Molti
scrivono per mestiere. Altri per passare il tempo. Molti scrivono per gli altri e alcuni,
io credo, scrivono perché non ne possono fare a meno.
Io sono uno di questi ultimi.
Io ho bisogno di un io narrante.
Ogni pensiero o cosa che faccio è come se mi venisse dettata da una voce fuori campo.
Scrivo di continuo, è praticamente lunica cosa che faccio, da qualche tempo a
questa parte. Ma nessuno ha mai letto una sola riga di ciò che racconto. Perché, di
fatto, io racconto a me stesso. Io scrivo solo nella mia mente.
Pagine e pagine di manoscritti sono catalogate in ordine di tempo nellimmensa
libreria da qualche parte nel mio cervello. Mi ricordo tutto, dalla prima parola che ho
scritto allultima. Posso andare a rispolverare ognuna delle cose che ho messo nella
mia libreria, fosse anche vecchia di anni, e la ritrovo, esattamente comera. Alle
volte passo intere giornate a rileggere vecchi scritti. Mi capita anche di correggerli o
modificarli un po, in pratica la mia voce fuori campo diventa il mio editor. Quando
correggo, aggiungo brani o ne tolgo dai vecchi scritti, non lo faccio mai in modo
irreversibile. Fatta eccezione per le correzioni di grammatica o sintassi, le altre cose
le annoto su fogli bianchi che aggiungo al testo originale e che poi inserisco tra le
pagine. Poi ripongo il tutto sugli scaffali, esattamente dove lavevo preso.
Sono un patito della scrittura a mano, non mi sono mai piaciute le macchine da scrivere o
i computer.
Quando scrivo nella mia mente sono seduto ad una piccola scrivania. La luce è
quella di un paio di candele eterne, che non si consumano mai. Davanti a me un
quaderno di carta pergamena rilegato in cuoio, un calamaio di inchiostro nero e un pennino
di ottima fattura.
Il pennino scorre sulla carta pergamena, ruvida al punto giusto, producendo il tipico
rumore, quasi un grattare, e lascia il suo segno nero lucente che qualche attimo dopo
viene assorbito nella porosità della pergamena, risucchiato, tatuandola per sempre con le
mie parole. Mi inebrio i sensi, quando scrivo: il suono delle parole vergate sulla
superficie giallognola, lodore delle candele e dellinchiostro, la lieve
vibrazione del cannello che tengo tra le dita, trasmessagli dal pennino che graffia
elegante la superficie immacolata del foglio... meraviglioso.
Poi guardo la pagina scritta. Un tempo era importante solo ciò che scrivevo, ora il
fascino sta anche in come lho scritto, nellinsieme delle parole che
si susseguono ordinate riga dopo riga a formare una composizione.
Alcune pagine sono come dei quadri che trasmettono, nella visone dinsieme, il mio
stato danimo. E come se il pennino fosse una siringa che inietta lanima
di chi lo brandisce.
Scrivo fitto, lettere inclinate a destra con uno spazio minimo tra una parola e
laltra, e la pagina sembra un prato derba i cui steli ordinati sono inclinati
dal forte vento. La pagina è scura e linsieme ti fa presagire larrivo di una
tempesta.
Alle volte scrivo leggero; lettere tondeggianti e ampie, le elle e le effe
ariose, con occhielli grandi come palloncini tenuti dalla manina di un bimbo in un giorno
di festa. La pagina è così dolce e gioiosa.
Non resto mai a bocca asciutta, cioè senza idee, con il cosiddetto blocco dello
scrittore. Per me non è possibile dato che la mia mente funzione così, ogni
pensiero, anche il più stupido mi viene dettato e io lo scrivo. Cose come: chissà che
ora si è fatta? o, forse domani ci sarà qualche progresso! Scrivo tutto. Milioni di
parole, di fogli, di pensieri. Tutti catalogati in ordine. Posso andarmi a rivedere cosa
stavo pensando il tal giorno alla tal ora e scrivo anche quello; il tal giorno alla tal
ora sono andato nella libreria a cercare cosa stavo pensando - scrivendo - quel tal giorno
alla tal ora.
Lunico rammarico è che alle volte capita che vorrei condividere con i miei cari
alcune delle mie pagine. Pagine che considero dei capolavori. Certo, non sono molte, ma
tal volta capita. Vorrei farlo ma non posso.
Le persone a me care, poche per dire il vero, vivono ormai in un mondo di sogno diverso
dal mio. Alle volte le percepisco vicino a me, come se mi sfiorassero, come un lieve
brivido sulla pelle o un refolo daria che fa tremolare la fiamma di una candela
mentre scrivo.
Allora mi viene voglia di andare tra gli scaffali a cercare gli scritti su di loro. So
esattamente dove trovarli.
Primo ripiano. Prima scatola. Primo quaderno. Prima pagina: ... oggi ho sognato che
ero con la mamma e il papà. Andavamo in macchina a trovare i nonni in campagna. Siamo
felici e il babbo canticchia quel mazzolin di fiori tutto stonato e la mamma
ed io ridiamo. I finestrini abbassati lasciano entrare laria fresca della primavera
che scompiglia i capelli di mamma, ma lei non si lamenta: gira il viso contro vento e
respira laria come se respirasse gioia. Il sole caldo filtra dal parabrezza e mi
illumina il ginocchio che tengo tra i due sedili davanti. Usciamo dalla città e la vista
si allarga sulla campagna verde e gialla e marrone. Distolgo gli occhi dal profilo di
mamma illuminato come se fosse quello di un angelo, sulla coscia mi si è poggiato un
piccolo insetto verde. Lo stuzzico con il dito e lui zampetta un po più in là. Poi
spicca il volo e ronza fuori dallauto.
Meraviglioso.
Alzo gli occhi e la mamma non cè più. Mi volto a sinistra e nemmeno pa
cè più. Mi arriva lontano un rumore di vetri rotti... una sirena mi strilla nelle
orecchie... mi sento come se avessi il mal di mare.
Voci confuse mormorano intorno a me come gente che bisbiglia in una cattedrale. Sento la
mamma e il papà: sembrano piangere, poi parlano con degli sconosciuti.
Non so dove sono ne quanto tempo è passato. Qualcuno si muove intorno a me, che sono nel
buio. Mi arriva qualche frase: ... vedremo cosa possiamo fare, signora... coma profondo
irreversibile... per il colpo alla... andiamo caro, torneremo domani...
Poi, dopo un lungo e noioso nulla un soffio leggero e dolce, un sospiro. E lei. La
sua voce come una musica celestiale, limpida e cristallina: ...amore mio torna da me,
torna dalla tua mamma...