Finalmente
avevo trovato il coraggio, quello che mi mancava, per poter ritornare nel mio orribile
passato; ero decisa, convinta di farcela.
Presi il mazzo di chiavi depositate, da troppo tempo, in quel cofanetto portagioie posato
sul piano in marmo della console in corridoio. Mi vidi nella specchiera sovrastante e mi
sforzai di sorridere.
Percorsi il resto del corridoio per raggiungere la camera da letto, feci scorrere le ante
a specchio del guardaroba e con cura scelsi un abito adeguato alla situazione. La
decisione cadde sull'ultimo acquisto, un abito blu da sera, con un'ampia scollatura;
volevo apparire bella, sexy ed attraente. Lo indossai, richiusi le ante del guardaroba e
nuovamente sorridendo mi specchiai. A piedi scalzi andai in bagno, indossai una collana
doro che non avevo mai più indossato, pettinai i miei lunghi capelli ondulati e mi
laccai le unghie con uno smalto rosso, tanto rosso, da ricordarmi le rose che adornavano
la chiesa nel giorno del mio matrimonio.
Mi truccai leggermente, un po di rossetto rosso sulle mie labbra carnose e morbide
come petali di rosa; un leggero tocco di blu per intonare gli occhi al vestito ed infine
una spruzzata di profumo dolce, dolce come il profumo dei fiori darancio; anche
quelli adornavano la chiesa quel giorno.
Lo specchio confermò la mia bellezza: ero pronta. Calzai un paio di sandali con il tacco,
eleganti ma comodi.
Riposi le chiavi in borsetta, uscii dal mio appartamento e poco dopo salii sulla mia
Mercedes decappottabile. La sua carrozzeria nera e lucida, come il carro funebre che lo
portò via per sempre, rifletteva i raggi di sole estivo. Avviai lautomobile e
imboccai una strada che conduceva alle campagne.
Dopo una buona mezzora parcheggiai nei pressi della cappella
romanica di San Martino, famosa per la sua cripta dove si conservano i resti del santo che
dà il nome alla chiesa. Ledificio era circondato da un nucleo di decrepite case
costruite in mattoncini arancioni e dai tetti ricoperti di coppi, tipiche della campagna
padovana. Scesi, e con violenza, o forse rabbia, chiusi la portiera. Mi travolse il
profumo intenso dei campi appena arati. A piedi, percorsi una stradina costeggiata da
giganteschi alberi.
Davanti a me vedevo i campi colorati, dal giallo delle spighe al verde del mais, e su di
una piccola collina circondata da essi, rividi, dopo tanto tempo, quella che sarebbe
dovuta essere la nostra casa.
Quando ci giunsi davanti, mi resi conto che non era più come la ricordavo. La natura ne
aveva modificato laspetto ed aveva regnato sovrana durante la mia lunga assenza.
Estrassi le chiavi dalla borsetta ed aprì il cancello arrugginito. Il vialetto ciottolato
era colmo derbacce e quel giardino secolare, solitamente ben curato, era diventato
completamente incolto. I muri bianchi della villa ottocentesca erano ricoperti da una
selvaggia glicine in fiore e le edere ricoprivano lintera facciata. Mi guardai
attorno meravigliata, e maccorsi che tutto, in questo giardino, si fermò in quel
giorno. Nella penombra degli alberi secolari, tra la disordinata natura si vedevano ancora
i tavoli del banchetto malamente apparecchiati, ancora ricoperti dalle tovaglie, oramai
ridotte a brandelli; i rampicanti li avevano assediati e le fogli autunnali si erano
posate nei piatti. Gli usignoli e i pettirossi si fermavano ad abbeverarsi sui bordi dei
bicchieri di cristallo, colmi dacqua piovana; una farfalla si posava qua e là sulle
posate arrugginite. Un soffio di vento mi spettinò i capelli, alzai gli occhi al cielo e
in quel momento ripensai a quel giorno. Sarebbe dovuto essere il giorno più felice della
mia vita e invece...
I preparativi durarono mesi, tutto era pronto; il banchetto in
giardino, labito bianco, i musicisti... e finalmente stavo per sposare luomo
della mia vita.
