Nel cuore
della notte, una di quelle in cui la fragranza degli alberi si mescola al puzzo di rifiuti
e fogne guaste, Vejovis percorre vie, costeggia palazzi, vaga senza una meta. Fino a
quando qualcosa spunta da un vicolo e si blocca, sbarrandogli la strada.
Salve, compagno notturno. Esordisce quel qualcosa.
E un uomo sulla quarantina. Plumbeo. E ambiguo.
Salve. Replica Vejovis, cercando di aggirare lostacolo. Ma luomo
savvicina, lo stringe, lobbliga a imboccare il vicolo.
Dove stai andando? Incalza greve.
D-da nessuna parte. F-facevo due passi.
Perché, soffri dinsonnia?
S-sì. Un po...
Ti capisco. Anchio sono così. Non dormo mai. E sai come inganno il
tempo?
C-come?
Uccido! Replica tutto di un fiato. Hai paura?
N-no.
Battiti accelerati. Respiro corto. Sudorazione eccessiva.
Strano, si direbbe il contrario...
T-ti assicuro che ho detto la verità. Ora lasciami andare. T-ti conviene...
Ah, sì? E comè che ti chiami?
Vejovis.
Strano nome. Credo che sarà un vero piacere, ucciderti.
Ma Vejovis, ormai in piena crisi, non lascolta più. Sente il capo indurirsi, gli
occhi moltiplicarsi, i denti trasformarsi in cheliceri, le braccia in pedipalpi e le mani
in chele. Sul petto spuntano un paio di pettini, le gambe e i polmoni si dividono in
quattro e i reni si riducono a semplici ghiandole coxali, mentre il coccige si allunga in
un sottile telson. Terminata la metamorfosi, Vejovis osserva la sua vittima, la blocca con
le chele e, ripiegandosi a libretto, linfilza con laculeo velenifero.
Prima di morire, luomo commenta: Il tuo nome... Vejovis... Scorpione! Avrei
dovuto immaginarlo...
G-già. Eppure ti avevo avvertito, che ti conveniva lasciarmi andare...