Nero; fitto
e denso come il catrame. Ne sono avvolto. Giro su me stesso per cercare un punto di
riferimento; per capire dove sono. Allungo le braccia nella speranza di toccare qualcosa
di solido e reale. Sento i miei occhi sforzarsi. Le pupille dilatate allo spasmo nella
vana speranza di carpire una particella di luce. Nulla. Fortunatamente i polpastrelli
incontrano la levigata e gelida superficie di una parete. Decido di muovermi continuando a
toccare il muro. Conto i passi per non perdere la ragione. In quel luogo non cè
alcun rumore. Una lieve sensazione di sgomento inizia a salirmi dal centro dello stomaco.
La mia mente si sofferma per un millesimo di secondo sulla nullità in cui mi trovo. Tanto
basta per farmi sentire come un vegetale. Sordo, muto e completamente cieco.
Il panico si nutre di questultimo sentire e mi assale. Corro; senza fermarmi. Senza
voltarmi.
Temo di essere prigioniero in uno spazio senza fine.
Ma ecco una luce. Piccola, flebile. Un cono che parte, sottile, dallalto e si
allarga sul pavimento.
In esso vedo speranza e vita. Mi tranquillizzo non appena il suo chiarore mi tocca. Fermo
immobile, con gli occhi chiusi, respiro la luce. Cerco di farla mia perché non so quanto
durerà in questo luogo di tenebra. Trascorrono alcuni minuti prima che mi accorga di
quelloggetto sul pavimento.
Un orsetto di peluche; gli occhi dei bottoni, la bocca uno spesso filo nero che gli
disegna un sorrisetto sardonico. Lo afferro per osservarlo più da vicino. La mia vista si
fa strana.
Non vedo più lorsetto anche se lo sento ancora stretto fra le mani.
Mi sembra di guardare attraverso quattro forellini. Sarà la stanchezza o leffetto
del buio. Lascio cadere il pupazzo che tocca terra senza fare rumore. Mi sfrego gli occhi
per cercare di riacquistare una visione normale delle cose. Orrore. Qualcosa di
inquietante ricopre la mia cavità orbitale.
Prima di lasciarmi andare al panico cerco di capire cosa sia. Lisce e fredde superfici
circolari con quattro fori al centro. Bottoni. Due grossi bottoni sono cuciti al mio
volto. Urlo ma nessun rumore esce dalle mie labbra. Muovo la lingua cercando di farla
uscire dalla bocca. Niente da fare.
Uno spesso filo di lana a doppio incrocio salda insieme le mie labbra come a chiudere i
lembi di una profonda ferita. Percepisco un movimento ai miei piedi. Muovo la testa per
riuscire a vedere completamente la scena. Il peluche è ritto in piedi. Mi beffeggia
indicandomi, con le sue tonde mani, per poi scappare nelle ombre. Anche la luce sparisce.
Di nuovo solo nelloscurità. Disperato mi getto a terra. Rotolo su me stesso,
scalcio e grido senza emettere un suono. Aiuto! Qualcuno mi aiuti! Penso. Poi dalle ombre
emergono altre ombre dalla forma umanoide. Cerco la parete per rannicchiarmici contro.
Riesco a vederle nitidamente. I miei occhi hanno ripreso il loro posto.
I tre esseri si avvicinano. Afferrano le mie estremità e mi trascinano lungo
linfinito corridoio.
Il cuore mi batte talmente forte da farmi girare la testa. Perdo completamente i sensi.
Quando mi risveglio sono seduto su una robusta sedia di legno. Davanti a me tre scatole.
Le osservo. Sono apparentemente identiche. Cartone grezzo, tenuto insieme da scotch per
pacchi.
Le due ombre, in piedi al fianco delle scatole mi osservano anche se i loro volti non sono
altro che ovali neri privi di lineamenti. Il loro corpo, nerboruto e tonico, non è altro
che una piega di quel mondo. Esseri in bassorilievo creati dallo stesso buio che li nutre.
Scegli la tua scatola. Scegli la tua morte.
Il suono di queste parole mi raggiunge da lontano. Subito cerco di non sentirle. In breve
si fanno più forti; penetranti. Scuoto la testa nella speranza di tenermele lontane.
Inutile. Faccio scorrere il mio sguardo sulle scatole, su quegli esseri; poi nuovamente
sulle scatole. Destra, sinistra, centro.
Non voglio scegliere. No, non voglio e non sceglierò. Più cerco di convincermi di questo
più il suono aumenta dintensità. Immagini come un flusso continuo attraversano la
mia mente. Sangue, torture, dolore ed eternità si susseguono in raccapriccianti scene di
morte. In un attimo capisco che devo assolutamente fare una scelta. Devo evitare
quellinferno nel quale potrei essere proiettato.
Desidero farla finita. Desidero il riposo eterno ed essere strappato finalmente dalle loro
grinfie malvagie.
Destra, sinistra, centro. Destra, sinistra, centro. Destra, sinistra, centro. DESTRA!