Quando la massiccia porta della chiesa saprii davanti ai miei occhi vidi la chiesa
gremita, le rose rosse e i fiori darancio decoravano lintero edificio e la
musica dellorgano mi travolse.
L'incubo iniziò quando vidi il suo volto. Camminavo a braccetto con mio padre, verso
l'altare, labito bianco che indossavo era magnifico. Guardavo gli invitati e
sorridevo loro, felice ed euforica come non mai, stavo per sposare l'uomo che amavo.
Poi la vidi e tutto iniziò a girare; era lì, tranquilla e beata, in seconda fila seduta
in mezzo agli invitati. Sorrideva. Anzi no, forse ghignava. Ad un tratto mi salutò con la
mano. Ma chi l'aveva invitata? Lei, maledetto bastone tra le ruote della mia vita. L'ex
fidanzata del mio futuro marito, una di quelle donne che non ci stanno ad essere lasciate
e fanno di tutto per rovinare l'esistenza ai loro ex uomini. L'avevamo persino denunciata.
Dopo cinque anni la rividi lì, il giorno del mio matrimonio. Mi guardava e mi sorrideva,
maligna. Si passò la lingua sulle labbra, lo sguardo folle. Il tempo non era stato
affatto clemente con lei. Aveva occhi vacui e spenti, rughe profonde che le scavavano il
volto, un colorito strano, quasi giallognolo, denotava i sintomi di una grave malattia...
o, almeno, questo è ciò che pensai io.
Ma la cosa più inquietante era quel grottesco arricciarsi di labbra che sarebbe dovuto
essere un sorriso. Ma c'era qualcosa di strano. Avevo un pensiero che mi vagava per il
cervello, ma era talmente confuso e fugace che non riuscii ad afferrarlo. Ma di una cosa
ero certa: era venuta a rovinare il mio matrimonio. Ma non potei fare nulla, perchè ero
arrivata di fronte al prete; interrompere il rito per chiedere che quella persona venisse
cacciata dalla chiesa non mi sembrava il modo più adatto per proseguire la cerimonia.
Un rumore metallico mi distrasse dai miei pensieri, abbassai lo sguardo
e mi voltai di scatto.
Il grande cancello si era richiuso alle mie spalle con un soffio di vento, imprigionandomi
nel grande giardino incolto. Il cielo azzurro si stava ricoprendo di nuvole nere.
Incurante, percorsi il resto del viale e mi diressi verso la scalinata che raggiungeva
lingresso della villa. Salii le scale in granito e raggiunsi la grande porta in
legno, frugai nervosamente nella borsetta alla ricerca della chiave. Quando finalmente la
trovai aprii il portone.
Attraversai lo spazioso atrio illuminato da immense finestre impolverate.
Il silenzio che mi circondava era distrutto solo dal rumore dei miei tacchi sul granito
che rimbombavano nel grande locale e dalla pendola del soggiorno che scandiva il lento
scorrere del tempo.
Volevo vedere in quali condizioni si trovava la casa prima di prendere la decisione
definitiva.
Entrai in soggiorno, era un locale molto spazioso dal soffitto affrescato, il quale
rappresentava un paesaggio mediterraneo e pendeva un grande lampadario in cristallo di
Boemia.
Un enorme camino ottocentesco dominava il soggiorno.
Al centro cerano due enormi divani ricoperti da vecchie lenzuola bianche
accompagnati da un tavolino in vetro.
Dietro a questi stava un grosso tavolo antico in legno di ciliegio contornato da dodici
sedie imbottite, una credenza colma di bicchieri in cristallo dominava la scena.
Dalle immense finestre pendevano alcune pesanti tende.
Il pavimento, ovunque era sudicio, larredamento era ricoperto da un denso strato di
polvere mentre la tappezzeria fiorata che ricopriva le pareti, qua e là era strappata
lasciando intravedere la parete spoglia impremiata dumidità.
Ero stanca, forse il caldo o forse limportante decisione che stavo per prendere
così maccomodai su di una sedia che circondava il tavolo impolverato.
