L'affetto
di un genitore può essere un'arma a doppio taglio: può farti sentire protetto, ma può
anche tenerti prigioniero in una gabbia dalle sbarre invisibili.
Francesca lo sapeva bene. Ci era cresciuta lì dentro. Ed ogni giorno sentiva quella
prigione incorporea diventare sempre più piccola e soffocante, toglierle l'aria per
respirare. Aveva deciso di scappare, di partire, di trovare la serratura di quella cella
mentale. La chiave era andarsene, lontano dai suoi, da quel paese asfittico dove era
cresciuta, desiderando soltanto lasciarsi indietro quella sensazione insopportabile di
soffocamento che la stava facendo diventare pazza.
Credeva di potercela fare, di poter guardare la preoccupazione di suo padre continuare a
crescere e gli occhi di sua madre riempirsi di lacrime. Quello sguardo umido e patetico
che tante volte aveva significato rinunce forzate e brucianti rimpianti. Poi però la
crisi di sua madre l'aveva bloccata, come un paio di manette ai polsi. I suoi singhiozzi
erano risuonati per tutta la casa, le sue preghiere, le sue suppliche. insopportabilmente
melense, eppure dolorose. Era crollata; non poteva, non ci riusciva. I suoi la coccolarono
e viziarono: le dissero che non c'era nulla di male ad essere deboli. Lei aveva bisogno
dei suoi genitori; ne avrebbe avuto bisogno per sempre.
Sola nella sua stanza, Francesca non riusciva più a controllare quella sensazione di
avere una mano stretta intorno alla gola che la stava soffocando. Doveva fare qualcosa,
doveva liberarsi prima che fosse troppo tardi. Loro si sarebbero occupati di lei
all'infinito, uccidendola col loro amore.
Li uccise lei prima di fare quella fine: una scala ripida, la cantina buia. caddero l'uno
addosso all'altro con un tonfo sordo sul pavimento in terra battuta. Era libera. Respirava
finalmente. Chiuse a chiave la porta della cantina e andò a dormire; tutte quelle
emozioni l'avevano spossata. Si addormentò subito, ma si svegliò di soprassalto dopo
alcune ore: le era parso di sentire un delicato fruscio, come quello del palmo di una mano
che accarezza una superficie liscia e levigata. La porta della sua stanza era chiusa; la
chiudeva sempre prima di andare a dormire. Stava per riaddormentarsi, quando il rumore fu
ripetuto nuovamente, stavolta con maggiore decisione. Tremante, Francesca si alzò dal
letto e aprì lentamente la porta. I suoi genitori erano lì, o meglio ciò che ne era
rimasto dopo quella terribile caduta. La testa di suo padre era rigirata più volte su se
stessa, penzolante sulla spalla sinistra, mentre sua madre era di spalle, ma la stava
fissando; la sua mente impiegò alcuni istanti a registrare il fatto che la sua testa era
ruotata di 180 gradi, ritrovandosi in quella posizione totalmente innaturale.
"Non posso stare senza di te " sussurrò sua madre.
"Lo so" rispose Francesca. E si gettò tra le sue braccia. Non poteva stare
senza di loro. Ci aveva provato, ma non ci riusciva. Lei era una brava figlia, i bravi
figli tornano sempre dai genitori.