Anche il nemico ha fame

L'animale, un grosso mohalla dall'aspetto mansueto, pascolava in un vasto pianoro coperto di radi cespugli di verkène. Con le forti mascelle strappava sterpi spinosi che poi masticava lentamente, gli occhi socchiusi e il muso rivolto verso il cielo. A breve distanza, dietro il tronco di un tèrek, Olaf, il fucile puntato, era pronto a far fuoco. Ma esitava... Sapeva quanto fosse importante non fallire quel colpo. Infatti, se avesse mancato l'animale, anche quel giorno i membri del suo villaggio non avrebbero avuto da mangiare. Mirò con calma, e solo quando parve sicuro di sè stesso premette il grilletto. Una cupa esplosione echeggiò per il vasto pianoro solitario.
Colpito in pieno, il mohalla cadde su un fianco e, dopo avere scalciato un paio di volte con le zampe posteriori, rimase immobile, respirando spasmodicamente a bocca spalancata.
- Bel colpo! - fece il giovane Numek, battendo una mano sulla spalla di Olaf.
Non disse altro, né il compagno rispose. Restarono fermi, in silenzio, ad accertarsi che lo sparo non avesse richiamato l'attenzione dei khalin, nemici giurati dei thurem, cui Olaf e Numek appartenevano.
Quando niente parve fornire motivo di allarme, si avviarono verso il mohalla che ormai più non dava segni di vita. Non appena lo raggiunsero, gli girarono intorno lentamente, ammirandone la superba grossezza.
- Magnifico esemplare! - disse Olaf con un'espressione compiaciuta.
- Già! - convenne Numek. - Una vera montagna di cibo. Non ricordo di avere mai visto niente di tanto enorme.
L'altro sorrise, scoprendo una fila di denti bianchissimi e perfetti, poi disse: - Sarà che in questo momento desideri tanto un bel pezzo di carne, come non ne mangi da parecchio tempo.
- E' vero! - ammise Numek. - Che ne diresti se mangiassimo qui la nostra parte? Il resto del mohalla lo porteremo al villaggio.
- Pazienza, mio giovane amico! Per mangiare c'è tempo. Bisogna non essere schiavi della fame, né cercare di placarla a ogni costo, anche se attacca lo stomaco con morsi tremendi... Basta parlare, adesso. Pensiamo al mohalla, a come trasportarlo al villaggio. Una volta arrivati, mangerai a sazietà, fino a scoppia...