Tutto era come quel giorno. Riconobbi subito l'altare che avevano
allestito apposta per noi: era ancora lì, tale e quale. E su di esso, tale e quale, erano
ancora visibili la macchie di sangue. E' questo che mi ha perseguitato per tutto questo
tempo, quel ricordo osceno e inenarrabile. Anche se l'avessi raccontato, nessuno mi
avrebbe creduto. D'altronde, come si può pretendere che la gente creda ad una donna che
va in giro farneticando che il proprio marito è stato sbranato da uno zombie? Io stessa
ho dubitato dei miei ricordi, ho creduto davvero di essere impazzita, di essermi inventata
tutto.
Ma la realtà è questa: lei, la sua ex, era morta due mesi prima. Era stata sepolta nel
cimitero vicino alla cappella romanica di San Martino, ed era tornata in vita, rianimata
da chissà quale istinto. Mentre il prete pronunciava le formule di rito, lei si alzò in
piedi, con quel sorriso stampato in faccia. Deambulò verso di noi, lentamente,
zoppicando. Non era seduta molto lontano da noi, ma i pochi passi che fece riuscirono ad
ipnotizzare tutti: nessuno parlava, perfino la suonatrice dorgano si era bloccata.
Lo sguardo di tutti era fisso su di lei: quando fu abbastanza vicina riuscii a sentire il
suo puzzo mefitico e allora, memore delle centinaia di film horror visti con il mio amore,
capii cosa stava per accadere. Mi osservò per qualche istante, poi si girò di scatto
avventandosi su di lui.
Gli strappò una guancia a morsi, mentre lui urlava disperatamente. Allora tutti
scapparono. Non rimase nessuno; nessuno si preoccupò di noi.
Ero sconvolta, agghiacciata: osservai la scena di lei che pasteggiava con le interiora di
lui sparpagliate al suolo, che succhiava le sue ossa per non lasciare nemmeno il minimo
brandello di carne. Ho ancora vivo nella memoria il ricordo del suono che fece il bulbo
oculare quando lei lo sgranocchiò con i suoi denti marci. Quel suono mi riportò in buona
parte alla realtà: realizzai che non appena avesse finito con lui, molto probabilmente si
sarebbe avventata su di me. Fu allora che fuggii.
Un tuono mi fece sobbalzare e mi resi conto che tutto questo era
solamente un orrendo ricordo tornato a tormentarmi sottoforma di incubo.
Ora ero sicura, anche se la villa necessitava di un restauro, sarei ritornata a vivere in
campagna.
Sono passati dieci anni ed è ora di ricominciare a vivere serenamente, senza
lincubo di quella donna che potesse ritornare da me...
Un altro tuono mi costrinse ad alzarmi dalla sedia sulla quale ero seduta, volevo
rincasare prima che cominciasse a piovere.
Prima di raggiungere la porta dentrata mi specchiai in uno specchio impolverato e mi
vidi diversa, più serena, libera da un peso che portavo da troppo tempo e soprattutto
sorridente.
Richiusi la porta, scesi la gradinata e percorsi il lungo viale senza voltarmi fino al
cancello.
Uscii dal giardino e percorsi la stradina costeggiata da giganteschi alberi scompigliati
dal vento. Il cielo sopra la mia testa, color blu notte, si contrastava con il giallo
delle spighe. I girasoli, tristi, guardavano verso il basso e i verdi prati cosparsi di
papaveri erano accarezzati da folate di vento. Finalmente raggiunsi il nucleo di vecchie
case dove avevo parcheggiato lautomobile. Pensierosa, ma felice avviai
lautomobile e minoltrai nelle campagne verso casa.
Le gonfie nuvole nere cominciarono a lasciar cadere le prime gocce di
pioggia che ben presto si trasformarono in grossi chicchi di grandine che piombavano dal
cielo come proiettili sulla carrozzeria nera dellautomobile.
La visibilità era ridotta a causa della nebbia e la strada di campagna era stretta e
scivolosa.
Mi sentivo strana, come se ci fosse una presenza familiare accanto a me; mi sembrava di
sentire il profumo della sua pelle abbronzata, il suo sguardo su di me... incredula vidi i
suoi occhi verdi fissarmi dallo specchietto retrovisore... una mucca sulla strada, un
colpo secco, la travolsi e la mia Mercedes venne sbalzata nel canale accanto, poi... più
nulla.