Erano molti
anni che non entravo più in quella casa. Un lungo viaggio mi aveva tenuto lontano dal mio
sonnecchiante paese per troppo tempo. Quando vi tornai nulla era cambiato, neppure la
vecchia dimora in cui risiedevo prima di lasciare il villaggio. Lei era ancora in piedi,
ed era lì, ai margini della collinetta ad ovest, lontano dagli sguardi dei curiosi e dei
malintenzionati.
Lo stretto viale tra le due file di cipressi mi condusse allentrata della casa. Era
un grosso portone di ebano, ormai tarlato in più parti, tuttavia integro. Possedevo
ancora le chiavi di quella vecchia abitazione. Quando aprii la porta, ed entrai, ritrovai
la mia vecchia dimora completamente mutata nellaspetto. Erano passati moltissimi
anni dallultima volta in cui vi misi piede, ma lì dentro tutto era in rovina. Mi si
rattristò il cuore. Le tele dei ragni avevano coperto come un mantello funebre i mobili e
le antiche cornici in cui erano custoditi i miei ricordi più cari, gli specchi erano
infranti in miriadi di piccole schegge, le finestre erano rimaste sbarrate nello stesso
modo in cui le avevo lasciate, anni fa. Solo una cosa, quasi magicamente, era rimasta
inalterata. Un antico vaso di cristallo, poggiato su di un vecchio tavolo bianco, in cui,
anche se a distanza di molti anni, si conservava ancora intatto un fulgido mazzo di rose
rosse. Le rose che le donai lultima volta che la vidi, prima che lei se ne andasse
per sempre.
Alzai lo sguardo verso le scale che portavano alla mia vecchia camera da letto.
«Sono tornato, Anne» dissi. «Sono io»
Per un lunghissimo istante, udii soltanto silenzio. Poi, di colpo, un vento gelido e
sinistro salzò dal pianerottolo e corse giù per le scale, schiantandosi contro il
mio viso. Una sensazione di paura mi pervase il cuore. Molti degli oggetti sui mobili e
sui vecchi tavolinetti della casa caddero a terra. Alcuni vasi si ruppero.
«Sei arrabbiata con me, vero?» chiesi.
Uno degli specchi accanto a me esplose in mille pezzi. Non feci in tempo a scostarmi, ed
uno di essi si conficcò di poco nella mia carne, allaltezza del mio cuore. Persi il
respiro. Chinai lo sguardo verso terra, e chiusi gli occhi, come umiliato dai miei stessi
sbagli. Una lacrima, pigramente, scese dai miei occhi e carezzò il mio viso.
«Io non ho mai smesso di amarti, Anne»
In un istante tutto si placò. Il vento smise di soffiare e nella casa tornò il silenzio.
Tutto era in frantumi, i cocci dei vasi infranti erano sparsi sul pavimento di marmo,
mentre i frammenti dello specchio giacevano ai miei piedi. Solo il vaso contenente le rose
rosse era ancora intatto. Ed era lì, dove lavevo lasciato una volta, su quel
vecchio tavolo bianco.
Quando uscii da quella casa, e percorsi a ritroso la via verso il paesello, non smisi mai
di pensare a tutto ciò che era accaduto. Mi sentivo una nullità, ero triste. E mai, come
in quellistante, mi sentivo così solo. Avevo un solo pensiero in mente. Volevo
raggiungere Anne, a tutti i costi.
Arrivai allora alla pensione in cui avevo preso alloggio quei giorni. Una volta entrato
nella mia stanza, posizionai una sedia in legno sotto il lampadario di metallo, presi una
vecchia corda e la assicurai attorno ad esso. Quando finii di legare un approssimato nodo
scorsoio, salii sulla sedia di legno e lo passai attorno al mio misero collo, in silenzio.
Una volta terminata questa macabra procedura, balzai giù dalla sedia, ed attesi la morte.
Giunse lieve, malinconica, e il suo bacio fu la cosa più dolce che ricevetti dopo tanti
anni.
Ora sono qui, che riposo in silenzio nella mia cassa di legno, sotto alcuni metri di
terra. Sono solo, come daltronde sono sempre stato. Nessuno viene mai a trovarmi
poiché nessuno si ricorda di me, né sa se ho mai vissuto, tanto meno saprà mai se sono
morto. Ma resta ancora una cosa, ed è lunica cosa che allieta i miei tristi giorni
da defunto. So chi lo ha portato qui, dinanzi alla mia lapide, ed alla fine è questo che
mi rende felice. Questo vaso di cristallo, contenente un fulgido mazzo di rose rosse.