Un vento spavaldo
soffia sui lampioni, per le strade della città. A tratti sembra volerli
spegnere, come candeline di un’immensa torta di buio.
Manuel sa che non deve uscire, soprattutto con questo tempo. Ma è venerdì, i
genitori di Chiara lavorano, e lui ha troppa voglia di vederla, per starsene
barricato in casa.
Proprio non resiste. Schiaccia le mani sulle orecchie e va.
L’elastico della mascherina è strettissimo, presto gli lascerà un solco
rosso nella carne. Corre, sopportandone il fastidio: è coraggioso ma non
stupido, e l’immagine di Giulio, come di altri corpi abbandonati in strada,
con la testa spappolata e le costole spezzate a bucare il petto, lo tormenta
ancora.
Sfida il vento, lasciando agli occhi una fessura. Da lì sembra non possano
entrare.
Sbircia ovunque, quasi a convincersi di poterli vedere. Sa che sono troppo
piccoli e trasparenti per portarsi dietro un’ombra, troppo leggeri per
percepirne il tocco sul colletto o sul risvolto dei jeans.
La strada, come sempre, è deserta.
Qualcuno lo scorge, dalle poche finestre non blindate, e lo accompagna con
uno sguardo allarmato e morboso, come fosse un’auto sull’orlo d’un
precipizio.
Giunto a casa di Chiara, bussa con la punta del piede.
La prima delle due porte si apre con uno scatto. Entra nel piccolo atrio e
attende che gli aspiratori lo investano. D’istinto si copre più forte le
orecchie e serra la bocca, sotto la mascherina.
Dietro la seconda porta lo aspetta un sorriso.
Sei pazzo!
Chiara lo abbraccia incredula.
Pazzo! Pazzo! Pazzo!
Tu di più a farmi entrare, le risponde liberando naso e bocca e
avvicinandosi per un bacio. Se tua madre scopre che apri la porta mentre è
al lavoro...
Mi ammazza! Fuori com’è? Niente di interessante?
Manuel sa bene cosa Chiara desideri farsi raccontare: se ha visto un
cadavere nuovo, qualcuno che si conosce... Lo ha tormentato per giorni pure
su Giulio; di lui però non è riuscito a raccontarle nulla. Si erano appena
salutati, quando all’amico, gridando di dolore, aveva preso a sanguinare il
naso. Di colpo si era portato le mani al viso, infilando le dita negli
occhi, spappolando i bulbi e uncinando gli zigomi, tra schizzi e schegge di
denti che sbattevano nella bocca spalancata.
No, niente di nuovo, risponde in modo automatico. Quello non si può
spegnere? indica il piccolo robot-aspirapolvere, che cambia direzione ogni
volta che urta contro il muro di quella stanza senza mobili.
Lo sai che non si può, ride lei, sbottonandogli la camicia.
Quando i jeans scivolano a terra, Manuel la stringe e la bacia, cogliendo
appena un movimento tra i piedi. Un impalpabile, soffice ricciolo di
polvere, liberato dal risvolto, piano prende a salire.
Chiara scatta indietro di colpo. Un grido le deforma il volto, imbrattato da
fiotti di sangue dal naso. Si accascia, scalcia impazzita, urlante, scossa
da scariche di dolore, mentre Manuel, stravolto, non riesce a guardare e
corre via: le lacrime scivolano nelle orecchie, la bocca spalancata
inghiotte l’aria, smossa dal vento fresco della notte.