Sono passati circa trentacinque minuti dallultimo colpo di pistola. Kenny è rinchiuso nello sgabuzzino. Ha urgente bisogno di andare in bagno. Quando gli appestati hanno cominciato a battere alla porta e alle finestre, il padre gli ha ordinato di nascondersi. Dopodiché rumori di vetri infranti, porte divelte, mobili ribaltati, vasi rotti... le urla del padre. Colpi di pistola, la scala, passi, altri colpi di pistola. Silenzio... un altro colpo, poi ancora silenzio.
Decide di uscire. Stringe la mazza da baseball trovata nello
sgabuzzino. Limpugna come un vero giocatore, come gli ha insegnato suo padre. La
porta si apre. La camera si disegna lentamente, mostrando una scena terrificante per un
bambino di dodici anni. Sul divano, con la testa riversa allindietro, uno dei
cadaveri che tornano dalla morte. Il viso ricoperto di sangue. Nota il colpo darma
da fuoco al centro della fronte. Ricorda il cronista alla radio: Per ucciderli, si
deve distruggere il cervello. Poggia lestremità più tozza della mazza, sulla
spalla del cadavere. Preme, per verificare che sia davvero senza vita. Nessun movimento.
Dovrebbe correre via il più veloce possibile, ma si chiede dove sia il padre e cè
ancora quel dannato bisogno che non riesce a contenere. Deve correre al bagno. Si gira
verso la scala che lo conduce al piano superiore. Le sorprese non sono finite. Davanti la
porta un appestato: suo padre. Un corpo cadaverico, ricoperto di ferite; carne strappata a
morsi. Sulla tempia, levidente segno di un uomo che, in un ultimo estremo tentativo,
ha cercato di togliersi la vita, per non tornare dalla morte che sarebbe presto giunta. Lo
sguardo apatico, fisso sul ragazzo, che a sua volta guarda quello che un tempo era suo
padre. Nulla può più la ragione. Quando Kenny proferisce parola, lessere si muove
inesorabile verso di lui.
Papà!