Si interruppe di colpo per l'improvvisa comparsa di due khalin, che né lui né Numek avevano visto né sentito arrivare, come se fossero apparsi dal nulla. Immediatamente impugnarono i fucili puntandoli contro i nemici i quali, incuranti delle armi, si avvicinavano a piccoli passi con un'andatura traballante.
I due khalin, un uomo e una donna, indossavano miseri stracci ridotti a brandelli ed erano sporchi, scalzi, scarmigliati, le braccia e le gambe coperte di croste e di piaghe purulente. Il loro aspetto, estremamente emaciato, faceva pensare a una grave prostrazione. Era evidente che anch'essi, come i thurem, lottavano da tempo contro lo stesso nemico: la fame; una fame terribile, nera.
Quando giunsero presso il mohalla si fermarono, restando a fissare i due cacciatori con un'espressione indecifrabile. Poi volsero lo sguardo verso l'animale che divenne l'oggetto della loro attenzione. Nei loro occhi, piccoli e scuri, i due thurem non colsero l'avidità che invece traspariva dalle bocche, che si aprivano e chiudevano ritmicamente mandando deboli suoni gutturali.
- Credo che avremo problemi molto seri - disse Olaf a un tratto. - Il nostro mohalla... si farebbero ammazzare, pur di averlo.
- Nessun dubbio che abbiano fame - rispose Numek. - A giudicare dalla loro magrezza si direbbe che non toccano cibo da parecchio tempo, sicuramente da molti più giorni di noi. Mi stupisco come non siano già morti.
- Magari lo fossero tutti! - disse Olaf fuori dai denti. - Maledetti khalin!... E' colpa loro se siamo ridotti in questo stato. Colpa soltanto del loro implacabile odio che ha scatenato una guerra spaventosa, la quale non ha avuto vincitori, solo vinti: sia loro che noi. - Tacque un momento, poi, in tono più acceso: - Si vivrebbe tranquilli nel nostro pianeta se non esistessero i khalin. Maledetti!
L'iniziativa fu presa dalla donna la quale, gettatasi pesantemente sul corpo del mohalla, affondò la sua faccia nel fianco squarciato dal proiettile. Con i denti, ma anche con le mani, strappò brandelli di carne ringhiando selvaggiamente, come se fosse lei stessa un animale.
Quando l'uomo a sua volta cercò di avventarsi sulla preda, la donna si rizzò prontamente sul busto, emettendo terribili suoni gutturali. L'uomo, in un primo momento, sembrò scoraggiarsi: si ritrasse di qualche passo; ma poi, fattosi ardito per i morsi della fame, e incurante degli urli della donna, afferrò una zampa del mohalla e cercò di trascinarselo dietro. Ma l'animale era troppo pesante per le sue forze.
La donna si alzò di scatto e con molta veemenza si gettò nuovamente sulla preda. Urlava come un'ossessa e fremeva in tutte le parti del suo corpo, come scossa da violente convulsioni. Sbuffando di rabbia l'uomo le sferrò un calcio all'addome, facendola rotolare nella polvere. Lei non demorse: benché dolorante si alzò ancora. Le mani protese in avanti, si scagliò con ferocia contro il rivale. Lo afferrò per un braccio e glielo morse, mentre con le unghie della mano sinistra gli graffiava la pelle del viso facendola sanguinare.
In breve si accese tra i due una lotta furibonda: quella che a Olaf e Numek parve la vera, terribile lotta per la sopravvivenza.
L'uomo, più forte della donna, riuscì a liberarsene con una spinta. Lei barcollò, perse l'equilibrio, cadde a terra; si rialzò prontamente e di nuovo fu all'attacco, più ostinata e aggressiva di prima. Urlava, ansimava, agitava le mani davanti alla faccia del rivale, cercando di cavargli gli occhi. Quegli la teneva a distanza, temendo a ragione le sue unghie, lunghe e ricurve come gli artigli di un rapace.
A un tratto la donna, avventandosi, riuscì ad avvinghiarsi al corpo dell'altro, e la lotta divenne confusa, terribile, vibrante.
L'uomo colpiva con calci e pugni; la donna rispondeva con graffi e morsi. La polvere, sollevata dai piedi, avvolgeva gli esili corpi in una nuvola densa e giallastra.

 

Olaf e Numek stavano fermi a osservare, non poco sorpresi dall'energia che i due khalin, così malandati in apparenza, erano in grado di esprimere. I calci, i pugni, i graffi e i morsi si susseguirono con una violenza inaudita e, sicuramente, sarebbero durati fino a quando uno dei due non fosse morto.
Numek indietreggiò di qualche passo, l'animo invaso da un indicibile orrore: non aveva assistito in vita sua a una scena così terrificante. Olaf, invece, quasi senza volerlo, alzò il proprio fucile in posizione di tiro, appoggiandone il calcio alla spalla: un gesto improvviso, del tutto istintivo. Per qualche momento rimase immobile, con un'espressione indecisa nello sguardo; quindi, puntò l'arma contro i due khalin, ancora impegnati nella lotta. Due colpi e avrebbe posto fine alla loro esistenza, li avrebbe liberati dal loro tormento: la fame, e dall'odio profondo che in quel momento li accecava. Due colpi, soltanto due colpi, e avrebbe per sempre...

 

A un tratto si scosse, come a scacciare quel senso di pietà che inopinatamente si era insinuato nel suo animo. Si scosse di nuovo serrando le mascelle; poi, sbuffando, abbassò il fucile.
- No! - ringhiò a denti stretti. - Meglio che si uccidano tra loro, maledetti khalin!

Paolo Secondini