La
chiamavano Adolfa, i frequentatori della mensa universitaria. Un soprannome nato dal caso,
ma soprattutto dal suo carattere gentile e cordiale, sempre ben disposto verso gli
studenti. Capelli color grigio topo, faccia arcigna e grinzosa, scrutava come un falco i
vassoi che le sfilavano davanti, alla cassa, pronta a castigare ogni tentativo di
appropriazione indebita di portate. Fissava i clienti da sopra gli occhialini da
professoressa di matematica in pensione, mentre batteva lo scontrino.
Un sergente dei marines in grembiule, vecchio e inacidito, con un retrogusto di Gestapo.
Questi e molti altri epiteti le dedicava Davide, camminando mogio verso il tavolo degli
amici.
«Ma sei scemo?» gli disse Andrea, mentre si sedeva. «Volevi fregare lAdolfa?
Quella ti manda le SS a casa, se ci provi.»
«Non la volevo fregare» rispose Davide. «Cerano due panini attaccati: ho preso il
primo, è venuto su anche il secondo. Neanche lavessi derubata!»
«Sai le regole: un panino pro capite. Se sgarri, finisci al muro.» Lamico rise.
«Ridi, ridi. Voglio vederti quando mangerai le polpette, se riderai ancora. Che schifo!»
«Perché? Le hai già assaggiate?» chiese Andrea.
«Polpette in mensa? Tu sei pazzo! Dovresti saperlo, no? Sono gli avanzi di mezzogiorno,
riciclati a dovere. Qui, nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si impana.»
«Ah, perché la tua pasta al ragù, invece...»
«No, il ragù lo fanno coi turisti dispersi nelle calli» intervenne Manuel, seduto lì
accanto. «Come gli hamburger, no? Cerano anche a pranzo: non li avete visti?»
«Eravamo allaltra mensa, dalla stazione» rispose Davide.
«Comunque, stai attento allAdolfa: oggi è luna piena, lo sai? Si trasformerà in
pantegana mannara e ti verrà a cercare per vendicarsi del panino.»
«Ma piantala!» Risero.
Era la teoria assurda di Manuel, che rispolverava quando era in vena di scemenze: col
plenilunio, ogni popolo si trasformava nellanimale più adatto alle caratteristiche.
Per esempio, gli occidentali diventavano lupi mannari, gli indiani (dIndia) tigri
mannare e i veneziani pantegane mannare. Nel caso dellAdolfa, il cambiamento sarebbe
stato minimo. Giusto la coda.
«Guardala! Ne ha beccato un altro» disse Andrea.
«Sarà una matricola...»
Uno studente, a capo chino, subiva la reprimenda della dolce cassiera, per aver osato
prendere sia la bibita, sia lo yogurt: gesto vietato dal regolamento della mensa
universitaria. Restituì il vasetto, più rosso del sugo della pasta. Altri due, in coda,
lo fissavano ridacchiando.
«Poveraccio! Unaltra vittima della pantegana mannara» commentò Manuel.
«Attento che ti sente!» Davide la vide girarsi verso di loro, omaggiando il loro gruppo
col più dolce e affascinante dei sorrisi. Una smorfia da incubo, peggiore del cibo che
avevano nei piatti.
«Ci ha già sentiti, lAdolfa. Ha i radar al posto delle orecchie» disse Andrea.
«Domani ci metterà la stricnina nel secondo. Che amore di donna!» Risero di nuovo.
Mangiarono in fretta e senza gusto. Dopo qualche chiacchiera digestiva, davanti ai resti
della cena, si prepararono a sbaraccare. Erano passate da poco le venti. Allinearono i
loro vassoi sugli appositi carrelli. Davide chiudeva la piccola fila, mentre passavano
davanti alla cassa, per uscire.
«E tu non cercare più di fare il furbo, mi raccomando» gli disse lAdolfa,
cogliendolo nellistante in cui alzava la testa, per spiarla con la coda
dellocchio.
