Anche se
era piena stagione, dallesterno dellhotel Dedalus si vedevano solo una serie
di imposte socchiuse. Ebbe per un istante la sensazione di trovarsi ad osservare una di
quelle ville abbandonate, ricoperte di rampicanti, aldilà di una cancellata arrugginita.
Il tempo che si sedimenta su ogni superficie, rendendo anche il bianco più candido color
muffa, color decomposizione. Si stava asciugando il sudore della fronte, mentre con la
pesante borsa si avviava ansimante verso lingresso. La morsa dellafa lo
attanagliò intensamente. La piscina era ridotta a una profonda superficie screpolata dal
sole, la cassa di risonanza per il frinire delle cicale. Nelle sottili fratture che
ricoprivano ogni superficie, cercavano riparo enormi formiche nere. Non vedeva lora
di oltrepassare lingresso dellhotel Dedalus per trovare il fresco
dellaria condizionata, una doccia, un po di quiete.
Spinse il grande portone in vetro e venne risucchiato dal vuoto allinterno. Rischiò
di inciampare sul borsone e rimase aggrappato alla maniglia, ma più della paura per la
caduta, lo atterrì il calore proveniente dallinterno della hall, pari, se non
superiore, a quello esterno. Lodore marcescente del mobilio antico e del parquet
impregnati di umidità gli si era già avvinghiato addosso, rendendolo parte
dellhotel. La sensazione di oppressione veniva accentuata dalloscurità che
regnava allinterno e alla quale dovette gradualmente abituare le pupille. Il salone
era completamente deserto. A parte il barista dietro il bancone in fondo alla sala.
Sembrava agire meccanicamente: finiva di asciugare la serie di bicchieri e ricominciava da
capo. Inutile chiedere informazioni a quella specie di automa, si disse, incamminandosi
verso la reception al momento priva di personale.
Pigiò il campanello, in attesa di risposta. Si sentì uno scalpitare di tacchi. Un attimo
dopo sbucava da una tenda di velluto carminio la figura esile e perfettamente
proporzionata di una ragazza bionda. Anzi di una ragazzina. Il seno acerbo e le forme
ancora non sviluppate si agitavano languide in una divisa in seta e pizzo confezionata per
adattarsi a una donna, sotto lincedere di un passo desideroso di risultare sensuale,
ma che finiva per essere frivolo. Anche il trucco, appena accennato, sembrava voler
attrarre solo losservatore più attento, e sfuggire agli altri. Venne assalito da
quella incosciente malizia ritrovandosi a fissare la ragazza negli occhi. Non accadde
nulla. Poi, in un moto di autodifesa, la anticipò:
Sono il nuovo addetto ai servizi di camera.
Salve, la stavamo aspettando.
Silenzio.
Beh, vorrei lasciare le mie generalità... conoscere la mia stanza... prendere
servizio, insomma. Sembrava dovesse essere lui a condurre il gioco. Pensò che a lei
piacesse vederlo soffrire, impalato, madido di sudore, imbarazzato per quello sguardo
indiscreto che continuava a cadere nella sua scollatura. Sicuramente se ne era accorta.
Sorrideva.
Non si preoccupi, noi sappiamo già tutto di lei. La accompagno direttamente alla
sua stanza.
Camminavano da qualche minuto. Lo stava facendo girare in tondo lungo gli angusti corridoi
dellhotel. Lei lo precedeva, affrettando il passo e ancheggiando. Lui non riusciva a
staccare gli occhi dal quel sodo fondoschiena. Un doloroso giro panoramico che non aveva
nulla di panoramico oltre la sequenza interminabile di anonime porte sbarrate. Lo stava
facendo girare di proposito, pensò, nella speranza di incrociare qualcuno e metterlo di
nuovo in imbarazzo: lui, la sua camicia trasparente per labbondante sudorazione,
stropicciata, fuori dai pantaloni, limpressione, per il peso della valigia, di
essere proteso verso le forme di lei.
Ma non avevano incrociato anima viva.
Questa è la sua stanza.
