Fantasmi

-"Sei intenzionato ad andare là?"-
-"Sì."-
-"E le Luci? Hai messo in conto le Luci?"-
-"Sono solo un'invenzione. Non esistono."-
-"Come fai ad esserne sicuro? Le hanno viste tutti."-
-"Beh, non significa nulla. Questo è un paese di appena quattromila abitanti, attaccati ancora alla superstizione ed in parte ignoranti. O gente semplice, se preferisci."-
-"Le ho viste anche io."-
-"..."-
-"E' stato quattro giorni fa."-
-"Tu... Perché non me ne hai parlato?"-
-"Perché..."-
-"Te lo dico io: avevi paura di essere preso per visionario. Tutte quelle storie ti hanno suggestionato."-
-"All'inizio anche io ho pensato così. Ma era vero. Io ho visto le Luci e qualcos'altro..."-
-"Senti, ho preparato già tutto. Voglio dimostrarvi che non esistono né Luci né altri misteri. La telecamera che ho portato, ad esempio, filmerà ogni cosa, anche al buio. Nel bosco non c'è niente che non sia spiegabile con la logica."-
-"Lasciami raccontare quello che ho visto. Poi potrai fare quello che vuoi."-
-"D'accordo, se ti fa sentire meglio..."-
Vark fece qualche istante di pausa rievocando nella sua mente il ricordo di quella esperienza. Il suo viso si tese e Jandar lo fissò un po' sorpreso: l'amico aveva davvero paura.
Vark parlò ma gli uscì una sola parola:
-"Io..."-

Poi battè le palpebre come uscito da una sorta di trance e sorridendo a Jandar riprese a raccontare:
-"Io ero appena tornato dal pub di Salivan e dato che la serata era fresca m'incamminai per la strada che costeggia il bosco, fischiettando. Gettai uno sguardo verso l'interno scuro della boscaglia perché un uccello ne era fuoriuscito d'improvviso. L'osservai volare lontano e quando riabbassi lo sguardo vidi due o tre luci volteggiare nell'oscurità, tra i tronchi. Mi fermai ed il cuore prese a battere con forza mentre le luci danzavano leste. Passati i primi istanti pensai alle lucciole e il pensiero di una risposta così logica e semplice mi calmò. Feci fatica tuttavia a riprendere a camminare. Poi..."- Vark si bloccò con lo sguardo immobile nel vuoto. Scosse il capo. Quando riprese la voce si era ridotta ad un sussurro -"Poi li vidi. Erano tre. Emersero dal bosco, seguiti dalle Luci, a venti, trenta metri da me. Ti giuro, ero paralizzato. Gli esseri in un primo momento rimasero fermi, forse a studiarmi. Ciascuno di loro, non so come definirli, aveva una piccola palla di luce appena sopra la testa."- concluse. L'espressione del ragazzo era inequivocabile: nel ripensare a quell'esperienza, che sicuramente l'aveva segnato, il suo viso assunse un'espressione da ebete, gli occhi quasi sgranati. Jandar non sapeva che dire. Si avvicinò a Vark e poggiò la sua mano sulla spalla dell'amico. Vark lo guardò e proseguì il suo racconto:
-"Il buio era pesante e riuscivo a distinguere solo le loro sagome. Avevano delle teste ovali, ma proporzionate con il resto del corpo, e delle membra lunghe e sottili. Non sono molto sicuro di ciò perché i loro corpi sembravano fluttuare, come fatti di fumo, e ondeggiare. Uno di loro alzò la mano e fece un gesto che io interpretai essere un cenno ad avvicinarmi. Ma non risposi. Con uno sforzo di concentrazione feci alcuni passi indietro e quell'essere agitò la mano con più insistenza. Forse avrebbe voluto che io mi fossi avvicinato. Poi una civetta o un gufo planò nelle vicinanze emettendo il suo lugubre verso e quegli esseri sparirono nell'oscurità. A quel punto riuscii nuovamente a muovermi e senza attendere oltre scappai."- Terminò il racconto con sollievo guardando Jandar. Quest'ultimo si alzò e si avvicinò alla finestra, scrutando il paesaggio rischiarato dalla luce arancione del tramonto. In lontananza poteva vedere le sagome degli alberi del Bosco delle Luci, come ormai veniva chiamato. Quella di Vark era la prima storia che Jandar aveva sentito per intero e alla quale dava, in fondo, un peso; il suo scetticismo non si era di certo affievolito nonostante, durante il racconto, avesse vacillato per qualche istante. Vide riflesso nel vetro il viso di Vark intento ad osservarlo. Aspettava una risposta. Jandar prese la sua decisione e si voltò.