«Non si preoccupi, è stato solo un incidente. Ci vedremo domani a pranzo» le rispose,
abbozzando un sorriso di circostanza. Tutti lo stavano fissando. Lavrebbe strozzata
molto volentieri.
«Domani per pranzo» gli fece eco, prima di tornare ai suoi doveri di inserviente
carogna.
«Simpatica come un clistere» bofonchiò, chiudendo la porta. Si fermarono sul bordo del
canale, per decidere dove andare. Dritti a casa, oppure in biblioteca, a studiare e
scroccare internet? Davide non aveva molta voglia di restare fuori, ma non disse nulla.
«Che si fa? Serata in Querini?» propose Andrea.
«Per me va bene, così controllo la posta» rispose Manuel. «E tu?» rivolgendosi a
Davide.
«Boh, va bene. Andiamo.»
«Cosè, sei arrabbiato per lAdolfa? Lo sai che è stronza di natura, non lo
fa apposta» disse Andrea.
«Non ci pensare» filosofeggiò Manuel. «Vedrai che domani sarà ancora peggio. Se ha
sentito mentre la prendevamo in giro, è capace di segnarsela davvero. La conosci anche
tu.»
«Già» rispose Davide, svogliato. «Andiamo, dai, prima che cambi idea.»
Andarono. La serata alla biblioteca Querini passò abbastanza bene. Trovarono altri due
compagni di corso, che forse erano già lì dal pomeriggio: studiarono poco ma parlarono
molto. A mezzanotte, gli orari li costrinsero ad abbandonare il campo, se non volevano
restare chiusi dentro. Venezia, oltre i muri, era il solito mortorio, pochi turisti
dispersi e un paio di gatti tra le calli male illuminate.
«Ci vediamo domani, dai» Davide salutò gli amici, prima di incamminarsi verso casa.
«Attento alla vendetta dellAdolfa, mi raccomando!» ribatté Andrea, ridendo. «E
domani, stricnina per tutti.» Si insultarono allegramente, separandosi.
La città dormiva tranquilla. Fino a Rialto, cerano ancora vaghissime tracce di vita
umana, davanti ai bacari. Passato il ponte, fu il deserto. I banchetti diurni avevano
chiuso i battenti e Ruga Vecchia di S. Giovanni Elemosinario era un tunnel di silenzio,
dove i miseri lampioni potevano poco contro il buio della notte. E pensare alla folla che
cera sempre, da quelle parti: sembrava un altro mondo, a quellora. Un mondo di
pace, senza turisti. Non gli dispiaceva.
Fischiettava, Davide, mentre svoltata davanti alla Chiesa di S. Aponal. Proprio nessuno.
La luna gli concedeva quel poco di luce che le calli negavano, laria profumava di
umidità e di laguna: era una bella nottata, tranquilla. Si sentiva bene, la mensa era
solo un retrogusto che si attardava in gola. Un gusto sgradevole, ma abituale. E
allinferno pure lAdolfa e le sue fisime!
Fischiettava ancora, superando Campo S. Polo e imboccando Calle Saoneri, dopo il ponte.
Smise di fischiettare quando guardò nel sotoportego sulla destra, quel cunicolo angusto e
spoglio che portava verso i Frari. Qualcosa ne sbucò, a tagliargli la strada, qualcosa
che Davide riconobbe subito, anche se non poteva crederla reale. Era troppo folle,
eppure...
Eppure forse Manuel aveva ragione, con le sue teorie sceme. Forse voleva davvero
vendicarsi, per il panino o per le loro risate. O forse chissà. La figura lo afferrò per
le braccia, veloce, trascinandolo nellombra. Stringeva, dolorosamente. Davide la
fissava, mentre i suoi contorni si definivano.
Una sagoma, una sagoma familiare: le mancavano solo gli occhialini da professoressa. Aveva
molte altre cose, in compenso. Cose come gli artigli. E la coda, glabra.
«Domani, spezzatino per pranzo» squittì lAdolfa, leccandosi i baffi.