Era una
timida giornata primaverile.
Giovanna entrò in quel bugigattolo di scuola facendosi portare dal padre.
Entrò nel cortile, i bambini giocavano ma all'improvviso un fischietto intervenne
prepotentemente.
- Tutti in fila - gridò il bidello - l'insegnante non è ancora arrivata.
Arianna si accovacciò su una panca.
Arrivò Paolo accompagnato da suo padre, zoppo e avanti negli anni che lo spinse dentro
l'aula.
- Guarda Paolo non sei il solo, guarda.
A Giovanna capitò Paolo come vicino di banco.
Portava da casa con la merenda un paio di arance al solo scopo di scommettere con i suoi
amici sul numero di semi che avrebbero trovato al loro interno oppure puntava i suoi due
euro sul numero finale di targa delle macchine dei genitori. Lo invitò a casa e lo
stordii con una racchetta, lo infilò in un cunicolo...
Era notte fonda quando lei lo raggiunse.
- Che cosa ti prende? - gli disse - Pensavo che saresti stato contento di vedermi! Non mi
presenti i tuoi nuovi amici.
Lui tentò d aggredirla.
- Così hai parlato di me a tuo padre e a tua madre come pensavo.
- Davvero scortese da parte tua.
- Che cosa gli hai detto?
- Niente - interloquì Paolo e sorrise con dolcezza.
- Niente di particolarmente interessante.
A Giovanna quelle parole non piacquero. Come se lavessero colpita in pieno viso,
perse lequilibrio e si spostò.
- Dove sono finiti i tuoi poteri?
Paolo rimase stupefatto. La sua audacia andava oltre ogni limite.
- Credimi, quando mi hanno raccontato del mostro che si aggira per le nostre campagne mi
ero figurato qualcosa di impressionante.
Lei lo strinse forte al collo e in un attimo di piacere lo strangolò.
Poi socchiuse la bocca e un lungo gemito le sfuggì dalle labbra.
Si stava guardando allo specchio: la sua pelle si stava staccando, gli occhi erano
sprofondati nelle orbite, le labbra disciolte colavano sui denti giallastri, la fronte si
era coperta di viscide macchie brune.
Si era sciolta uccidendo Paolo, non avrebbe più avuto un viso Down, ora lei era il
Mostro.