Diventare
un demonio è stata la cosa più bella che mi sia mai capitata. Per demonio intendo un
essere immortale, maligno e perverso, un Vampiro, come ci chiamano i più. La parola
"Vampiro" sinceramente non mi va molto a genio, perchè rievoca troppo
l'immagine di quegli odiosissimi topi alati. Demonio mi si addice molto di più.
Quando ero viva ero decisamente una nullità: sempre disponibile con tutti, sempre
gentile, sempre obbediente; sempre stupida insomma. Purtroppo me ne sono accorta nel modo
peggiore: la mia migliore amica (o sedicente tale) usciva con il mio ragazzo. Ovviamente
capirete che non si limitavano solamente ad uscire insieme...
Il lato divertente della storia è che i miei amici lo sapevano, gli stessi amici che
aiutavo sempre a scuola, a cui prestavo i soldi quando ne avevano bisogno, che rincuoravo
quando erano giù di morale.
Dovevate vedermi, poi, quando ho beccato quei due con le mani nel sacco... pardon,
nei pantaloni!
Ho sussurrato un:
<Scusate, non volevo disturbarvi>, seguito da una fuga disperata. Irrimediabilmente
patetico non trovate?
A casa non potevo parlare dei miei problemi, non importavano a nessuno.
Mio padre, sempre troppo brillo e con la cintura a portata di mano, mi obbligava a
rinchiudermi nella mia stanza con la radio costantemente accesa e a tutto volume. Eppure
continuavo a coprirlo con una coperta quando si addormentava ubriaco sul divano.
Mia madre era scappata poco dopo la morte del mio fratellino. Non la biasimo, per carità,
ma avrebbe anche potuto portarmi con sé nella villa con piscina del suo nuovo uomo! In
fondo, quando Francesco è morto, io ero sempre con lei; le facevo le treccine ai capelli
e lei sorrideva e diceva che mi voleva bene.
<Chissà com'è morire.> pensavo guardando la strada dalla finestra della mia
camera. <Potrei provare, ma ho troppa paura del dolore.>
<Io conosco un modo indolore>.
Non feci in tempo a reagire in alcun modo che qualcosa mi afferrò e si attaccò al mio
collo, succhiandomi via la vita. Non faceva così male in effetti.
Morta e risorta nel giro di dieci minuti: avevo battuto il record! Quando mi risvegliai
non c'era più traccia di quell'essere. Un altro a cui non importava nulla di me. Poco
male, ormai ero abituata.
Passai davanti allo specchio: il mio fisico era diventato perfetto: la carnagione candida,
gli occhi azzurri. Per la prima volta mi vedevo bellissima. Capii di essere stata
vampirizzata quando sentii il suono del sangue circolare nel corpo di mio padre. Mi venne
una voglia mostruosa di assaggiarlo.
Il suo fu senza dubbio il sangue peggiore che abbia mai assaggiato: quel retrogusto di
alcool era a dir poco disgustoso! Rinunciai e lo lasciai lì a terra agonizzante. Gli misi
una coperta addosso perché non sentisse freddo e me ne andai.
Cercai la mamma. Stava per mettersi a letto; dalla finestra aperta la salutai.
<Ciao mammina!> Non so perché, ma si mise a strillare. Forse le facevano
impressione i canini troppo allungati o il sangue sui vestiti? Chi lo sa...
Entrai e la azzannai: mi davano molto fastidio le sue urla. Aveva un buon profumo la mia
mamma, chissà quanto le era costato. Le feci qualche treccina ai capelli; le sono sempre
state così bene! Ma era tardi e fui costretta ad andarmene.
Mi venne in mente che potevo andare a fare un salto a casa di Fabrizio, dove di solito si
riuniva la compagnia il sabato sera prima di decidere dove andare. Entrai dalla finestra
ed esordii con un:
<Ciao ragazzi!>
Ancora una volta tutti strillarono. Che usanza strana quella di mettersi a urlare come
pazzi davanti ad una ragazza con canini un po' troppo lunghi e gli abiti sporchi di
sangue!