-"Andrò stanotte, come avevo progettato."- disse. Vark scosse il capo con un sorriso di rassegnazione: Jandar era un tipo cocciuto.
-"Vedrai, rideremo di gusto una volta che avrò scoperto cosa si cela dietro alle vostre superstizioni e terrori. Già m'immagino: semplici lucciole o fuochi fatui o animali notturni. E un intero paese beffato dalla propria sciocca ignoranza."- concluse con un ghigno larghissimo, divertito. La luce rossastra del tramonto filtrava nella stanza, smorzata ma ancora vivida e faceva risplendere gli occhi frementi di Jandar. Per nulla al mondo avrebbe rinunciato alla sua "missione" ed infatti, un'ora dopo, si era lasciato alle spalle il paese, silenzioso, e le raccomandazioni di Vark. La luna s'attardava in cielo, attesa da una moltitudine di stelle scintillanti. Una serata nient'affatto male, anzi perfetta. Così pensava Jandar mentre, camminando gioiosamente con la videocamera in mano, assicurata con una tracolla, scrutava le ombre attorno a sè. Fece una pausa dopo circa un quarto d'ora fermandosi presso uno spiazzo ricoperto d'erba umida e sassi. Accese la videocamera e la puntò qua e là, per regolare le vari impostazioni ed assicurarsi una buona riuscita del filmato. Quel modello era equipaggiato per le riprese notturne ed era costato parecchio ma per Jandar, affascinato dalla tecnologia, non importava. Scoprire e sfatare il mistero del Bosco delle Luci sarebbe stata la ricompensa.
Guardò l'orologio. Erano le undici. La luna ora splendeva a metà sopra di lui e Jandar sbadigliò.
Si grattò distratto il mento, aveva la barba incolta da tre giorni e gli dava fastidio, e si alzò per sgranchirsi un po' le gambe. Si fermò. Davanti a lui a non più di cinque o sei metri ed immersi nell'ombra, stavano tre piccole luci che ondeggiavano l'una accanto alle altre. Superata la sorpresa iniziale Jandar si avvicinò a loro filmandole con la sua videocamera e stando attento più alla qualità del filmato che a dove metteva i piedi. Fu tradito da una radice che affiorava dal terreno e perse l'equilibrio, ma non cadde né perse di vista le luci le quali tornarono un po' indietro mantenendosi sempre a distanza. Fin dal primo istante fu subito chiaro a Jandar che non si trattava di lucciole o fuochi fatui per via dei loro movimenti, assolutamente coordinati. Restare aggrappati alla razionalità era difficile. Jandar seguì a passi incerti le Luci nell'oscurità combattendo una dura lotta contro la paura. La sua mente sapeva d'essere davanti ad un evento misterioso cui una risposta logica, per assurdo nemmeno la più fantasiosa, poteva spiegare. Trovò che l'arma vincente contro il terrore crescente era la tenacia, il voler andare a fondo. Si sorresse con quel pensiero.
Camminò lungo un tragitto ignoto preceduto dalle misteriose luci levitanti, tra gli alberi appiattiti dal buio con in mano la videocamera; a ben vedere non era nemmeno puntata, la reggeva solamente. Seguiva le luci ipnotizzato. Si ritrovò quasi senza volerlo lontano dalla radura nella quale si era fermato. Le Luci scomparvero d'improvviso e lui si rese conto d'aver percorso parecchia strada. L'orologio segnava la mezzanotte. Intorno c'era silenzio, una cappa di quiete snervante. Anche se le fronde venivano smosse dalla leggera brezza esse non producevano rumore. Tutto appariva strano e forse più scuro. Jandar si voltò d'istinto. Tre figure scivolarono silenziose sull'erba passando attraverso rami e cespugli, vicine l'una all'altra, a dieci metri da lui. Alte quanto lui, magre fino all'eccesso e con la testa ovale, l'osservavano mute. Come descritto da Vark sembravano ondeggiare debolmente. Una di loro chinò la testa su un fianco ed alzò un lungo braccio, sottile. Le dita indicarono Jandar, immobile come gli alberi che lo circondavano.