Una qualsiasi, una piccola arnia dellintricato alveare. Si era atteso
dellaltro. Ma non sapeva da chi, se da lei, o dallhotel. La tratteneva, con lo
sguardo implorante, ma lei aveva fretta, doveva tornare da chi la stava attendendo.
Hai avuto anche troppo per oggi, sembrava dirgli. Mentre la sinuosa
figura si rimpiccioliva, si chiedeva se prima o poi lei lo avrebbe ricondotto alla luce.
Si era lavato e cambiato, ma lumidità aveva fatto in tempo a cospargerlo di nuovo
di una patina appiccicosa. Domani avrebbero riparato laria condizionata, gli aveva
assicurato la piccola segretaria per telefono. Il messaggio, telegrafico e dolce al tempo
stesso, lo aveva nuovamente abbattuto.
La nottata era trascorsa, breve e intensa come un giro di montagne russe. Si sentiva
frastornato nel suo primo giorno di lavoro. Nelle cucine consumava la sua colazione. Cibi
privi di gusto e inconsistenti: cornetti fatti di carta da pacchi, quella marrone, che si
strappavano sotto i denti solo dopo essere stati a lungo umettati, e una tazza di acqua
torbida, latte scremato, forse. Aveva potuto conoscere gli altri inservienti che erano
numerosi, sbucati come lombrichi dallo strato di cemento dietro il quale si erano nascosti
il giorno precedente. Indaffarati nelle loro mansioni, senza scambiare parola, erano
abulici personaggi, parenti prossimi del barista. Spiriti nella notte dellhotel, non
dormivano mai, né avevano altre necessità fisiche. Erano solo suoi pensieri. Accanto a
loro, i suoi pari grado, erano leggermente più aperti e inclini al dialogo; perlopiù in
conversazioni svuotate di ogni contenuto. Nessuno aveva saputo rispondere alla sua ingenua
domanda: se anche per loro fosse stato il puro caso a portarli lì. Replicare a quella
richiesta pareva un concetto troppo banale per essere espresso. Si vide immerso in quella
folla eppure solo. Lunico essere senziente gli sembrava la piccola segretaria. Aveva
il potere di governare ogni cosa, avere tutti loro ai suoi piedi. Chi era, si domandava? E
doverano i veri proprietari dellhotel? Domande fantasiose, rispetto alla
questione concreta di dove fossero i clienti. Anche quella mattina non ne aveva scorto
nessuno. Né loro, né la ragazza (non sapeva nemmeno il suo nome). Clienti particolari
che sicuramente le davano molto da fare. Una struttura adatta a un target ricercato,
creature estranee al mondo circostante, bisognose di rintanarsi nel buio di quelle fradice
mura. Rettili alla ricerca di morbido muschio e calore. Si sentiva uno stupido mentre
pensava quelle idiozie.
Aveva seguito il gruppo di ragazzi lungo i cunicoli che portavano al magazzino. Era stata
una vera fortuna, si era detto, perché non credeva si sarebbe mai raccapezzato in
quellintrico di corridoi tutti simili tra loro e si stupiva del fatto che qualcuno
fosse riuscito a imparare a memoria il percorso... lui ci avrebbe messo tutto il periodo
di lavoro. Inforcato il carrello, nella sua divisa candida già a rischio sudorazione, era
pronto a montare nel cigolante ascensore diretto al suo piano per cominciare il giro delle
stanze. Stavolta i numeri affissi alle porte lavrebbero aiutato a non smarrirsi e a
seguire un filo logico nel lavoro.
Il gusto acre e penetrante del mobilio tarlato del pianterreno, venne rimpiazzato nel suo
piano da un odore stucchevole. Un dolciastro che lo faceva pensare al sesso. Sudore,
fremiti e desiderio. I suoi sogni volavano di nuovo alla pelle ambrata della ragazza.
Avrebbe desiderato incrociarla, ora...