Dei due traditori però non c'era traccia.
Mi congedai con un caloroso e sorridente:
<Arrivederci! Ci si vede in giro!>
Ma loro urlarono di nuovo. Che strazio! Se non volevano più vedermi bastava dirlo! Che
bisogno c'era di strillare a quel modo?
Allora andai a cercare Michele e Alessandra, i due traditori.
Lui, come sempre, era ancora in tuta: ritardatario cronico. Anche la sua finestra era
aperta. Non stupitevi se tutte le finestre erano aperte quella sera, si era in estate.
<Hai uno scatolone di cartone che non ti serve più?>
Come si spaventò! Che scena divertente, la ricordo ancora. Era proprio un bel ragazzo; mi
ero sempre chiesta perchè mai stesse con una come me. Probabilmente se l'era domandato
anche lui negli ultimi tempi...
<Ah, sei tu!> disse rincuorato <Non usi più le porte?>
<Trovo più comode e divertenti le finestre.>
<Sei strana stasera... Cos'hai?>
<Assolutamente nulla. Mi vedi diversa?>
<Non ne sono sicuro.>
Prese gli occhiali dal tavolino, perché senza quelli, poveretto, vedeva bene come una
talpa. Impallidì visibilmente quando gli sorrisi.
<Ma che hai fatto? Dove sei stata? Ma Simona... Sei proprio tu? Da quando hai questo
corpo da favola?!>
Accidenti, ma come faceva a piacermi un idiota del genere?
<Il corpo? Scusa, e i denti? E i vestiti sporchi di sangue? Vabbè, non importa...
Allora ce l'hai o no uno scatolone? Me ne serve uno grande!>
<Sì sì, adesso te lo porto.>
Mi fissava come se fossi Monica Bellucci e gli avessi appena chiesto di venire a letto con
me. L'idea che fossi diventata un demonio succhiasangue non lo sfiorava nemmeno e ciò mi
sconcertava parecchio; ma almeno lui non urlava!
Tornò con lo scatolone: era perfetto.
<Grazie mille!> esclamai sorridendo <Dovresti starci alla perfezione!>
Non so se fece in tempo a capire, ma non ha importanza. Gli balzai addosso e lo azzannai.
Quando l'ebbi prosciugato, lo smembrai per bene: prima le gambe, poi le braccia e infine
la testa.
Molto delicatamente, posai nello scatolone i pezzi del suo bel corpo e mi avviai verso
casa di Alessandra.
La trovai proprio un attimo prima che uscisse.
<Ciao Ale!> iniziai <Senti, volevo dirti che non me la sono presa per la storia
di Michele. Se ti piace puoi tenertelo, non mi interessa più.>
Sorrise anche lei e mi ringraziò. Dichiarò che era felicissima di non aver rovinato la
nostra amicizia, il nostro rapporto era importante per lei; ci teneva moltissimo!
Mi abbracciò e poi mi chiese cosa c'era nello scatolone.
<Il mio regalo per te, in segno di amicizia!> Risposi, raggiante.
Lo aprì e lì per lì si limitò a guardarne perplessa il contenuto.
Quando ebbe realizzato che gli occhi che la stavano fissando non erano quelli di un
manichino, bensì quelli del nostro comune ragazzo Michele, iniziò a strillare, a
strapparsi i capelli, a maledirmi, a picchiarmi e infine corse in casa urlando frasi senza
senso; probabilmente aveva avuto una crisi di nervi.
Accidenti, che ingrata però! Le ho ceduto il mio ragazzo, gliel'ho portato fino a casa,
l'ho prosciugato perché non sgocciolasse e non le sporcasse casa... E lei mi ripaga
così?
Ecco cosa si ottiene ad essere gentili con gli altri!