Bohar
sentì che la vita serena del villaggio non gli bastava più: così mise in spalla un
fagotto, in tasca monete scintillanti, e partì. Camminò spedito per tre notti e tre
giorni: ma arrivato alla quarta notte la desolazione del deserto invase anche il suo
animo, e il giovane cominciò a pentirsi dessere partito senza una meta.
- Cosa mha dato lambizione di diventare più grande? Un pugno di sabbia e
radici morte! Ma a me hanno detto che luomo può crearsi il suo cammino, e quindi
continuo. -
E continuò per molti giorni ancora, arrancando nelle sabbie e nelle rocce, ma
allorizzonte non vedeva niente, se non capre solitarie e scorbutici cammellieri,
mentre i raggi rossi del sole ferivano i suoi occhi sognanti. Finché una carovana
colorata incrociò il suo cammino: allora un Nano ghignante gli si parò davanti, a
cavallo di un mulo dipinto a tinte vivaci. Ostentava un fastidiosissimo contegno servile,
irritante più duna zanzara del Cachemire, e sorrideva malignamente, mentre parlava.
Si portò la mano al cuore e recitò i convenevoli di saluto.
- Salve, viaggiatore. Che la benedizione dei Sette Cieli ricada su di te! Se è la
desolazione che cerchi, continua pure per queste lande, e porta le mie riverenze alla
Morte! Ma se è la vita gaia che tattira, non devi far altro che unirti alla
carovana del mio Signore Ben-Gordi, il Mercante Gaudente. Vieni con noi: il mio Signore è
sempre felice di accogliere i poveri viandanti che hanno perso il giusto cammino, e ancor
più quando sono giovanotti belli e prestanti come lo sei tu. -
Bohar acconsentì, ma era rimasto poco convinto dalle parole del Nano. Inoltre provava un
forte ribrezzo per le sue orride sembianze, nonché per la maniera ributtante in cui
biascicava il suo Bismillah, mentre sogghignava sinistro.
I due arrivarono nei pressi del carro maggiore della carovana, ma prima di entrare Bohar
si tolse la soddisfazione di far fare un bel ruzzolone nella sabbia allodioso Nano,
per poi ridere di gusto. Il Nano sbuffò un pochettino, si rialzò goffamente, ma riprese
subito il suo atteggiamento disgustosamente mellifluo e sorridente, e lo accompagnò
allinterno dellenorme carro. Il ragazzo rimase esterrefatto dinanzi
lopulenza e la vivacità dellambiente, che mai si sarebbe immaginato di vedere
allinterno del carro dun mercante; pareva che linterno fosse dieci volte
più grande dellesterno, tantera la roba che vi faceva mostra di sé.
Avanzò tra medaglioni donice e profumi dincenso, e tante di quelle rarità
che non avrebbero sfigurato nei più sontuosi bazar di Damasco. Ed ecco, tra fumi
inebrianti intrisi di cannella e betel, apparve il grasso mercante Ben-Gordi, assiso sul
suo trono di cuscini e seta, che lo invitava ad apprestarsi a lui. Seduti ai suoi lati,
Bohar contò non meno di dieci giovani schiavetti, dei quali il più vecchio nemmeno
raggiungeva la sua età, e tutti erano più graziosi del più incantevole fiore
dAsia.
Mentre si avvicinava al mercante, però, laria fumosa si tramutò in un coacervo di
sussurri spaventati, di singhiozzi accennati, e di frasi dammonimento appena
bisbigliate, delle quali riuscì a captare qualche frammento:
- Va via di qui, se ci tieni alla tua virtù! Non vedi le mani che fremono? Ecco che
ora lui viene, e si porta via la tua virtù... -
Nel contempo, Bohar sentì la lama fredda di un coltello scivolare fra le sue dita;
nondimeno, avanzò ritto e imperturbabile verso il sorridente Mercante, e i suoi mille e
mille ornamenti. La bocca larga di Ben-Gordi pareva voler sfondare i confini a essa
concessi, tanto ampio era il suo sorriso; la sua mano continuava a far cenno di
avvicinarsi.
- Vieni più vicino, fanciullo, vieni da Ben-Gordi il Mercante, che possa meglio ammirare
la tua pelle debano e i tuoi occhi profondi! Non amo forse io i bei giovani? Vieni,
più vicino, più vicino! Non voglio altro che la tua virtù, giovane fiore di loto...
Più vicino! -
E le sue mani si mossero significativamente verso il basso.
