al puzzo di rifiuti e fogne guaste, Vejovis percorre vie, costeggia palazzi, vaga senza una meta. Fino a quando qualcosa spunta da un vicolo e si blocca, sbarrandogli la strada.
“Salve, compagno notturno”. Esordisce quel qualcosa.
E’ un uomo sulla quarantina. Plumbeo. E ambiguo.
“Salve”. Replica Vejovis, cercando di aggirare l’ostacolo. Ma l’uomo s’avvicina, lo stringe, l’obbliga a imboccare il vicolo.
“Dove stai andando?” Incalza greve.
“D-da nessuna parte. F-facevo due passi”.
“Perché, soffri d’insonnia?”
“S-sì. Un po’...”
“Ti capisco. Anch’io sono così. Non dormo mai. E sai come inganno il tempo?”
“C-come?”
“Uccido!” Replica tutto di un fiato. “Hai paura?”
“N-no”.
Battiti accelerati. Respiro corto. Sudorazione eccessiva.
“Strano, si direbbe il contrario...”

“T-ti assicuro che ho detto la verità. Ora lasciami andare. T-ti conviene...”
“Ah, sì? E com’è che ti chiami?”
“Vejovis”.
“Strano nome. Credo che sarà un vero piacere, ucciderti”.
Ma Vejovis, ormai in piena crisi, non l’ascolta più. Sente il capo indurirsi, gli occhi moltiplicarsi, i denti trasformarsi in cheliceri, le braccia in pedipalpi e le mani in chele. Sul petto spuntano un paio di pettini, le gambe e i polmoni si dividono in quattro e i reni si riducono a semplici ghiandole coxali, mentre il coccige si allunga in un sottile telson. Terminata la metamorfosi, Vejovis osserva la sua vittima, la blocca con le chele e, ripiegandosi a libretto, l’infilza con l’aculeo velenifero.
Prima di morire, l’uomo commenta: “Il tuo nome... Vejovis... Scorpione! Avrei dovuto immaginarlo...”
“G-già. Eppure ti avevo avvertito, che ti conveniva lasciarmi andare...”

Marco Di Tola