Tutto si quieta. Immagini, suoni, dolori si annullano allistante. Rimane il vuoto,
io, le tre scatole e i tre esseri.
Quello più arretrato fa un passo avanti. Lo spazio alle sue spalle viene estruso dal suo
movimento.
Le sue dita di ombra si assestano sul coperchio della scatola di destra. Lo solleva;
lentamente.
Rimango bloccato dal terrore quando dalla scatola esce, con un balzo, lorsetto di
peluche.
Occhi di bottoni lucidi e neri, bocca sottile di lana, luccicante coltello stretto nel
palmo.
Mi si avventa alla gola. Urlo.
Mi risveglio nel mio letto stringendo forte Alfred, il pupazzo col quale sono cresciuto.
Senza rendermene conto lo lancio ai piedi del letto. Fredde gocce di sudore imperlano il
mio volto. Il cuore batte forte mentre il fiato mi viene quasi a mancare. Mi guardo
attorno. Tutto normale.
La mia solita camera da letto. Ritrovo i poster alle pareti, le foto con gli amici, il mio
pc.
Tutto come sempre. Sospiro; era solo un incubo. Mi alzo dal letto. Devo bere.
Ho una sete tremenda. Entro in cucina. Sullo sportello del frigo sono appesi una ventina
di fogliettini gialli a memento dei mie compiti. Sconsolato prendo la bottiglia
dellacqua alla quale mi attacco senza indugio. Il liquido freddo scende velocemente.
Sento larsura sparire e un gran fresco pervadermi. Finito di bere lascio la
bottiglia sul tavolo notando, al contempo, di essermi sbrodolato in qualche modo la
maglietta. Me ne disinteresso subito. Ormai la stanchezza mi ha abbandonato e poi,
sinceramente, vorrei evitare dimmergermi nuovamente in quellincubo.
Mi getto sul divano della sala.
Afferro il telecomando della Tv e comincio a fare un po di zapping.
Uno; schermo nero.
Due; schermo nero.
Tre; documentario su Torquemada e i metodi di tortura da esso applicati.
Quattro; schermo nero.
Cinque; schermo nero.
Sei: Reportage sulla Guerra del Golfo. Un Susseguirsi di mutilati, bambini sofferenti e
terrore.
Spengo. Tutte quelle immagini mi hanno fatto venire la nausea. Molto meglio rilassarsi sul
divano.
Metto le mani dietro la nuca e lascio vagare liberamente lo sguardo per tutta la stanza
cercando, in questo modo, di trovare un po di pace interiore.
La viva luce verde della segreteria telefonica, che segnala la presenza di un messaggio,
attira la mia attenzione. Allungando una mano premo play. Dallaltoparlante una voce
gracchiante mi fa accapponare la pelle.
Scegli la tua scatola. Scegli la tua morte.
Mi allontano dalla segreteria strisciando sul divano. Il messaggio continua a ripetersi
senza darmi tregua. Afferro il cavo che dà corrente a quel macchinario infernale; ho
intenzione di spegnerlo e poi buttarlo via. Strattono il cavo finché la spina non si
stacca dalla presa. In un attimo mi ritrovo il filo in mano ma, nonostante la corrente non
scorra più attraverso i circuiti della segreteria, il messaggio continua a tormentarmi.
Con uno scatto scendo dal divano deciso a lasciare quella casa almeno per ora. Andrò da
Michela. Da lei mi sento al sicuro. Afferro la maniglia dingresso mentre
nellaltra mano stringo il mazzo con le chiavi dellappartamento. Mio malgrado
ciò che mi si presenta al di là della soglia non mi permette di far altro che bloccarmi.
Il buio è tutto intorno. Al di fuori di quella porta non esiste alcun mondo, cè
solo quella immensa oscurità dalla quale ero scappato. Un movimento attira la mia
attenzione. Aguzzo la vista. Lorsetto dai lucidi bottoni si sta avvicinando. Stringe
ancora il lungo coltello col quale mi ha decapitato. Vedo il mio sangue colare dalla lama.
Vedo il mio sangue bagnarmi la maglietta. Lorsetto sorride compiaciuto del suo
operato.
Percepisco ancora tutto.
La mia testa, appoggiata su questa mensola di carne osserva, dai sottili fori dei bottoni
cuciti sulle mie orbite, gli sfortunati che, come me, sono approdati in questa realtà e,
con piacevole divertimento, assisto alla scelta che gli permetterà di condividere il mio
stesso destino.
Simone Covili nato nel febbraio del 1977, vive e lavora a Modena.
Collabora come redattore al portale Delirio.NET occupandosi della rubrica Cartoons &
Comics. Ha lavorato come Webmaster e tuttora amministra e pubblica i suoi racconti
sul sito XOMEGAP - luogo dincontro di giovani autori Modenesi. Coautore
e curatore dellantologia XOMEGAP 18 racconti di sogni e ombra è
tra gli autori dei racconti pubblicati sul BLOG di XOMEGAP.
Siti: www.xomegap.net e www.xomegap.net/blog