Un delitto qualunque

E Michela correva, correva, si sentiva il cuore scoppiare, dalla fronte le scendevano lievi gocce di sudore e in bocca sentiva un gusto amarognolo, acre. Il sapore della paura.
Lavorava da qualche mese lì al centro commerciale: il suo turno andava dalle 6 di mattina alle 2 del pomeriggio. La mattina si alzava prima dell'alba, preparava la colazione a Chiara, la figlia di 8 anni: la mamma è al lavoro, se hai bisogno chiamami al cellulare. Questo il messaggio che di giorno in giorno Michela lasciava sulla lavagna della cucina. Poi metteva in moto la sua vecchia Panda, accendeva i fari e via verso 8 ore di lavoro. Un lavoro agognato e conservato con cura e abnegazione, quasi fosse un rapporto coniugale: mai una litigata con qualcuno, mai nessuna espressione di rifiuto o collera sul suo volto, sempre sorrisi, saluti e strette di mano dispensate per tutti. Come ogni mattina appena entrata era andata negli spogliatoi a cambiarsi; salutati i pochi colleghi, si era messa subito al lavoro. Era addetta al reparto casalinghi: ogni mattina doveva rimettere al suo posto tutta la merce che clienti sbadati lasciavano in diversi reparti, portare dal magazzino nuovi pezzi da esporre, apporre i codici a barre su tutti i relativi prodotti, controllare che la merce segnalata sulla bolla d'accompagnamento corrispondesse con quella realmente ricevuta, controllare tutti i prezzi con il listino del negozio; pentole, bicchieri, posate, piatti, frullatori: il lavoro non mancava mai.
E come ogni mattina appena acceso il cellulare le era arrivata la lunga serie di sms del marito, o meglio ex marito: "Ciao amore. ti penso sempre, ti prego perdonami" o "Ciao Michi, ti va di vederci oggi?"; ormai Michela non ci faceva più caso, non gli rispondeva neanche. Il loro matrimonio era in crisi da tempo, ma dopo averlo beccato con le mani nel sacco a casa di un'amica comune aveva deciso di mettere fine alla loro storia. Giorgio ci era rimasto molto male, aveva negato anche l'evidenza e da quel giorno la chiamava, la aspettava sotto casa, le mandava lettere supplicanti, le prometteva giorni felici insieme. Ma ormai la donna aveva superato la rabbia iniziale: pensava solo a lavorare sodo, a far crescere bene Chiara e magari a rifarsi una vita.
Aperta l'ennesima scatola di piatti Michela sente squillare il cellulare: Giorgio. Sbuffando rifiuta la telefonata. Ma il telefono squilla ancora con insistenza.

Con fare seccato e arrogante risponde: dall'altra parte la voce tremolante e piangente dell'uomo: "Ciao Michi!"
"Che hai da dirmi?!"
"Amore perché non mi rispondi mai?! Amore vediamoci, chiariamo almeno la nostra situazione!"
"Non ho niente da chiarire! E lasciami in pace che devo lavorare! Ciao."
Categorica e scocciata come sempre, aveva riattaccato il telefono e si era rimessa a lavorare. Piatti piani, bicchieri in promozione, macchine da caffè...
Si erano ormai fatte le 9 e i primi clienti cominciavano ad entrare.
"Michela ti vogliono in magazzino!"
Lasciati per un attimo penna e taglierino e incamminatasi per il magazzino, Michela si sente afferrare da dietro per il braccio. Era Giorgio. Dai suoi ochhi traspariva disperazione e sofferenza mista a rabbia e soddisfazione. "Hai visto che ti ho trovato?!"
"Cosa vuoi?! Lasciami in pace, vattene!"
Urlava sottovoce Michela. Detestava farsi notare in quelle situazioni spiacevoli.
"Michi parliamo un po' dai!"
"Ti ho detto di lasciarmi andare! Levami le mani di dosso!"
"Eh no amore! Ora non ti lascio andare..."

 

La donna riuscì a divincolarsi dalla stretta, cominciò a camminare velocemente, a guardarsi indietro, non sapeva neanche lei dove andasse. Giorgio non la mollava, la seguiva con occhi rabbiosi e provati da tante notti insonni.
Michela aumentava il passo, correva: prima il reparto cosmetici, poi quello dei detersivi, fino alla macelleria, la pescheria, quando vide una porta: la porta che conduceva all'uscita secondaria per i dipendenti.
Al di là della porta c'era un corridoio di una ventina di metri, illuminato da neon bianchi; in fondo al corridoio una grossa porta antincendio e poi il parcheggio dei dipendenti.
Michela aprì con forza la porta, si fiondò nel corridoio asettico, ma la sua corsa disperata si interruppe alla seconda porta. Tirò la maniglia più e più volte, imprecando, bestemmiando, tirando calci, ma fu tutto inutile. Era stata chiusa a chiave dall'esterno.
Dopo una manciata di secondi la porta dietro di lei si aprì; entrò Giorgio con passo svelto, sguardo sicuro, ghigno sprezzante, brandendo un lungo coltello da macellaio.
Michela pensò subito al peggio, cominciò a tremare, le si sgranarono gli occhi, si sedette a terra quasi in attesa dell'ultimo incontro fatale.
"Che cazzo vuoi fare?! Giorgio! Giorgioo Fermati! Giorgiooo!"
Lui non parlava, si dirigeva con passo trionfale verso la vittima, voleva vedere il terrore nei suoi occhi, voleva assaporare la sua paura fino in fondo.
"Giorgio! Nooo! Fermati ti prego!"

 

La prima coltellata fu al volto. Le squartò orizzontalmente la sua bella bocca disegnata. Le altre tre al collo provocarono enormi zampilli di sangue che macchiarono il muro imbiancato da poco. Michela giaceva agonizzante in terra, circondata dal suo sangue, con gli occhi ancora spalancati dalla paura.
Giorgio aveva il fiatone, guardava la moglie soddisfatto, appagato dal suo gesto.
La spogliò, toccò i suoi imponenti seni, la baciò, e abusò del suo corpo martoriato finchè ne ebbe la voglia.

Carlo Bonechi