-"Non avere paura."- Le parole non erano giunte alle orecchie di Jandar ma le aveva sentite direttamente nella sua mente. Lasciò cadere la videocamera a terra mordendosi le labbra. Come poteva spiegare quello che stava accadendo? Era rimasto, in fondo, suggestionato anche lui? No, non lo avrebbe ammesso, nemmeno sotto tortura. I suoi pensieri vennero coperti, sovrastati, dalla potenza di quella voce monotona:
-"Devi aiutarci. Non fare come gli altri, non scappare."-
Balbettando, Jandar rispose:
-"Io... non so. Chi..."-
-"Aiutaci."-
Jandar si accorse di stare tremando. Le figure, i cui lineamenti erano confusi nel buio, apparivano piatte, senza tridimensionalità. Una avanzò evitando però di finire sotto la luce della luna.
-"Siamo stati abbandonati qui molto tempo fa e ci ha colti quella che voi chiamate Morte. Ora vaghiamo impauriti in una terra che non ci appartiene. Puoi aiutarci?"- Jandar tacque.
-"Guarda." - disse indicando la destra di Jandar. Lui vide uno spiazzo, il terreno inclinato e coperto da pochi cespugli bassi e null'altro. Era consapevole che doveva comunque andare a vedere meglio. Distolse lo sguardo dalle figure e s'incamminò verso il punto indicatogli. Nell'erba c'erano tre tronchi marci dalla forma vagamente umanoide.
-"La nostalgia del nostro luogo d'origine ci ha indebolito ancor prima della fame."- commentò un essere.
Jandar vide che questa volta le figure erano a pochi metri da lui ma sempre nel folto del bosco e sempre nascosti in parte dall'oscurità. I loro fumosi contorni vibrarono per effetto della brezza.
-"Perché vi hanno abbandonato?"- chiese.
-"Avidità, gelosia, odio. Non lo sappiamo."-
-"Come... Come potrei aiutarvi?"- domandò deciso. La voce calma dell'essere aveva in un certo senso dissipato la paura iniziale e Jandar poteva connettere i propri pensieri in maniera abbastanza lucida. Non si sentiva minacciato. Probabilmente erano quegli esseri ad avere timore di lui.
-"La nostra condizione non ci permette di interagire con alcunché di solido. Possiamo solo muoverci, disperandoci, in questi luoghi oscuri. Lancia al cielo ciò che troverai all'interno dei nostri corpi e aiutaci a trovare la pace."-
Jandar si chinò senza indugio sui tronchi scoprendo che non erano ciò che apparivano. Si trattava quasi di pupazzi dalla pelle raggrinzita come legno, esili e contorti. Penetrarne il petto fu facile e la sensazione era effettivamente quella che si poteva provare spezzando una vecchia corteccia. L'interno era vuoto ad eccezione di una palla solida, liscia come un ciottolo, dalle dimensioni del suo pugno. Nell'estrarle emisero una leggera luminescenza. Le tenne in mano in attesa di altre istruzioni. Le sagome rimasero mute. Jandar riprese a tremare in preda al panico.
-"Lanciali al cielo."-
Fece come gli fu ordinato. In una manciata di secondi i sassi, o i cuori come gli chiamò in seguito Jandar, s'infiammarono e ascesero al cielo come stelle cadenti al contrario. I suoni della notte circondarono Jandar e tutto riprese ad essere normale. Gli esseri si dissolsero lesti in sottili volute. Prima di svenire, contemplando la grandiosità della sua esperienza, Jandar poté udire l'eco delle loro ultime parole:
-"Grazie, Terrestre."-

Fabrizio Serra