«Mo sa fèt?! A t cùra dré nèsan?».
Sì, nonnina cara, mi corre dietro davvero. E pure bello grosso.
Sentiva gli zoccoli battere sullasfalto, il sibilo degli sbuffi nellaria.
E un raglio, di tanto in tanto, a minacciarlo. Se si potevano definire ragli, quei versi.
Gettò uno sguardo alle spalle, affannoso. Si avvicinava. Cercò di correre più in
fretta, ansimando nel caldo viscido dellestate padana. Inutile. Aveva le gambe a
pezzi, il fiato rotto e sudava come un idrante. E lasino non accennava a rallentare.
Facce sfocate lo fissavano dal marciapiede, dalle fermate dellautobus, dai negozi.
Pazzo, si leggeva su ognuna di esse. Pazzo. Possibile che non lo vedessero?
Possibile che non sentissero il rumore, gli zoccoli che masticavano la strada? Possibile,
a quanto pareva. Stava facendo la figura dello scemo davanti a tutto il paese, correndo in
giacca e cravatta, come se avesse la morte alle calcagna.
Ma non era la morte. Era un asino.
Avrebbe voluto riderne, riderne fino a impazzire. Glielo diceva sempre, la nonna, quando
lo vedeva fare tutto in fretta e furia, quando vagava impaziente per casa. «Ti corre
dietro un asino?». E adesso gli correva dietro davvero. Oddio, quel coso assomigliava a
un asino normale, tanto quanto Tyson assomigliava a uno scoiattolo, però gli correva
dietro. Ed era molto veloce.
Ottimo esempio di come le giornate potessero cominciare male e proseguire peggio. Sempre
quando aveva fretta, peraltro. Pronti, via: la sveglia morta sul campo, senza suonare. Poi
lo scaldabagno in sciopero, con conseguente doccia antartica. Un grumo di marmellata gli
violenta il vestito buono, quello tenuto da parte per lappuntamento di oggi. I lacci
delle scarpe rotti in successione, in barba a ogni calcolo probabilistico.
E adesso, mentre arrancava verso la stazione, in ritardo biblico, era arrivato pure
lasino.
Cosa aveva fatto di male? Aveva fretta, daccordo, ma chi non ne ha? Mica poteva
perdere il treno, cera in ballo un affare importante, forse anche una promozione.
Lultima a cui potesse ambire, già, dopo le tante già sfuggite. Una scusa valida,
no?
Lasino non la pensava così, evidentemente. Folle e ironico allo stesso tempo, era
sbucato dal nulla, forse a punirlo della sua fretta, forse a dimostrare lantica
saggezza delle nonne. Una nemesi equina, che sbriciolava le sue ultime speranze di
arrivare in orario. Che bella sorpresa!
Gli zoccoli, prima. Battevano sullasfalto, col suo stesso passo. Poi una zaffata
calda. Un raglio. Lui si era girato. Cera un asino, che pareva imbottito di steroidi
da un allenatore statunitense di atletica. Colossale, era il termine giusto. E lo fissava,
con un occhio di fuoco. Sì, ce laveva proprio con lui.
Al secondo raglio aveva cominciato a correre, fregandosene della gente che lo guardava
male e che lo additava come un matto. E lasino dietro, a inseguirlo. Avevano
attraversato mezzo paese, ormai, e la caccia non pareva fermarsi. Aveva dato spettacolo
in mezzo paese, a voler essere precisi.
Con che faccia sarebbe uscito di casa, in futuro? Minimo minimo, lo avrebbero licenziato
in tronco, per giusta causa: pazzia feroce. Al momento non ci pensava, aveva altri
problemi, più pressanti. Per esempio, un caterpillar dasino che lo braccava. O le
gambe, decisamente contrarie ad andare avanti con la corsa: i polmoni concordavano.
Il portone di Aldo apparve come un miraggio, sulla sinistra. Doveva riposare e quel luogo
poteva andare bene. Gli amici si vedono nel momento del bisogno, no? E Aldo era un suo
conoscente, che in mancanza di meglio faceva funzione di amico. Chissà cosa avrebbe
detto, vedendolo? Qualcosa di estremamente erudito e puntiglioso, come al solito. E gli
avrebbe dato torto, sicuro come loro.
