Un omone di
mezza età. Membra robuste, che nonostante letà avanzata lo rendono ancora un toro
da corrida. Le braccia: due arti rozzi che sbucano dalle maniche arrotolate della camicia
in maniera grossolana, sono tronchi ricoperti di una corteccia squamosa e dura. Qualche
vena varicosa. Alle estremità sono fissate saldamente un paio di mani enormi e
grottesche, ricoperte sul dorso da una folta peluria nerastra, arruffata e untuosa, sul
palmo da numerosi calli e ispessimenti.
Dal colletto slabbrato si può notare la villosità del petto, che come un rampicante
raggiunge il collo a formare un foulard scucito. Tale rigoglìo compensa in parte
lavanzata calvizie, che ha prodotto negli anni, una tonsura scarmigliata. Dal lato
sinistro di questa egli tenta, ogni mattina, di racimolare qualche fibra più lunga per
portarla allaltra estremità, a formare un cerchietto morbido, color grigio topo. Lo
stesso colore dei peli che spuntano come anemoni di mare dalle orecchie.
Il volto, ricoperto di rughe come argilla arsa dal sole, è la pianura al centro della
quale spunta il naso, come un vulcano ricoperto di gibbosità laviche, rosso come i
lapilli che schizzano dal cratere.
Ai piedi porta scarpe da ginnastica, il modello base di una delle più famose case
produttrici. Un paio di jeans dalla linea scontata, di marca, ma acquistati in un
mercatino domenicale: manodopera tailandese, un decimo del prezzo degli originali.
Camicione in flanella da boscaiolo del Connecticut, tendente al grigio, sbiadito da
parecchio beige, ma rivitalizzato con sprazzi di verde muschio.
Ma lanonima brutalità è infranta da una piccolissima goccia sul viso. Una delle
tante, ma questa non è cristallina, è purpurea. Non è sudore, è sangue.
Lo stesso sangue che gli ricopre le mani. Le rende untuose, finché non si secca. Poi si
raggruma sotto le unghie in croste violacee.
E imbrattato di sangue ovunque, sul petto e sulle gambe. Macchie rinsecchite di
liquido, plasma, fino a poco prima color carminio, ora indurite e scure.
Misti al liquame, pezzi di organi interni: milza, budella, fegato, cervello, polmoni. Un
mosaico di tessuti. Il puzzle disfatto della vita che non cè più.
Contempla rammaricato ma soddisfatto il suo lavoro. Intanto brandisce ancora in mano il
suo coltellaccio, lucente e affilato come lo sguardo di uno squalo tigre. Un maledetto
bisturi dalle dimensioni incontrollabili, dispensatore di morte anziché di vita.
Immobile, in piedi, appoggiato ad un tavolone, respira affannosamente ancora un pò,
recupera le forze. Il lavoro è stato duro: squartare pelle e muscoli, dividere le ossa
dai nervi, non è poi così semplice.
Ma il più è fatto.
Con calma potrà sistemare le porzioni di carne sezionata nella dispensa e pulire tutto
dagli scarti.
Sa che non è stato un atto insensato. Si tratta della catena alimentare. Per
quellanimale era giunto il momento di essere sacrificato; ora lui e la sua famiglia
potranno cibarsene. I piccoli, ormai abbastanza grandi, non hanno più bisogno della
madre. Cresceranno, e un giorno toccherà anche a loro la stessa sorte. Ma non è questo
il momento di pensarci. Cè dellaltro da fare, ora.