Che c'è lì dentro, Vittorio?

"È lì dentro, maresciallo.”
Vittorio si avvicinò titubante. Appena arrivato e subito a iniziare a lavorare. Manco un caffè nero da gustarsi con calma prima di sudare.
Allungò una mano per poi ritrarla immediatamente. Il puzzo faceva presagire qualcosa di non molto confortevole.
“E... ehm... c’è stato tutto intero?”, chiese, deglutendo con forza.
“Non mi sembra una soluzione tanto plausibile”, rispose Matteo, il giovane carabiniere. “Difatti, l’appuntato Luigi ha detto che c’erano così tanti pezzi da perdere il conto.” Si soffiò il naso, lasciandosi sfuggire un sorriso. “A ogni modo, maresciallo, l’onore è tutto suo.”
Vittorio allentò il nodo della cravatta, cercando un po’ d’aria salutare. Guardò il sangue che c’era in giro, e pensò che forse sì, la sua domanda era stata un tantino inutile. Afferrò allora la maniglia del baule, alzò il coperchio, e i suoi occhi si spalancarono di colpo. Anche la bocca, a dire il vero.
“Sicuro che l’indirizzo sia quello giusto?”, domandò perplesso il maresciallo.
“Certo”, rispose Matteo, iniziando il monologo del giovane e bravo carabiniere. “Anche perché Luigi è al piano di sopra che sta facendo qualche domanda alla presunta colpevole. Lo sappiamo che è inutile perché qui c’era solo la novella vedova e... beh, lui, poveraccio, il marito. Sa, Mariano Montini, il famoso chirurgo che era stato anche in gattabuia per tutti quei morti sotto i ferri.” Poi partì per la tangente, pensando solo ad accelerare. “Io dico che la gente che non sa fare il suo lavoro dovrebbe starsene a casa e...”
Ma Vittorio era già su per le scale, la pancia dondolante e il fiatone incontrollabile: ne aveva viste tante di robe strambe, e in cuor suo si sentiva che quella non sarebbe stata da meno. Si stupì della propria rapidità di ragionamento. Ancora di più quando, sugli scalini, notò una notevole quantità di macchie di sangue, che sicuramente non erano apparse lì per volontà divina.
“Luigi!”, esclamò, non appena vide il collega spuntare dalla prima porta alla sua sinistra. “Per fortuna che...” Poi si accorse che sotto la testa del carabiniere non c’era il corpo magro e rinsecchito che l’aveva sempre contraddistinto, e quasi gli venne un colpo. La testa di Luigi gli rotolò tra le gambe, cadendo per le scale. Vittorio fece per girarsi, ma un improvviso dolore all’addome non glielo permise. Aveva almeno cinque o sei aghi ricurvi impiantanti appena sopra l’ombelico. Non fece neanche in tempo a chiedersi il perché si trovassero proprio lì, che una forbice andò a far loro compagnia.

Mentre gli occhi iniziavano a chiudersi, Vittorio vide una mano che spuntava da una gamba. Un piede attaccato al contrario. Sangue rappreso e sangue molliccio e grumoso che non ne voleva saperne di fermarsi. E cicatrici ancora fresche. Un sacco di cicatrici.
Poi un’altra testa, quella di una ricca vedova che ora aveva ben poco da festeggiare, sembrò chiedergli aiuto.
All’improvviso, un indice e un medio con lo smalto viola, che non c’entravano niente con tutte le altre dita, ma che per qualche strana ragione erano lì presenti in qualità di sostituti degli originali, lo afferrarono alla sua sinistra.
Quindi sentì gli spari di Matteo, e solo dopo un dolore agghiacciante al braccio sinistro.
Il maresciallo spalancò allora gli occhi, e riuscì a distinguere, abbastanza torpidamente, qualcosa che somigliava vagamente a un uomo mentre cercava goffamente di attaccarsi un braccio. Il suo braccio. C’era una piccola questione di incompatibilità legata al grasso in eccesso, ma evidentemente questo non costituiva un problema.
Vittorio gli avrebbe sparato volentieri, a quella cosa, più che altro perché non gli andava che gli prendessero le cose senza prima chiederglielo. Ma era mancino, e con la destra non se la cavava tanto bene con la pistola. E poi non aveva mica tanta voglia di sparare. Al solo pensare quanto dolore gli avrebbe procurato il movimento per estrarre la pistola d’ordinanza... Fece una smorfia e smise di riflettere. Faceva male anche quello.
Ancora spari. Bravo, Matteo, che prima o poi fai centro.
Il mostro, se così si poteva chiamarlo, emise un sonoro grhhgrrghlllhgr, con un finale ricco di gorgoglii e bollicine. Si teneva il collo, o il pezzo di carne che aveva usato per fabbricarsi il collegamento alla testa. Si sporse pericolosamente in avanti, indeciso sul fa farsi. E di sicuro incosciente del fatto che davanti a lui ci fossero almeno una dozzina di scalini.
Allora Vittorio si impegnò. Con un complicato susseguirsi di sbuffi e imprecazioni, riuscì ad allungare una gamba e contribuire, con parecchia soddisfazione, alla caduta della sorta di uomo che l’aveva attaccato. Ne fu molto felice, soprattutto quando sentì il plf! in fondo alle scale.
“Matteo”, disse subito dopo, con un ultimo rimasuglio di voce. “Guarda se è avanzato qualche braccio per me, va’.”

Simone Corà