- Più vicino? Ecco quel che ti meriti, Ben-Gordi! Eccoti la mia virtù! -
E Bohar lo pugnalò sei volte sul petto, finchè il grasso mercante non si accasciò per
terra. Un gioioso hurrà partì dalle gole dei dieci schiavi, che come un sol
uomo si accanirono sul loro aguzzino, strappando ognuno un brandello di pelle al cadavere
sanguinante. Prima di dimenticarsene, Bohar andò subito a cercare il malvagio Nano, e,
senza nascondere una certa soddisfazione, schiantò su di lui il pugnale, spaccandogli il
cranio al primo colpo.
Ora Bohar disponeva della vita e della morte dei dieci schiavi, che avevano già preso il
controllo della pittoresca carovana, ma non aveva unidea precisa su quale che fosse
la sua direzione, la sua meta.
- È forse un punto darrivo il mio essere qui? Quanti interrogativi pone la vita! -
Un colpo di tosse proveniente dallangolo più remoto dal carro lo distolse dai suoi
pensieri, e lo fece voltare verso la fonte del rumore. Semisepolta fra pile di
cianfrusaglie, si trovava una gabbia di ferro, allinterno della quale giaceva un
Mago.
Il ragazzo liberò subito il venerando personaggio dallignobile dimora in cui era
stato costretto, e gli chiese chi si fosse reso responsabile di tale infamia.
- Che la benedizione di Allah illumini i tuoi giorni, fanciullo! Ti ringrazio per avermi
liberato dalle grinfie del perfido Ben-Gordi; il suo amore per la tortura è pari solo a
quello per i giovinetti vergini. Che possa il suo cuore ardere nella demoniaca Fortezza di
Aherman, ed essere dilaniato dai giganti Div! Il mio nome è Sarethir, e sono un Mago: la
mia casa è la lontana Grecia. E ora, come posso sdebitarmi nei tuoi confronti, ragazzo? -
- Insegnami la tua magia! - rispose immediatamente Bohar, con occhi luccicanti.
- Daccordo: sarai mio allievo. Io devo recarmi a Shaddukian, nella terra di
Ginnistan; fa il viaggio con me e ti insegnerò i segreti della mia magia. -
- Verso il Ginnistan! - rispose subito Bohar. - Ecco qual è la mia meta adesso:
diventerò un grande Mago! -
E i due, preso un carro e due cavalli, si avviarono verso Est, non prima di aver salutato
i dieci giovani ragazzi (i quali già si beavano assieme delle delizie dei loro corpi).
Cavalcarono per nove giorni, nei quali Bohar apprese i misteri più arcani della magia, e
si impegnò a tal punto che in poco tempo era già più erudito del suo maestro, sulle
questioni dellocculto: eppure, nonostante fosse passato tanto tempo, i due non
vedevano altro che deserto attorno a loro, rocce, palme e sabbia; tanto che Sarethir
iniziò a preoccuparsi.
- Che posto è mai questo? Siamo forse capitati nel mezzo dellorrido Kaf, dove il
leggendario uccello Simurgh ha la sua dimora? È mio destino allora morire qua? Dobbiamo
uscire da questo regno sconosciuto! -
Dopo aver appurato che non si trovavano nellorrido Kaf, decisero di aver smarrito la
via, e si accorsero di aver finito le provviste; nottetempo, anche i loro cavalli decisero
di tirargli un brutto scherzo, e se ne andarono verso mete ignote, lasciandoli soli,
appiedati e affranti.
Nonostante ciò, i due continuarono a camminare verso Est, con la speranza di avvistare la
favolosa terra di Ginnistan, e si mantennero pacifici e tranquilli; fu solo il quinto
giorno che cominciarono a guardarsi.
Passarono lintera giornata a guardarsi, sotto il sole cocente, e dovettero fermare
la propria marcia, perché guardarsi mentre si cammina, come è noto, non è facile. Fu
solo a notte inoltrata che smisero di guardarsi: lanziano Mago, ormai in preda ad
allucinazioni, chiuse un occhio e cominciò a rantolare. Allora Bohar si avvicinò a lui,
per guardarlo meglio. Fu solo dopo unora che il Mago chiuse anche laltro
occhio; sennonché, quando il ragazzo tentò di tagliarli, silenziosamente, la mano
destra, egli si svegliò: Bohar dovette ricorrere alla forza, e ciò gli piaceva poco,
perché lui voleva molto bene al suo venerando maestro.
Cominciò dal cuore, e dagli organi maggiormente deteriorabili; dopodiché, con
lungimiranza, smembrò gli arti e il tronco in pezzi più piccoli: la testa, invece, la
seppellì intera, in uno slancio daffetto (anche se con le orbite vuote e le guance
un poco mordicchiate). Grazie alla sua accortezza, il tutto bastò per più duna
settimana: Bohar poteva ritenersi soddisfatto di se stesso.
