Guerra

Sarah si svegliò all'improvviso. Aveva avuto un incubo. Non ne ricordava i particolari, perché ogni volta al risveglio tendeva a dimenticare, ma era completamente sudata e questo era un indizio inconfutabile. Spaventata, si girò subito alla sua sinistra e tirò un sospiro di sollievo: la piccola Katy stava dormendo profondamente e, a giudicare dall'espressione serena e felice del suo viso, anche lei stava sognando, ma sicuramente qualcosa di piacevole, magari la sua mamma.
“Già, la mamma”, pensò Sarah, “povera bambina” e le rimboccò le coperte. Ormai erano passati già sei mesi da quando Rosa, la madre di Katy e sua sorella maggiore, se ne era andata, uccisa durante un agguato. La piccola ormai era tutto ciò che rimaneva della sua famiglia e Sarah aveva giurato a se stessa e a sua madre che l'avrebbe protetta anche a costo di morire. Non si era mai reputata una ragazza forte, ma la guerra l'aveva cambiata per sempre: il vedere ogni giorno i corpi straziati dei propri compagni, dilaniati dalle bombe degli uomini, l'aveva costretta a cambiare ed ora che era diventata madre, si era maggiormente responsabilizzata ed in fondo al cuore aveva solo due certezze: l'amore per Katy e l'assoluta determinazione di volerla proteggere.
Ormai i suoi sogni e le sue utopie non avevano più potere su di lei, tutto era crollato: la speranza di un mondo migliore era finita nel momento in cui la stirpe degli uomini aveva violato il patto. Non bastava aver costretto lei e la sua gente a vivere reclusi in quella porzione di terra aspra ed incolta che era stata denominata “La Zona”, reclusi dal resto del mondo, colpevoli solo di appartenere ai mangiatori, una razza che necessitava di mangiare carne umana per sopravvivere. Che colpa ne avevano loro se erano stati creati così? In fondo anche loro, gli uomini civili, non erano ricorsi al cannibalismo nelle prime ere di vita? Ed ancora oggi, non si sentiva dire che esistevano dei popoli dediti a questa cultura barbara?

Stavano persino cercando di cambiare: i loro scienziati, in cooperazione con quelli dei loro “cugini” umani, stavano mettendo a punto un siero che avrebbe permesso ai mangiatori di poter sopravvivere anche mangiando della carne di animali. Se tutto avesse funzionato, probabilmente sarebbe finito l'esilio a cui erano costretti da generazioni nella “Zona”, sarebbero potuti di nuovo tornare a vivere liberi. Ma gli uomini non lo permisero: un mangiatore era, fisicamente parlando, molto più forte di un essere normale ed anche intellettualmente non gli era per niente inferiore. Subentrò quindi la paura di una remota possibilità che questi esseri potessero prendere il potere una volta “liberati” e quindi gli umani invasero “La Zona”, scatenando una guerra che ormai durava da anni e che probabilmente avrebbe visto la fine solo con l'annientamento completo di una delle due razze.
“In fondo è questo il destino dell'umanità”, pensò Sarah, mentre un sorriso malinconico le si dipinse sul volto, “l'uomo ha sempre combattuto se stesso per paura del prossimo, per far sì che solo il più forte potesse sopravvivere. La pace tanto sognata e declamata dai vari profeti non era altro che una breve tregua per permettere al vincitore di godere della sua vittoria, dopodiché si sarebbe combattuto di nuovo.
Guardò l'orologio che aveva sul comodino e notò che erano già le sette del mattino. Fra poco Katy si sarebbe svegliata e quindi doveva prepararle la colazione. Decise che quella mattina le avrebbe dato da mangiare qualcosa di speciale. Scese in cantina. Aperta la porta un odore di urina penetrò le sue narici, provocandole un leggero disgusto: evidentemente il loro ospite doveva aver espletato una grande quantità di bisogni corporei. Accese la luce e chiuse la porta dietro di sé: legato al muro ed imprigionato da solide catene d'acciaio, aveva un'aria stravolta ed il suo viso era una maschera in cui vi era lo spazio per un solo sentimento: il terrore. Anche se non mangiava e non beveva da due giorni, era ancora vigoroso nel fisico, ma ormai la sua mente doveva aver ceduto. Sarah lo guardò attentamente: non doveva avere più di vent'anni, era poco più di un ragazzo, mandato sul campo di battaglia dai suoi superiori che lo avevano manovrato come una pedina insieme ai suoi compagni. Quegli occhi blu, terrorizzati, le ispiravano un senso di pietà, pensava ai genitori del ragazzo: probabilmente ora erano nella loro casa a pregare per il suo ritorno, inginocchiati di fronte ad un crocifisso o con un rosario in mano. Poi però a questa immagine si sovrapposero molte altre: i suoi genitori nella loro vecchia casa, distrutta da una bomba, spariti senza averne trovato i resti; sua sorella Rosa crivellata da colpi di proiettile senza pietà; la piccola Katy che dormiva di sopra.
<<La guerra è guerra!>>, dichiarò fissandolo dritto negli occhi.
Quindi spalancò la bocca, mostrando il suo apparato dentale enormemente sviluppato. Un grido agghiacciante risuonò per la cantina, poi vi fu il silenzio.

Nanny Ranz