Custos Imago

La vecchia casa sembrava incombere sull’uomo man mano che vi s’addentrava, la luce della grossa torcia elettrica che fendeva il buio denso come inchiostro. Entrare era stato facile anche se la parte difficile era stata quella immediatamente precedente, la ricerca, la documentazione. Del resto - Raffaele lo sapeva bene - i luoghi dove si concentravano così tante energie psichiche ancora poco conosciute era complicati da localizzare, bisogna procedere a tentativi, raccogliere informazioni, dicerie, notizie tratte spesso dal folklore locale.
Il fascio di luce della torcia illuminò una vecchia stanza da letto. I muri era scrostati in più punti, umidi per la pioggia; del mobilio rimaneva ben poco, solo lo scheletro di un letto, senza né rete né materasso. Non c’era nessun segno tangibile della presenza del Nemico, ma occorreva andarci cauti. La mano destra dell’uomo strinse nervosamente l’oggetto che conservava nella tasca del giubbino da motociclista. Nei testi che aveva letto aveva trovato dei riferimenti su come combattere la creatura che temeva d’incontrare in quel posto, poteva solo sperare che gli antichi libri d’esoterismo non si sbagliassero. Consultò la planimetria della casa che s’era procurato la settimana prima all’ufficio tecnico del piccolo paesino della campagna vercellese di cui quell’edificio faceva parte. Quella notte aveva verificato i diversi posti della casa dove si diceva che fossero avvenute quelle manifestazioni soprannaturali. Se anche la camera da letto era vuota, oramai gli restava solo una sezione dell’edificio da controllare, la cantina. L’idea non era certo delle più allettanti.
Un rumore secco e improvviso lo fece trasalire. Veniva dal piano di sopra che aveva già passato in lungo e in largo, non trovando niente e nessuno. Rimase in attesa col fiato sospeso per qualche attimo, ma il rumore non si ripeté. Forse si stava facendo suggestionare troppo. Poteva tornare l’indomani, con la luce del giorno, ma gli abitanti del casolare che sorgeva a una cinquantina di metri da lì avrebbero potuto vederlo. Da quel che aveva capito i paesani non amavano che qualcuno ficcasse il naso nelle loro faccende personali. Gelosi, superstiziosi e sospettosi, erano forse già tutti sotto l’influenza della Potenza che aleggiava in quel luogo. Del resto - rifletté - nella lotta tra il Bene e il Male le menti semplici erano quelle più influenzabili, malleabili.
Facendosi coraggio uscì da quella stanza spoglia e memorizzò la strada per raggiungere la cantina: era lì per svolgere quel compito e l’avrebbe portato avanti fino in fondo.
Riattraversò il corridoio pieno di calcinacci e polvere badando bene a non toccare una delle finestre rotte dalle schegge di vetri taglienti che sporgevano minacciose e tenne la torcia bassa per non farsi vedere dall’esterno. Tutt’intorno la campagna era animata dal frinire dei grilli e le luci di natura umana più vicine - quelle del casolare - sembravano comunque distanti anni luce. E dire che Raffaele era un uomo prettamente di città, un torinese al cento per cento; era solo per il suo “secondo lavoro” che si spingeva fuori Torino, quando gli veniva chiesto.
Mentre il principio della ripida scala a chiocciola che scendeva nel buio entrava nel raggio della sua torcia, Raffaele ripensò a quando aveva accettato quell’incarico. Sicuramente per lui era un grande onore, la sua missione più importante da quando - da semplice appassionato di occultismo, esoterismo e religione - era stato messo al corrente della guerra segreta che reclutava combattenti volenterosi e dotati di fede da duemila anni a quella parte.
Un altro rumore? Si girò di scatto aspettandosi il peggio e mormorando una preghiera, ma il corridoio era vuoto, buio. “Autosuggestione”, pensò. Oppure trucchi del Nemico per far abbassare le sue difese. Se ricorreva a quelle sciocchezze il nemico doveva avere timore di un confronto diretto con lui. Del resto aveva cercato di scegliere perfino il giorno più adatto per completare quella missione, in base a complicati calcoli basati su fonti che riteneva attendibili, eppure sapeva che l’eventuale “custode” di quel posto si sarebbe rivelato un avversario terribile, infatti, la sua speranza era di agire rapidamente per evitarlo.