Stanza 301. Bussò nel caso qualcuno fosse ancora dentro. Nulla. Avvicinò la
mano al pomello dottone e girò. In una frazione di secondo precipitò
nelluniverso privo di regole e principi morali che gli era rimasto celato fino a
quel momento. Ogni oggetto giaceva fuori posto, spazzato via dalle pulsioni, immobile,
sfiancato. Il bianco e il rosso si fondevano in una danza macabra. Pensieri gli roteavano
nella mente. Quella visione era un caso o si sarebbe dovuto aspettare di peggio nelle
restanti stanze? Decise di verificare mentre il cuore iniziava a pulsare
allimpazzata. Spalancò la seconda, la terza, la quarta porta. Identico,
raccapricciante spettacolo. Cominciò a correre e perdersi negli sconfinati passaggi che
si rincorrevano a loro volta per lintera superficie del livello. Poi si arrese. Ed
entrò nella 333.
Non voleva aprire gli occhi. Ma lentamente le palpebre si schiudevano. Lo sguardo cadde,
nel disordine generale, su una macchia nera, a prima vista informe, adagiata sulla
poltrona antica, allangolo. Si avvicinò, la sfiorò, la sollevò. Era tessuto.
Seta. La divisa della piccola segretaria. Labito che penzolava esanime sullo
schienale lo fece trasalire. Dove era finito?
Il respiro gli si bloccò in gola. Non riusciva a stare in piedi. Provò lo stesso ad
abbrancarsi, prima ad un mobile, poi alla maniglia della porta. Con le ultime forze
cominciò a correre di nuovo, più veloce. Si sentiva in trappola. Emozioni e suggestioni
lo assalivano. Orrore, spavento, ma soprattutto delusione, castrazione e un senso di
estrema impotenza erano le forze che gli permettevano di cercare disperatamente una via di
fuga.
Ma ancora limmagine della piccola impiegata dellhotel era troppo potente, lo
sovrastava. Mentre tentava di fuggire, sentiva sopra di lui, possente, la sua presenza:
come Medusa, lo aveva pietrificato col suo sguardo. Sentiva i suoi fluenti capelli
cingergli gli arti, bloccare il suo disperato tentativo di fuga. Ogni sforzo di scappare
da quellintrico di corridoi era inutile: le buie mura dellhotel erano le
pareti di grotte per le quali non esisteva apertura verso lesterno. Dal primo
istante in cui i loro sguardi si erano incrociati, laveva voluta per lui: un sogno
proibito, irrazionale, in grado di restituirgli il vigore perduto o che non aveva mai
avuto. Invece scopriva essere lei la vera dominatrice, in grado di sottomettere ai suoi
desideri, chiunque volesse.
Stremato, riverso a terra in una pozza di sudore, capì che non sarebbe mai più riuscito
ad uscire dallhotel Dedalus. Credeva ormai che quello sarebbe divenuto il suo gelido
sepolcro. Non aveva più forze, o ne aveva così tante, scatenate dalladrenalina,
che si sentiva morto, mente e corpo stavano vivendo separatamente. Quando vide lei, la
piccola segretaria, in piedi di fronte una porta aperta. La sagoma nuda mostrava in
controluce le sue linee perfette. Silenziosa in una espressione sorridente che proveniva
da un cuore freddo come un iceberg, non si voleva curare della sua situazione, lo invitava
semplicemente ad entrare. Facendo appello alle sue ultime energie, si alzò in piedi. Lei
gli stava porgendo la mano. La afferrò e venne inghiottito nella camera, una delle tante,
uno dei tanti stomaci dellhotel.
Anche quella mattina si era alzato di buon ora. Senza aria condizionata
non aveva riposato benissimo. Rimanere nel letto più del dovuto equivaleva solo a
torturarsi.
Dopo una veloce colazione, si trovava intento nel risistemare le disordinate stanze, messe
a soqquadro durante la notte dagli ignoti avventori. Prima o poi avrebbe scoperto dove si
nascondevano, si disse. Del resto era impiegato nellhotel Dedalus da così poco
tempo, quanto: un giorno? Un mese? Un anno?...