Passati sette tramonti, allorizzonte, come il miraggio che va ad appagare il
viaggiatore stanco, poteva finalmente vedere, sul fondo di unampia valle, le
maestose rovine di unantica città, coronata alle spalle e ai lati da alti e
desolati monti: solo gli avvoltoi abitavano le aspre cime, e di tanto in tanto il loro
lugubre richiamo squarciava il silenzio della notte. Bohar si addentrò fra i mastodontici
ruderi, osservando meravigliato ampie scalinate e vasti muri affrescati, orrendi pilastri
scolpiti in ere prediluviane, fantastiche terrazze di marmo nero e mausolei di antichi re,
incastonati in vari punti della montagna, nonché enigmatiche statue dai visi mozzati.
Senza dubbio si trattava della favolosa città di Istakhar, dove la magia nera ha il suo
regno, e Bohar non vedeva lora di mettere alla prova le sue nuove conoscenze. Scese
allora in un cupo sotterraneo polveroso, e là evocò il demone Giamshid. Certo era
terribile il suo aspetto, ma ancor più spaventosi erano i toni con cui si rivolgeva al
ragazzo.
- Sono strane richieste le tue, demone: ma le avventure mi piacciono molto, sin da quando
potevo solo sognarle, nella quiete del mio pigro villaggio. Dunque andrò! -
Dopodiché Bohar uscì allaria aperta, chiamo a sé il pallido cavallo che lo
fissava misteriosamente da qualche minuto, e si avviò verso la vicina città di
Ambreabad, ai cui cittadini, unici al mondo, cresce in testa filigrana doro anziché
capelli.
Al suo ingresso in città, lindomani, il ragazzo ricevette però una sgradita
visita: era un Ginn terrestre, visibilmente trafelato, che seguiva le sue mosse dalle
prime luci dellalba. Il Ginn lo interpellò subito duramente, con fare preoccupato.
- Fermati, Bohar! Non seguire le tristi parole di Giamshid il Maledetto! Colui che mi ha
mandato qui conosce bene i tuoi intenti: il Profeta sa leggere nel tuo cuore, ed gli vede
la perdizione cui vai incontro! -
Bohar sbuffò, visibilmente contrariato, ma rispose cortesemente:
- Il mio cuore è puro e nobile, e il Profeta dovrebbe ben saperlo. Non è certo mia
intenzione dare ascolto alle folli parole del demone! Torna a casa tranquillo, Spirito
della Terra. -
Il Ginn sospirò, decisamente sollevato, e si voltò per allontanarsi: in questo modo non
potè nemmeno vedere il tremendo fendente con cui Bohar lo rispediva alla polvere.
- Torna sulla retta via, ragazzo! - urlò lo Spirito, mentre si dissolveva nei corpuscoli
elementari da cui era nato. Bohar rise felice, mentre il vento spazzava via gli ultimi
resti del Ginn; dopodiché chiamo a sé i due orribili servi muti Alboufar e Benuki, e
diede loro istruzioni segretissime. I due inquietanti personaggi svolsero il lavoro
commissionato dal demone con una celerità assolutamente straordinaria, e senza dubbio
meritevole di lode; grazie a loro Bohar potè tornare a Istakhar quella notte stessa.
Quella notte la luna era alta, e dal suo trono immateriale poteva contemplare una scena
quantomeno bizzarra: un corteo di barlumi di luce dorata, che seguiva magicamente uno
scuro Cavaliere verso la valle della Città Perduta. Eppure visto dal basso il quadretto
sarebbe stato ancor più sconcertante.
Era un corteo di teste volanti quello che seguiva il Cavaliere, trenta teste di bambini
dai capelli doro, in pratica tutta la gioventù di Ambreabad. E a trascinarle con
sé, nella sua gioia animalesca, cera Bohar, sbavante e urlante, con il vento che
sbatteva violento sul suo volto, a una velocità impressionante. Sbavava e urlava,
spronando il suo spettrale destriero, mentre sfrecciava nella folle notte di Persia.
- Arrivo, Giamshid! Arrivo, Istakhar! Ecco che ho raggiunto il mio obiettivo: dopo
stanotte, sarò il Mago più potente del mondo, e lo stesso Maometto dovrà tremare di
fronte a me! -
E, molto più in alto della luna, assiso sul suo trono celeste nel Settimo Cielo, Maometto
tremò.