Si rigirò
tra le mani il piccolo cilindro bianco, chiedendosi se le parole del tabaccaio avessero un
riscontrò nella realtà. Il negoziante, dalla testa troppo grande e gli occhi acquosi,
aveva detto che quella sigaretta, una volta consumata nella sua interezza, gli avrebbe
mostrato splendori senza tempo, qualunque cosa significasse. Nella polverosa tabaccheria,
situata da qualche parte in uno dei vicoli bui e sudici di Idrasca, quella possibilità
gli era parsa quasi possibile, giusta. Perché in quel paese accadevano cose strane, cose
di cui gli abitanti mormoravano sgranando un rosario o facendo le corna.
Tuttavia, nella buia insignificanza del suo soggiorno, non era che unanonima
sigaretta, un involucro di carta che racchiudeva una porzione di banale tabacco. Si passò
la cicca sotto il naso adunco, constatandone la totale assenza di odore. Contemplò le
foglie di tabacco sminuzzate e non gli parvero diverse da quelle delle sigarette che
fumava abitualmente. Avrebbe tentato qualunque cosa pur di uccidere quella routine che lo
attanagliava, quel desiderio di fuga irraggiungibile che giorno dopo giorno gli scavava
dentro.
Si affacciò dalla finestra e osservò i tetti del paese annegati nel chiaro di luna, i
gatti in calore che si strusciavano sugli angoli dei camini gridando la loro pena.
Estrasse laccendino dalla tasca dei pantaloni consunti e accese la sigaretta.
Guardò fuori. Il fumo azzurrognolo gli fluttuò davanti agli occhi, velando la sua
visuale. Avvertì una forte vertigine, un senso di dissociazione, e la luna e le stelle
divennero bulbi oculari catarattici assorti un una contemplazione ottusa del mondo. Quando
tornò a osservare i tetti, le parole del tabaccaio gli rimbombarono nella mente come se
echeggiassero in un antro sotterraneo o in una cantina vuota.
Le pareti delle abitazioni avevano assunto una qualità trasparente, vetrosa, e poté
ammirare gli inconcepibili abitanti della casa di fronte. Un bambino senza arti poggiato
su un tavolo, una donna dalla schiena assurdamente gonfia, come se il suo utero gravido si
fosse dislocato in una posizione del tutto errata, e un uomo con quattro gambe
inginocchiato di fronte a un crocifisso nero, screziato di intarsi dorati e decorazioni
madreperlacee. Erano tutti senzocchi.
Soffiò il fumo della sigaretta fuori dalla finestra, assaporandone il gusto amaro,
riempiendosi i polmoni di quel balsamo venefico. Osservava la scena con scioccato
distacco; erano dunque quelli gli splendori promessi dal tabaccaio, era quello il reale
aspetto delle cose, un inno alla deformità e al delirio?
Rise delle sue paure. Rise delle parole del tabaccaio, tacciando quello che stava
succedendo come un sogno fantastico indotto da qualche agente chimico introdotto nella
sigaretta. Cominciò a cantare, a urlare, per farsi coraggio, stringendo le palpebre per
cancellare la visione. Chiuse la finestra.
Poi sentì un movimento sul pianerottolo, un raspare contro la porta blindata.
Tirò ancora una nota e mando giù il fumo, avvicinandosi alla soglia.
Scrutò dallo spioncino. Trasalì, portandosi la mano libera alla bocca, soffocando un
grido di terrore. Nella visuale malformata della lente dellocchio magico cera
il tabaccaio. I suoi piedi poggiavano su due trampoli, due assurdi collage di molle,
protrusioni color avorio che sembravano ossa e vecchi cuscinetti per automobili. In grembo
teneva il bambino che aveva visto dalla finestra un attimo prima. Ora non era più senza
arti. Mio Dio, non era più senza arti. Le appendici carnose, rosee, che aveva al posto
delle braccia ricordavano troppo le chele di un granchio. I suoi arti inferiori si
dibattevano freneticamente, come subordinati a una violenta scossa elettrica, frustando
laria simili a fasci di nervi esposti, filamenti muscolari biancastri, sistemi
linfatici e vene immersi per lustri in una soluzione di candeggina.
Si accorse che la sigaretta che teneva tra le mani era quasi finita. Due note al massimo.
La paura e una nebbia liquida invasero il suo mondo. Si girò per fuggire, per ritirare in
camera da letto.
Quando la vide, urlò. Di fronte a lui cera la donna oscenamente gravida. Dietro la
sua schiena si dibatteva qualcosa, una massa nerastra simile a liquirizia bagnata, una
propaggine incolore della notte incombente. Gocce di oscurità colarono sulla schiena
della donna e caddero per terra, penetrando nelle piastrelle di cotto. Cercò di non
guardare, cercò di non pensare.
Assimilò lultima nota della sigaretta. Poi vide luomo con quattro gambe
avanzare sui tetti, simile al frutto immondo dellaccoppiamento tra un uomo e un
aracnide; la sua sagoma si librava nel cielo latteo di luna, saltando sulle tegole con
agilità aliena. Balzò in avanti, unallucinazione in stop-motion, sfondando la
finestra in un turbinio di coriandoli di vetro, ridendo con la voce di un gatto in amore.
Atterrò sul pavimento della stanza con un suono metallico e la sezione inferiore del suo
viso cadde per terra, lasciando intravedere un intricato sistema di cuscinetti a sfera e
ingranaggi, tra cui scudisciava una grassa lingua da formichiere. La lingua
dellessere scattò in avanti e gli si infilò nel naso. Odorava di latte acido, di
corruzione e banconote sporche.
I suoi occhi divennero vitrei come le pallide stelle che occhieggiavano nel cielo
indifferente, sopra gli antichi tetti di Idrasca. Cercò di cavarsi il viscido organo
dalla narice, invano, e allora si scagliò verso la finestra infranta con tutto il peso
del suo corpo, mentre avvertiva che la lingua scandagliatrice delluomo con quattro
gambe lo stava riempiendo; prima di precipitare nello stretto vicolo sottostante,
vide il tabaccaio avanzare sui trampoli lungo il corridoio dingresso, con il bambino
sulle spalle. La donna se ne stava accucciata in un angolo del soffitto, ricoperta da una
muffa nerastra che stava lentamente tappezzando le pareti, i mobili e le suppellettili.
Luomo con quattro gambe si sedette per terra e cominciò a urlare. I suoi occhi
avevano preso forma, e brillavano della luce di una stella morta da ere incalcolabili.
Quando la mattina gli inquilini del palazzo trovarono luomo sfracellato
sullasfalto, lo sollevarono e lo portarono dal tabaccaio. Nessuno si chiese perché
il suo corpo apparisse così tremendamente martoriato, come se fosse precipitato al suolo
dai più lontani recessi delluniverso.
Il tabaccaio esaminò il cadavere con occhio critico, lo sollevò come uno straccio sporco
e lo portò nel retro del negozio, scaraventandolo nellimmensa vasca per la
produzione del suo personalissimo tabacco. Si fregò le mani compiaciuto, poi salì in
camera e uscì sul balcone, sospirando.
La baluginante alba di Idrasca stava per spuntare ancora una volta, scagliando sulla
cittadinanza condannata il suo tremendo riflesso dorato.
Una nebbia cagliata indugiava sui tetti, sui campi deserti, sulle balle di fieno marcite.
Il tabaccaio si accese una sigaretta e tornò al lavoro.
Il resto, in fondo, aveva poca importanza.