"Balliamo", mi dice. È l'unica cosa che sa dirmi, a essere
sinceri. In ogni momento, lei non è mai stanca, e vorrebbe continuare. Continuare.
Ma, dico io, non le fanno mali i piedi? Con quelle scarpe così piccole che porta, il
tacco così alto e sottile, che è un miracolo che non si spezza...
Lei è bellissima, oh, quant'è bella. Ha i capelli corti corti, che danno luce a quel suo
viso piccolo e magrolino, ma così dolce. Gli occhi non sono che due fessure, ma quello
che si intravede dietro le palpebre è di un celeste così meraviglioso da rimanerci a
bocca aperta. Beh, almeno a me è successo così, la prima volta che l'ho vista.
"Balliamo", mi ripete, ancora con più dolcezza, per quanto possibile. Il suo
sorriso è così armonioso, al quale non si può dire di no. E io non dico di no. Anche se
una parte di me vorrebbe, perché sono stanco. Quasi faccio fatica a stare in piedi. E il
bello è che mi ripeto ogni giorno che non ce la faccio. Invece resisto. Per lei questo e
altro. Oh, ma come potrei contraddirla?
Lei è così bella...
Allora sì, dai, le cingo i fianchi, con delicatezza, perché le signore vanno solamente
sfiorate, poi le prendo la mano e le sorrido. Faccio un po' fatica, a dire il vero,
perché non è che sia molto contento. È per via della stanchezza. Ma ci provo, eh! È
solo che la recitazione non è il mio forte...
Fortuna vuole che lei non abbia occhi per me, neanche uno. Per adesso. No, perché ora
c'è solo la musica da seguire. Quella nella sua testa. Quindi non si accorge della mia
faccia. Meglio così. Potrebbe rimanerci male.
"Maestro!", dice lei, con verve. Ha lo stesso tono di voce della prima volta. E
ha la stessa leggiadra nel muoversi, così perfetta, così sinuosa. Sembra volare. Forse
vola sul serio. Sono solo io che non me ne sono mai accorto.
Lancia un'occhiata nel luogo dove dovrebbe esserci l'orchestra. Ovvio che non c'è
nessuno, non c'è mai stato. Non è che sia tirchio e che non voglia pagare qualcuno che
si metta a strimpellare due accordi, sia chiaro, ma lavoriamo di fantasia, noi. Basta
quello. A volte, è anche meglio della realtà.
Si inizia. Ahimè, c'è sempre quella mia parte che mi punzecchia, che mi infastidisce, e
che non mi permette di ballare come dovrei. Non che sia un danzatore provetto, anzi, ma
almeno mi piacerebbe dare l'impressione di esserlo.
Un passo avanti. Due indietro. Uno laterale. Giravolta. Mi dimentico cosa viene dopo, come
sempre, e le pesto un piede. Lei fa finta di niente: quel piede gliel'avrò calpestato
chissà quante volte, ma non ha mai osato dirmi niente. Al massimo mi rammenta di
continuare. Perché è quello che fa lei: balla, estasiata, come fosse la prima volta.
È a quel punto che io mi fermo. Basta, non ce la faccio a continuare. E che cavolo, le
gambe non mi reggono più. Un minuto di pausa, per dio.
"Sono stanco", le dico, cercando di essere convincente. Ma con quel mezzo
sorriso stentato che mi ritrovo in faccia, mi sa che non ci riesco. Provo allora ad
ansimare. Eh, il fiatone... Ma l'ho già detto, non sono bravo a fingere. Porca miseria.
"Solo un'altra volta", mi supplica lei. Ma è una supplica di quelle che
sembrano un ordine. E poi è bellissima, come potrei dirle di no? Con quegli occhi gonfi e
scuri, le labbra screpolate e piegate all'ingiù, i baffi che fanno capolino agli angoli
della bocca, un sorriso con un po' troppi assenti, il mento sporgente, le rughe che le
solcano il viso dappertutto, la pelle bluastra e così rinsecchita... e quel minuscolo
verme che fa capolino da una narice...
Dio mio...
La riguardo, ma è tornata bella come prima.
"Dai", mi fa lei, cercando di convincermi.
Sono tentato, molto tentato, perché quando lavoro d'immaginazione e la ricordo
quand'era giovane, oh, cielo!, l'abbraccerei e danzerei con lei fino alla sfinimento. È
che io son già sfinito. Quando torno alla realtà, poi, lo sono ancora di più.
E poi, c'è un altro piccolo particolare, del quale sembra sempre dimenticarsene, quella
sbadata.
"Avanti, Susanna, siamo morti da un pezzo. Possibile che tu abbia ancora voglia di
ballare?"