L'epitaffio

Sotto il sasso funerario i due cadaveri si baciano. Giacciono su un letto di muffa e non origliano più il mondo. Hanno fame, hanno freddo, ma non conoscono stanchezza. Non è il riposo che manca loro, ormai.
Se vedete l'erba fremere, son questi due che si amano. Guardate meglio nell'ombra, tra gli interstizi nella lapide: s'indovinano più che le ossa sotto i lerci sudari. Le gelide carni di lei riacquistano per un attimo l'antica bellezza; lui recupera la giovanile foga gettandole addosso le sue sparse ossa.
Vi chiederete: "Ma chi sono?"
Potete leggere i loro nomi, sebbene sbiaditi: "Peter... Mary".
Mary! Ma non era quella che...?
Già, proprio quella. La donna che volle sposare il matto artista, or sono... quanti secoli?

Non hanno alcun pudore: spostano la pietra, vengono alla luce. Lei gli sottrae il viso per volgersi a baciare il sole che splende; lui punta le nere occhiaie sui visitatori che fuggono terrorizzati verso il cancello del sepolcreto, e torna quindi ad attanagliarla.
Due o tre di voi sostano a osservare meglio, da distanza prudenziale.
"Possibile?"
Sì, non vi sbagliate. Sono io: Peter. Ero morto e non lo sapevate. O fingevate di non saperlo. Ero morto ancor prima di ucciderla. Adesso mi vedete per come sono. Adesso conoscete la verità. Amici di sempre, diamoci l'ultimo addio. Una breve boccata d'aria; poi ritrascinerò la mia amata nell'alcova di terra verminosa.
Se mi volete ancora bene, rimettete a nuovo, vi prego, lo scolorito epitaffio su questa lastra:

 

Si spezza, non si lagna,
l'anima mia

Franc'O'Brain