Il buio della scala sembrava totale, avvolgente. La gente del posto raccontava di quanto era avvenuto più di trent’anni fa in quel luogo con un misto tra timore reverenziale e ammonimento; qualche vecchio che aveva avuto occasione di visitare la casa parlava di una sensazione palpabile di qualcosa di soprannaturale, talmente forte che arrivava perfino a tangere il piano fisico con odori - a volte suoni - d’origine inspiegabile.
Iniziò a scendere gradino per gradino, con cautela, gli anfibi che a malapena stavano sugli stretti gradini polverosi. “Chissà cosa penserebbe Marta di me, vedendomi così”. Un pensiero stupido in un momento inopportuno, eppure nessun collega dello studio d’architettura di cui era titolare avrebbe mai sospettato che il loro capo fosse una pedina importante di una guerra occulta e per molti versi incredibile, che aveva in Torino uno dei campi di battaglia più importanti da sempre. Marta era la sua ragazza, ventisette anni, dieci meno di lui. Se fosse uscito sano e salvo da quell’avventura, forse gli avrebbe chiesto il fidanzamento.
Era già sceso di diversi gradini quando percepì un odore strano, assolutamente fuori luogo, che poteva indicare solo la presenza del Nemico. Mormorò di nuovo parole di protezione, alcune in italiano, altre in latino, altra ancora in lingue che non erano di nessun posto a quel mondo.
La scala terminò in uno stanzone enorme, con due minuscole finestrelle a livello della terra completamente oscurate dalle erbacce dell’esterno. Stando rasente a un muro illuminò a destra e a sinistra. Nel mezzo della stanza c’erano vecchie macchine per filare, nulla di sorprendente visto che quella casa era di proprietà di un sarto e della sua famiglia, ora trasferitisi in città proprio per i fenomeni avvenuti nella loro ex casa.
Perché il Nemico si fosse manifestato a loro in quel paese sperduto, era un mistero. Non sempre certe manifestazioni si rivelavano a chi si mostrava “degno”, anzi, spesso inducevano in tentazione i meno sospettabili. Ora che la casa era stata messa in vendita dall’agenzia immobiliare di cui era proprietà, rischiava di diventare di nuovo un pericolo, attirando altre anime da poter corrompere.
Il flusso dei pensieri s’interruppe quando la torcia illuminò finalmente quel che cercava. Un tratto di parete era interamente coperto da un dipinto osceno, dai colori vivissimi, come se fosse stato appena tracciato. “Eccolo, dunque!”, esultò Raffaele pur raccapricciato dalla vivida potenza della manifestazione del Nemico. Perfino lui, scevro da tentazioni e fortificato dall’esperienza, sentiva la forza psichica di quel soggetto. Ora capiva perché gli “intermediari” avessero chiesto a lui gentilmente ma fermamente se poteva occuparsi della distruzione di quel posto: il magnetismo di quella manifestazione avrebbe corrotto menti e anime se un domani qualcuno fosse riuscito a farlo diventare una delle tante icone da idolatrare, quelle storie tra mito e realtà che Internet riusciva oramai a moltiplicare in modo esponenziale e rapidissimo, come un virus nefasto e incontrollabile. Chissà quali e quante persone un domani avrebbero potuto elevare quello scantinato a luogo di culto e di deviante devozione.
In tutta fretta si tolse lo zaino da spalla, appoggiò la torcia a terra e armeggiò con la cerniera fino ad aprirlo. Aveva tutto ciò che richiedeva il rituale per annullare quella manifestazione, anche l’antico, prezioso tomo in cui era descritto, recuperato direttamente da un anziano collezionista della vecchia Lione. Avrebbe desiderato l’assistenza di un sacerdote esperto in quei riti, ma nessuno di quelli che frequentava se l’era sentito di accompagnarlo. Ora capiva il perché.
Un rumore di qualcosa che grattava sui muri gli fece balzare il cuore in gola. Afferrò la torcia e la puntò sulle scale. Era da lì che veniva! Infine quella casa era stata davvero messa sotto la protezione di un Custode, in attesa che qualcuno ne facesse un luogo focalizzatore di culto, come ne esistevano tanti in tutto il mondo.