«Un asino? No, guarda che ti sbagli. Non vedi linclinazione delle orecchie, il
taglio del mantello, il profilo degli zoccoli...» e così via, per ore. Poteva già
sentirlo. Il posto giusto, in altri termini. Forse lo avrebbe salvato, rimbambendo di
chiacchiere anche quella mostruosità.
Ebbe il primo colpo di fortuna della mattinata: il portone era accostato. Lo infilò di
corsa, fece le scale a quattro a quattro, crollò distrutto sul pianerottolo. La caccia
continuava, sentiva i passi della bestia battere sul finto marmo dei gradini. Suonò il
campanello.
Aldo era in casa, gli venne ad aprire con tutta la sua flemma, fissandolo dal basso della
sua barbetta. Cintura e bretelle, contemporaneamente. La faccia di chi è nato per rompere
le scatole agli altri, in ogni occasione possibile e in molte di quelle impossibili.
«Come mai da queste parti? Non dovevi...».
«Fammi entrare e chiudi la porta!».
«Entra pure, se vuoi. Ma cosa ti succede? Hai fatto...».
«Chiudi quella porta!».
«Ma da cosa ti viene tutta questa fretta? Guarda che...».
«Mi corre dietro un asino, va bene?! Chiudi!».
«Come, scusa? Un asino? Ma...».
Aldo lo guardò, perplesso. Dal caricamento delle labbra, era chiaro che si stava per
lanciare in una lunga, pedante discussione sul modo in cui loramai scomparsa
civiltà contadina sopravviveva nelle sue espressioni più riuscite, rimaste in uso nei
piccoli centri urbani. Oppure avrebbe dissertato degli antichi detti popolari, impregnati
della sapienza dei campi e della consapevolezza delleterno ciclo delle stagioni, che
rende inutile ogni fretta.
Era ancora più chiaro che non intendeva chiudere la porta.
A volte lo avrebbe strozzato, quando faceva così. Più spesso, invece, lo avrebbe
scuoiato allassira e appeso al suo balcone, con la pelle stesa accanto. Perché
cerano sempre domande a fiume, con lui? Ti tirava scemo. In fondo, non poteva
aspettarsi altro, da qualcuno che non si fidava nemmeno dei propri pantaloni. Eccolo,
cintura e bretelle anche in pigiama. Un caso patologico.
Il cacciatore era arrivato, mentre chiacchieravano. Lo scalpiccio degli zoccoli sul
pianerottolo, uno sbuffo. E il raglio, per annunciarsi. Aldo si girò verso la porta. Lo
vedeva anche lui? Lo sentiva? Sarebbe stato già qualcosa, forse non stava
impazzendo del tutto.
«Ecco lasino! Visto?».
Aldo rimase zitto, a fissarlo coi suoi occhialini. Lanimale aveva infilato la testa
tra gli stipiti e, con un paio di spallate, stava allargando il passaggio, per entrare
nellappartamento. Pareva ancora più grosso di prima. Pareva soprattutto più
infuriato di prima. Gli fumavano le narici.
Senza guardarsi indietro, luomo riprese la corsa, vacillante su gambe di marzapane.
Poteva arrivare alla scala antincendio, forse, e fuggire di là. E poi? Lo avrebbe
lasciato in pace, lasino maledetto? O voleva inseguirlo fino alla morte? Si lasciò
indietro lamico, nonché padrone di casa. Che se la sbrigasse lui, se ci teneva
tanto! Sparì nella stanza successiva. Aveva molta fretta.
Aldo non si era mosso. Studiava lanimale, perplesso, accarezzandosi la barbetta.
Ormai erano luno di fronte allaltro, sulla soglia sfondata
dellappartamento.
«Ma non è un asino. Scusa, ma lhai guardato bene? Sembra piuttosto un...».
Lasino non parve interessarsi molto alla sua opinione. Un suono di lacerazione, un
istante di pausa, un raglio soddisfatto. Infine, il silenzio. Gli zoccoli ripartirono alla
caccia.
Puntiglioso fino allultimo, lamico...