Gatti

Racconto per il concorso "Premio Scheletri", 2010 - edizione 2

Un vento spavaldo soffia sui lampioni, per le strade della città. A tratti sembra volerli spegnere, come candeline di un’immensa torta di buio.
Manuel sa che non deve uscire, soprattutto con questo tempo. Ma è venerdì, i genitori di Chiara lavorano, e lui ha troppa voglia di vederla, per starsene barricato in casa.
Proprio non resiste. Schiaccia le mani sulle orecchie e va.
L’elastico della mascherina è strettissimo, presto gli lascerà un solco rosso nella carne. Corre, sopportandone il fastidio: è coraggioso ma non stupido, e l’immagine di Giulio, come di altri corpi abbandonati in strada, con la testa spappolata e le costole spezzate a bucare il petto, lo tormenta ancora.
Sfida il vento, lasciando agli occhi una fessura. Da lì sembra non possano entrare.
Sbircia ovunque, quasi a convincersi di poterli vedere. Sa che sono troppo piccoli e trasparenti per portarsi dietro un’ombra, troppo leggeri per percepirne il tocco sul colletto o sul risvolto dei jeans.
La strada, come sempre, è deserta.
Qualcuno lo scorge, dalle poche finestre non blindate, e lo accompagna con uno sguardo allarmato e morboso, come fosse un’auto sull’orlo d’un precipizio.
Giunto a casa di Chiara, bussa con la punta del piede.
La prima delle due porte si apre con uno scatto. Entra nel piccolo atrio e attende che gli aspiratori lo investano. D’istinto si copre più forte le orecchie e serra la bocca, sotto la mascherina.
Dietro la seconda porta lo aspetta un sorriso.

Sei pazzo!
Chiara lo abbraccia incredula.
Pazzo! Pazzo! Pazzo!
Tu di più a farmi entrare, le risponde liberando naso e bocca e avvicinandosi per un bacio. Se tua madre scopre che apri la porta mentre è al lavoro...
Mi ammazza! Fuori com’è? Niente di interessante?
Manuel sa bene cosa Chiara desideri farsi raccontare: se ha visto un cadavere nuovo, qualcuno che si conosce... Lo ha tormentato per giorni pure su Giulio; di lui però non è riuscito a raccontarle nulla. Si erano appena salutati, quando all’amico, gridando di dolore, aveva preso a sanguinare il naso. Di colpo si era portato le mani al viso, infilando le dita negli occhi, spappolando i bulbi e uncinando gli zigomi, tra schizzi e schegge di denti che sbattevano nella bocca spalancata.
No, niente di nuovo, risponde in modo automatico. Quello non si può spegnere? indica il piccolo robot-aspirapolvere, che cambia direzione ogni volta che urta contro il muro di quella stanza senza mobili.
Lo sai che non si può, ride lei, sbottonandogli la camicia.
Quando i jeans scivolano a terra, Manuel la stringe e la bacia, cogliendo appena un movimento tra i piedi. Un impalpabile, soffice ricciolo di polvere, liberato dal risvolto, piano prende a salire.
Chiara scatta indietro di colpo. Un grido le deforma il volto, imbrattato da fiotti di sangue dal naso. Si accascia, scalcia impazzita, urlante, scossa da scariche di dolore, mentre Manuel, stravolto, non riesce a guardare e corre via: le lacrime scivolano nelle orecchie, la bocca spalancata inghiotte l’aria, smossa dal vento fresco della notte.

Valchiria Pagani