Indietreggiò involontariamente, alzando una preghiera di protezione con voce tremante. Il rumore s’avvicinò fin quando il Custode sbucò dalle scale.
La sua forma umanoide rivelava che probabilmente s’aggirava da quelle parti da qualche tempo sotto spoglie umane; magari l’aveva anche incrociato nelle sue ricerche in paese. Le grandi, spaventose ali di cui era dotato erano spalancate fino a coprire l’intera arcata delle scale, tanto dure da grattare la pietra. Non c’era via di fuga.
<< Tu! Miserabile! Cosa credi di poter fare?! >> La creatura avanzò lentamente, il volto pallido e trasfigurato grondante d’ira. I suoi occhi privi di pupilla inondarono Raffaele di una bordata d’energia psichica, piegandogli le gambe.
<< In...in nomine >> il balbettio confuso gli morì in bocca quando il Custode superò in un sol colpo l’ampia cantina, afferrando alla gola e alzandolo di qualche centimetro dal suolo. << In nomine cosa, piccolo verme? >> Aumentò la stretta, togliendogli il fiato. << Chi t’ha mandato ha fatto male i conti, questa volta. Questo posto è protetto! Qui molti uomini apriranno gli occhi e il cuore alla suprema verità! >>
Il dolore fisico era sordo e pressante, quello mentale generato dall’attacco psichico era pulsante, come un coltello arroventato infilato nella testa. Pur in quella situazione Raffaele riuscì ad accorgersi dell’errore che stava facendo il Custode, l’unico di cui si macchiavano quegli esseri sovrannaturali: l’arroganza, il senso di superiorità. Proprio a causa della sua arroganza il Custode s’era lasciato andare all’ira contro Raffaele, senza prima considerarlo e studiarlo come un possibile avversario.
La mano dell’uomo si strinse sull’elsa del pugnale che nascondeva nella tasca, l’afferrò e quindi lo calò di punta con tutta la forza residua tra il collo e la spalla della creatura.
Immediatamente l’emissario del Nemico mollò la presa, lasciando andare la sua preda. Gli occhi erano sbarrati dal dolore... e dalla sorpresa. Il sangue fiottava dalla ferita, insieme all’energia che lo legava a quella forma nel mondo fisico.
<< Tu...>>
Senza dargli tempo di riprendere le forze Raffaele s’alzò spinto dall’adrenalina e affondò di nuovo la lama affilatissima nello sterno del suo avversario, che mosse le ali freneticamente, come una farfalla impalata su uno spillo, incapace perfino a urlare.
<< Un’arma magica, esattamente. >> L’uomo sorrise massaggiandosi il collo dolorante che mostrava cinque lividi scuri. << Acciaio infernale, forgiato nel sangue sacrificale degli innocenti. Diversi bambini sono morti per permettermi di costruirlo. >>
L’angelo lo guardò con disprezzo, le ferite mortali che non gli lasciavano la forza per altri attacchi. << Le vostre vittorie sono effimere e bugiarde >>, sussurrò nel gorgoglio del sangue. Raffaele non si diede il fastidio di rispondere ma assaporò il senso di sconfitta nel tono della sua voce e osservò il corpo materiale del Custode disfarsi come se fosse fatto di polvere di gesso.
Ancora dolorante ma estasiato dalla vittoria, recuperò il contenuto dello zaino: ceri, sangue sacrificale e il Cultes des Goules, con un segnalibro che indicava la pagina esatta dove iniziava la descrizione del rituale di sconsacrazione.
Ora il dipinto miracoloso non gli faceva più paura come prima, sebbene la faccia della Vergine iniziasse proprio in quel momento a piangere sangue. Bestemmiò con gioia. Nessuno avrebbe trasformato quel posto in un luogo di speranza e di fede, non dopo il trattamento che gli avrebbe riservato Raffaele, stimato architetto, grande iniziato, fervente servitore delle forze luciferine, consacrato a Nuberus e Azazel.
Raffaele che solo per uno scherzo del destino portava il nome di un arcangelo.

Alessandro Girola